
Sento il bisogno di scrivere perche' ho tanti pensieri che mi frullano per la testa.
Sono pensieri derivati da riflessioni fatte in seguito alla tragedia che si e' verificata domenica, nel quartiere di Ahikabara, a Tokyo.
Questo ritratto, cromaticamente rivisto, del servo Edobei, magistralmente dipinto dal misterioso pittore giapponese Sharaku vissuto verso la fine del Settecento, mi e' sembrata un'immagine cosi' adatta al mio articoletto di oggi.
Sharaku aveva tanti strabilianti talenti, ed uno di questi era l'abilita' nel riuscire a rendere i suoi dipinti cosi' realistici e cosi' credibili. Le espressioni su quei volti non lasciano spazi a fraintendimenti, dubbi od incertezze.
I volti esprimono chiaramente cio' che l'animo racchiude.
Sul volto del servo Edobei c'e' un'espressione di sincerita' allo stato puro; una sincerita' nutrita ed abbondantemente alimentata da odio ed astio, ma e' pur sempre sincerita' perche' rispecchia quello che veramente si e' annidato nel buio animo del servo.
Spesso, i ritratti di uomini dipinti da Sharaku avevano un alone rosso attorno agli occhi. Avevo letto su di un libro d'arte, molto tempo fa, che quell'alone rosso era usato dall'artista per simboleggiare la sete di sangue, il desiderio di fare del male, l'odio folle che offusca ed acceca anche le menti piu' brillanti.
Ancora non si sa granche' sulla figura dello squilibrato che domenica, nel quartiere di Akihabara proprio poco dopo l'ora di pranzo, alla guida di un furgone, si e' diretto a tutta velocita' verso una folla di innocenti, investendone diversi. E come se questo fosse solo l'inizio della sua crudele performance, e' sceso dal furgone e, armato di coltello, ha iniziato ad accoltellare gente a caso, ferendo ed ammazzando senza pieta'.
Se Sharaku fosse ancora vivo, credo dipingerebbe il volto di quest'assassino usando un accecante rosso carminio attorno agli occhi.
Domenica, per noi, e' stata una giornata splendida. Il sole era alto nel cielo, l'aria era calda e faceva pensare all'estate che gia' e' dietro l'angolo.
Mio marito ed io abbiamo trascorso uno splendido pomeriggio in compagnia della mia amica Akiko e di suo figlio Mihiro, a giocare a bowling e a chiacchierare del piu' e del meno.
L'atmosfera era cosi' piacevole che le ore scivolavano via con la stessa rapidita' con cui sfugge di mano un cubetto di ghiaccio in un torrido pomeriggio d'estate.
Dopo esserci salutati, ho appreso da mio marito la notizia della tragedia.
Quasi sicuramente ne avete sentito parlare alla televisione oppure avete letto qualche articolo sui quotidiani che leggete regolarmente.
Vi segnalo, comunque, qualche link:
Notizia dell'Asahi Shinbun (in giapponese)
Notizia del Japan Times (in inglese)
La StampaIl GiornaleSono rimasta sconvolta fin da subito, pero' ho immediatamente reagito nello stesso modo in cui reagisco davanti a notizie di quotidiane atrocita' che, purtroppo, i giornali e la televisione ci propinano, e cioe' tentando di scacciare dalla mia mente la tristezza di quello sconcertante avvenimento.
Questa mia reazione e' frutto non di cattiveria o di menefreghismo, ma nasce dal fatto che sono una persona esageratamente sensibile, e per me e' quindi necessario evitare di rimuginare su fatti di cronaca che mi porterebbero soltanto ad un avvilimento cronico.
Se fossi un robot od un altro oggetto privo di anima e di sentimenti riuscirei, sicuramente, a riprogrammare il mio spettro emotivo, dimenticando completamente ogni cosa e ricominciando da meno di zero. Ma siccome sono un essere umano, questo non e' possibile, come non e' mai veramente possibile allontanare la cupezza delle notizie nere che costellano costantemente le pagine dei giornali.
Per tutto il pomeriggio e la sera ho continuato a pensare alle ore di spavento, angoscia, paura, terrore, delirio, sangue e morte che hanno macchiato di rosso le strade di catrame cocente di Akihabara.
Ho pensato alla fragilita' della vita umana, e quanto veramente questa sia appesa al famoso filo delle Parche.
Ho pensato ai sacrifici che si compiono nella vita per tentare di raggiungere lo scopo ambito da tutto il genere umano: la felicita'.
E mentre ci si aggrappa per gli scoscesi ed ostili pendii dell'esistenza, con l'intenzione di superare ogni ostacolo piccolo o grande che sia , continuiamo a tenere a mente il nostro obiettivo.
Passiamo la vita a piangere, a ridere, a sperare, a nutrire rancore, ad avere il cuore che batte forte per la propria meta'.
Passiamo la vita a correre, ad andare di fretta, a fare mille cose in una volta perche' cosi' si risparmia tempo, e poi il tempo che abbiamo risparmiato lo trascorriamo dormendo o criticando il nostro aspetto.
O magari cerchiamo di essere ottimisti, di farci forza nonostante tutto. Delle volte e' cosi' difficile andare avanti che e' come camminare nel mare, andando controcorrente. Eppure, si trova il modo per avanzare e per avvicinarci all'agognato traguardo.
Delle volte, invece, viviamo dimenticandoci di essere mortali e sprecando tempo ed opportunita', come se di tempo ne avessimo all'infinito.
C'e' gente che studia tutta una vita. C'e' gente che lavora tutta una vita. C'e' gente che studia e lavora tutta una vita. C'e' gente che non fa niente tutta una vita.
Certi vivono superficialmente, altri profondamente. Certi vivono di piccole gioie crepuscolari, altri sono alla perenne ricerca del nuovo e dell'emozionante.
Ci sono persone che vivono nell'abbondanza, ed altri che vivono nella miseria. C'e' chi butta via il cibo, e chi invece lo va a raccogliere in un cassonetto.
C'e' chi parla e c'e' chi ascolta. Ma c'e' anche chi fa entrambe le cose.
Indipendentemente da chi siamo, da cosa facciamo, da dove veniamo, ci portiamo dietro una vita che e' un ricco retaggio che ci rappresenta.
Mi piace pensare alla vita come ad un intricato arazzo formato da migliaia e migliaia di delicatissimi fili colorati che, intrecciandosi, formano immagini grandiose.
La vita di ognuno di noi e' come se fosse un prezioso arazzo, ognuno caratterizzato da colori e da immagini proprie.
Ma qual e' lo scopo di tutto questo, se poi un pazzo paranoico riesce, con il vile potere di una lama, a distruggere una vita che non sara' piu' possibile recuperare, tagliando e squarciando irrimediabilmente quello splendido arazzo, lordandosi per sempre le mani di un sangue che non verra' mai piu' via?
Non e' stata solo l'efferatezza del crimine ad avermi profondamente scossa, ma soprattutto il modo cosi' fortuito ed improvviso con cui tutto questo e' avvenuto.
Potevo esserci io li' a passeggiare per quella strada, in quella nefasta ora.
Potevo essere li' a passeggiare mano nella mano con mio marito.
Poteva esserci qualcuno che conosciamo.
Ad Akihabara siamo stati tante volte mio marito ed io.
Li' ci abbiamo persino portato il mio patrigno, a gennaio.
Il mio sensei, lunedi', ha detto che domenica stava per andare proprio ad Akihabara per comprare un lettore dvd, ma che poi ha preferito acquistare altrove.
Ecco che l'immagine delle Parche si insinua prepotentemente fra i miei pensieri: allora e' vero che il nostro destino e' gia' stato predeterminato da qualcuno.
Forse esagero, o forse no, ma domenica ho provato, per la prima volta qui in Giappone, paura.
Paura.
Paura.
Lunedi', dopo essere andata a fare una breve commissione assieme a mio marito in un grosso negozio, mi sono sorpresa a guardarmi intorno con fare ansioso, come se paventassi qualche imminente tragedia.
Sicuramente ero ancora in preda dello shock della notizia del giorno prima.
Non voglio assolutamente iniziare ad avere paura, specialmente qui che di paura non ne ho mai avuta prima d'ora.
Ho notato un altro effetto del dopo-shock domenica notte: una notte passata pressoche' in bianco a girarmi e a rigirarmi nel letto, in balia di un inclemente susseguirsi di agghiaccianti incubi.
Sudori freddi che m'imperlavano la fronte e sogni terrificanti che, nella mia mente, rielaboravano quella tristissima notizia appresa prima da mio marito e poi dai giornali.
Non ho voglia di fare congetture sui perche' e sui percome dell'accaduto.
Non mi va di stare a fare della psicologia da quattro soldi che tutto spiega e nulla chiarisce.
Non ho intenzione di mettere su un dibattito per osservare, con la lente d'ingrandimento, i tanti piccoli perche' della societa' giapponese che magari hanno portato al delirio uno psicopatico.
Non mi va perche' innanzitutto chi e' stato annientato da quelle manacce assassine e zozze di sangue, non tornera' mai piu'; e poi perche' allora bisognerebbe mettere in discussione le tante onte delle societa' di tutto il mondo, e non si finirebbe piu'.
Forse vi apparira' tutto molto banale, ma io da questo fatto ho reimparato un insegnamento che gia' conoscevo, ma che troppo facilmente ho dimenticato: la vita e' preziosa e breve, ed ogni minuto della nostra esistenza va veramente vissuto come se fosse l'ultimo.
Parole, queste, che forse avete sentito e strasentito in giro, ma che per me, da domenica, hanno assunto un significato importante.