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giovedì, agosto 18, 2016

Un onigiri per l`anima

Scavando nei miei ricordi e forse voi nei vostri si ritrovano istantanee di grandi citta` che ad agosto si trasformavano in luoghi di silenzio, di strade solitarie, di serrande abbassate, di negozi chiusi, di sparute pizzerie prese d`assalto dai pochi disperati rimasti in balia del caldo e della noia.

Oggi tutto sta cambiando.

Certo, si avverte ancora quell`insolito senso di svuotamento della citta` accompagnato dal silenzio, dall`oscurita` dei condomini privati temporaneamente dei propri abitanti, ma sono sensazioni molto ridotte rispetto a un tempo.

Io sono rimasta in citta`.

E con me diverse centinaia di migliaia di persone, molti italiani e forse anche in gran parte cosiddetti "immigrati esterni" che - vuoi per impianto culturale o vuoi per ristrettezze economiche - non hanno optato per la provvisoria fuga dalla metropoli.

Un giro, in questi giorni, per Corso Giulio Cesare, Corso Palermo, Corso Romania, ma anche per le vie del centro tradurra` in esperienza le mie parole.

Da bambina aspettavo sempre con ansia l`estate per poter finalmente dormire e non pensare alla scuola, anche se studiare mi piaceva e mi e` sempre piaciuto. Ma soprattutto ogni estate speravo che si potesse andare qualche giorno al mare e sebbene le vacanze estive della mia infanzia siano state poche e modeste, le ricordo ancora con nitidezza ed una certa dose di affetto.

Da anni ormai, cioe` da quando andai via dall`Italia spezzando irrimediabilmente tutta una serie di consuetudini che quasi inevitabilmente si perdono se non ci si circonda di connazionali, non avverto piu` quel bisogno indotto della villeggiatura estiva.

Ed essere ritornata qui non e` servito a ricucire un bel niente perche` ormai lo strappo era fatto e anzi, si e` allargato sempre piu`. Ma questo forse e` argomento per un`altra volta.

Sto riassaporando la mia citta` in veste estiva, una citta` alleggerita dalle troppe persone, dai troppi veicoli, dalle troppe voci che concorrono l`una contro l`altra durante il resto dell`anno.

Le mie parole non sono quelle della volpe indispettita davanti all`uva, ma semplicemente le riflessioni di chi ha smesso di esser parte di questa societa` ufficialmente nell`estate del millenovecentoenovantanove e non e` piu` tornata fra le sue fibre.

Mi manca viaggiare, piu` di quanto forse questo disadorno blog possa trasmettere.

Schegge di Giappone da me
immortalate a giugno di quest`anno
Vi sono notti in cui lacrime spesse, calde e silenziose mi appannano la vista quando realizzo, ancora una volta, che sono di nuovo qui in questa Italia dove sono nata ma che non mi ha riaccolta come avrei voluto e anzi mi ha messa con le spalle al muro tante, tante, tante volte.

Pero` non voglio ora scivolare nel miserabilismo che a sua volta poi sfocia in un pessimismo fine a se stesso. Le cose capitano per un motivo, ne sono certa. Non vi e` casualita`.

E in quei giorni in cui avverto forte quel senso lacerante di nostalgia principalmente per il mio Giappone, fuggo dal pianto nudo e crudo. Quel pianto sconsolato che ti fa affondare nel letto e dove le lacrime bollenti e salate ti ricoprono il viso, facendovi appiccicare tutti i capelli disordinatamente un po` qui e un po` li`.

Quel pianto dove il buio si fa ancora piu` buio.

Ho imparato a fuggire da quel pianto di pura nostalgia perche` porta con se` un sapore sgradevole: quello della speranza che scivola via come un pugno di rena contro vento.

Allora cerco le carezze per l`anima.

Vi ricordate di Jack Canfield e della sua collezione di storie Brodo caldo per l`anima? Erano raccolte di storie vere che avevano come scopo quello di coccolare le nostre anime tartassate quotidianamente da continui esempi di cinismo, di crudelta`, di soprusi, il tutto amplificato a dismisura con l`arrivo di Internet che funge da inarrestabile cassa di risonanza . Sono degli abbracci per chi ha perso o sta perdendo fiducia nel genere umano pensando che esso non sia piu` in grado di agire con bonta`.

Io trovo e ritrovo ciclicamente i miei brodi caldi per l`anima nel ricreare i sapori che amo. E anzi, e` proprio nel ricrearli da sola che ritrovo grande sollievo perche` riuscire a ritrovare, con risorse estremamente limitate e in una cucina che forse e` piu` piccola del vostro sgabuzzino, quei sapori che qui sono difficili da incontrare e` una conquista ed un abbraccio. Ogni volta.

Per me un soul food che mi e` d`ausilio nel riconnettermi col Kanagawa sono gli onigiri oppure omusubi, se proprio voglio usare il termine piu` - diciamo cosi` - del cuore. Vi ricordate quando ve ne parlai? Fate un salto nel passato cliccando QUA, QUI tra i tantissimi articoletti che ho dedicato a questo cibo semplice ma deliziosamente speciale.

Li ho ripreparati molto di recente.

Ho misurato il riso.

Riso giapponese, varieta` Shinode. 
Da quando Yukiko-san ha chiuso il suo bel negozio nonche` mia importante fonte di ingredienti a Torino, sono dovuta ritornare a Porta Palazzo a prendere il riso giapponese.

Non e` un compito troppo ingrato e comunque le varieta` che si trovano sono tutte direi piu` che discrete. La maggior parte di esse proviene dalla Lomellina dove, oltre ovviamente le varieta` nostrane tradizionali, si coltiva riso di provenienza giapponese trapiantato in Italia.

Voi sapete che, salvo rarissime e costose eccezioni, il riso giapponese d`importazione in Italia non si trova. Quello che abbiamo qui e` il cosiddetto "sushi rice", una denominazione data per fornire un indizio su un possibile (ma non di certo l`unico!) utilizzo di questa particolare varieta` di riso.

Se abitate a Torino e dintorni, datemi retta e prendete l`Okome-san oppure lo Shinode nelle botteghe di Porta Palazzo dove li troverete a prezzi onesti. Lasciate perdere la pomposita` pretenziosa dei sushi rice etnici ed esotici della grande distribuzione o - peggio ancora - delle bio botteghe et similia.

Sconsiglio, a meno che non sia davvero l`unica soluzione, di ricorrere a sostituti perche` il risultato sara` diverso e non soddisfacente. Lasciate quindi perdere gli esperimenti con l`Originario o il Vialone Nano. Lo so, si dice che si prestino bene come sostituti, ma non e` proprio vero.
No e poi no categorico per il Basmati o il Thaibonnet, due varieta` assolutamente inadatte per la cucina giapponese.
Sono varieta` di riso non intercambiabili ed e` sufficiente esaminarne i chicchi crudi, anche solo in fotografia, per rendersene conto.

I miei ripieni preferiti per gli onigiri sono le umeboshi 梅干し:

e l`okaka おかか ossia katsuobushi, o scaglie di tonnetto bonito secco, mischiato a qualche goccia di salsa di soia.

La preparazione degli onigiri e` poi molto semplice e - sapete - non servono formine od aggeggi particolari. Servono solo le vostre mani, buona volonta`, un sorriso e un paio di altre cosette che ora vi mostro.

Avrete bisogno ovviamente del vostro riso cotto al vapore, possibilmente caldo, del sale marino, una scodella d`acqua fresca, dell`alga nori giapponese e i ripieni che avrete scelto.

Il mio piano di lavoro:

Esistono varie tecniche, tutte accettabili purche` portino allo stesso risultato.

Io mi inumidisco le mani nella scodella d`acqua fresca, dopodiche` metto un pochino di sale nel palmo di una mano e - lavorando rapidamente - inizio a maneggiare una dose di riso cotto. Per dosare il riso cotto potete aiutarvi con una semplice scodellina, tipo quelle da riso oppure da miso.

Aiutandomi poi con il dito indice, faccio un buchino al centro dell`onigiri e vi inserisco il ripieno che desidero. A questo punto, sempre alla svelta, finisco di modellare il mio omusubi chiudendo il buchino del ripieno e dando alla polpetta la sua forma finale che potra` essere tringolare, sferica, cilindrica, ecc. Sempre onigiri sara`.

E infine, se voglio ma non e` di certo un obbligo imposto dalla legge, aggiungo una foglia di alga nori di qualita`.

Ecco il mio soul food, la mia carezza, i miei onigiri per l`anima:


Preciso una cosa importante che sento di dover sottolineare: per cortesia, non mettete l`aceto nel riso degli onigiri!

Ho notato questa terribile abitudine che, mi dicono, nasce dalla denominazione data al riso tipo giapponese a cui accennavo prima, ossia sushi rice. Un fraintendimento un po` duro a morire.

Sono onigiri, non e` sushi.

Il riso per onigiri non e` condito. Il sale, come avete visto, lo si mette in quando si modellano gli omusubi e non in cottura. L`unica cosa che, se proprio volete, potete usare per dare un aroma in piu` al riso in cottura e` una striscia di alga konbu che rimuoverete non appena l`acqua avra` preso bollore.

Mi siedo, sospiro con calma, prendo delicatamente uno dei miei onigiri e lo addento con affettuosa golosita`.

Altro angolo di Giappone a Torino, da me
immortalato a giugno di quest`anno.
E il mio teletrasporto ha luogo. Il mio onigiri per l`anima ha asciugato, anche questa volta, le mie lacrime.

lunedì, agosto 15, 2016

La chiarezza delle piccole cose

ざるそば Zaru-soba, una delle piccole cose
piu` buone del mondo. 
Non sono mai stata tanto brava a nascondere i miei sentimenti. Molte persone che mi conoscono mi dicono di riuscire a percepire il mio stato d`animo semplicemente guardandomi in faccia.

Ebbene, se poteste vedere il mio viso esso rivelerebbe la mia emozione nel ritrovarmi qui a scrivere.

Proprio qui, in questo mio luogo cosi` vicino e cosi` lontano contemporaneamente.

Questo luogo che e` stato ed e` scrigno dei miei sentimenti, proprio di quei sentimenti che si distendono sul mio viso con innegabile chiarezza.

Divincolarsi da quelle invisibili sbarre che mi tenevano prigioniera in un groviglio di paure accentuate da fameliche tigri di carta e` stato liberatorio piu` di quanto potessi immaginare.

I giorni scorrono ribelli proprio come un bambino che, nella sua spensieratezza e nella semplicita` della sua dimensione, crede forse nell`infinita` di un pomeriggio e allora ride, corre, corre e ancora corre a perdifiato.

Sono pochi i punti fermi nella mia vita. Quelle poche balsamiche certezze che, nei momenti di disequilibrio, controbilanciano le mia confusione e smarrimento aiutandomi - a volte gentilmente altre volte non tanto - a rimettermi in piedi. 

Vi e` poi il conforto che io attingo dalla chiarezza delle piccole cose.
Cha-soba e Takizawa Sarashina
shinshuu soba. Delizie dei miei giri.

Quei piccoli eventi che forse, dall`esterno, nemmeno meritano tale titolo. 

Prendere il tram il sabato, verso l`una o le due del pomeriggio, e andare in totalissima solitaria al Mercato di Porta Palazzo qui a Torino e quasi ignorare proprio il protagonista multiforme e multicolore della vecchia Piazza della Repubblica, ossia il mercato stesso, e dirigersi a passo svelto e sicuro verso i caotici negozietti di alimentari orientali che si snodano su ambo i lati dei primi due isolati del lunghissimo Corso Regina Margherita.

Quasi senza rendermene conto, seguo una sorta di percorso fisso che mi porta a seguire tappe prestabilite dalla mia abitudine. Questo mio personalissimo percorso mi porta ad andare giu` giu` al fondo per poi ritornare da dove sono partita.

E` curioso perche`, forse inconsciamente, seguo la stessa traiettoria a cerchio che ha caratterizzato la mia partenza e il mio ritorno. 

Torino, la mia citta`. L`inizio e la fine di quel cerchio dal raggio cosi` ampio da aver toccato l`Estremo Oriente e le sue lanterne di pietra grigia e muta.

Come posso spiegarvelo? 

Da ragazzina, poco piu` che adolescente, io venivo da sola a fare esattamente quello che faccio adesso: venivo al Mercato di Porta Palazzo, ignorando totalmente il protagonista di questo ingarbugliato palcoscenico del commercio, e - con i miei riccioli disordinati e spesso senza una lira in tasca - viravo subito in direzione delle botteghe orientali di allora. 
Una o due di quelle stesse botteghe esistono ancora, mentre le altre sono scomparse, inghiottite dal viavai di una societa` che muta.

Andavo a curiosare, semplicemente. 

L`inspiegabile attrazione per l`Asia mi portava a questa mia forma di divertimento che immagino fosse, per i miei coetanei di allora, alquanto stramba. Eppure non me ne fregava assolutamente nulla di quel che pensavano. 

Ricordo che andavo a far domande ai negozianti chiedendo che mi insegnassero ora una parola in cinese e ora un carattere.

Nitidamente come fosse avvenuta ieri, ricordo una conversazione con un signore cinese, ancora vivente e che trovate nella sua leggendaria Cineseria Ming in Galleria Umberto I, attraverso cui il signor Lee lascio` la poco piu` che adolescente Marianna di allora senza parole davanti la sua conoscenza dei caratteri tradizionali, quelli vecchio stile, i piu` belli, i piu` ricchi, ancora in uso a Hong Kong e Macao.

Molti anni dopo, con qualche esperienza in piu` sulle spalle, con gli occhi decisamente piu` allenati a leggere i caratteri ma fondamentalmente con nel cuore lo stesso ardore di un tempo rieccomi di nuovo qui.

E nelle mie esplorazioni in solitaria di adesso, io comincio sempre dal negozio all`angolo con Via delle Orfane dove quasi sempre scovo esattamente cio` di cui necessito perche` e` nel ricreare sapori a cui sono profondamente legata da una cordicella che e` un intreccio di cotone e sentimento. 

Ed ecco come ricreo la zaru-soba, uno dei piatti giapponesi piu` semplici e piu` deliziosi in assoluto, nonche` rimedio anti-natsubate (la spossatezza provocata dal caldo eccessivo) per eccellenza.

Non c`e` bisogno che vi spieghi cosa sia la soba: argomento ampiamente trattato qui in questo luogo prezioso, quadrivio di scritti e pensieri.


Non porto nessuno con me quando vado a fare queste mie esplorazioni dell`anima. 

E` capitato che qualcuno si aggregasse a me per farmi compagnia, ma allora l`esplorazione diventa un giretto qualunque dove i miei occhi pigramente saltellano da questa bottega all`altra senza quella scintilla dell`emozione che e` solo mia, in quella mia piccola solitudine felice. 

Cammino a passo rapido e penso. Spesso sorrido apparentemente al niente, ma che niente non e`.


Sono stille di pensieri che mi accompagnano e che vorrei ogni volta mettere per iscritto, ma quasi sempre sono destinate a rimanere solo pennellate di riflessione.

Se la calura estiva vi tormenta, cambiate un po` ritmo allontanandovi per un attimo dalle solite insalate di riso o di pasta e assaggiate la buona soba giapponese servita fredda, accompagnata dalla sua mentsuyu. 

Frugando un pochino nel mio enorme archivio oppure cliccando sulle etichette al fondo del post, troverete qualche ricetta che vi piacera`.

Per ora vado a godermi lo splendore di altre piccole cose: la fragranza confortante del caffe` vietnamita e le commoventi descrizioni nipponiche di John Lowe.

mercoledì, luglio 29, 2015

Mugicha artigianale del mio ritorno...e un ricordo!

Il mio 麦茶 mugicha artigianale.
Osservo, con stupore misto ad imbarazzo, il tempo trascorso dal mio ultimo aggiornamento.

Eppure questo blog e` costantemente nei miei pensieri per varie ragioni.

Se penso a quanto ho fatto in questi mesi, se non avessi la data del mio ultimo post ed una basilare cognizione del tempo, penserei di essere stata via per un anno o piu`.

Sono passati mesi dalle mie ultime parole, scritte mentre avvolta nel freddo e con solo il tepore di abiti pesanti e di un termosifone.

Queste parole di oggi, invece, sono appesantite dal caldo estivo di fine luglio quasi agosto, con quel sole che sembra impregnato di un`euforia che non va mai via.

E se penso a quanti articoletti ho abbozzato in questo lungo periodo di assenza mi viene da sorridere.

Ho preparato tante foto e mentalmente tanti testi che, superato questo iniziale imbarazzo dovuto al mio improvviso ritorno estivo, pubblichero` nelle prossime settimane.

Uno dei sapori che conservo ancora dentro di me con una tale nitidezza da riuscire a rievocarne il ricordo ogniqualvolta io lo desideri e` il sapore del 麦茶 mugicha, ossia il te` d`orzo tostato.

Il mugicha e` uno degli elementi essenziali della vera estate giapponese. E` infatti nella stagione calda che si predilige molto questa sana bevanda che comincia a comparire sui menu` dei ristoranti e nei frigoriferi dei supermercati e コンビニ konbini o convenience stores.

E` un te` nel senso che l`orzo viene consumato dopo averlo messo in infusione in acqua, ma non contiene le foglie di camellia sinensis, la pianta del te`.

Dedicai un articoletto al mugicha molto tempo fa, naturalmente qui su Biancorosso Giappone, la mia casa con le fondamenta di emozioni. Ecco qui.

Durante le mie torride, umide, pesanti, spesso irrespirabili giornate estive giapponesi spesso l`unica fonte di refrigerio era in un bicchiere di dissetante mugicha.

Il suo sapore e` molto simile al caffe` e se vi piace il gusto dell`orzo quasi sicuramente apprezzerete questa amata bevanda dalle proprieta` purificanti oltre che dissetanti.

Da quando sono tornata a Torino la ricerca di ingredienti giapponesi di qualita` (e non certe sino-oscenita` travestite da prodotti nihonsei) rappresenta puntualmente una sfida sia per la mia pazienza che per il mio portafoglio non particolarmente pingue.

Bisogna quindi, e non che questo mi dispiaccia, ingegnarsi ed inventarsi qualcosa.

La voglia di acquietare la mia sete con un bel bicchiere di mugicha in queste giornate di afa torinese e` stata presto disturbata dalle gia` previste difficolta` nel reperire le mitiche bustine da tuffare direttamente in acqua fredda e che sono pressoche` ovunque in Giappone.

Una veloce ricerca sul web mi ha portata subito e dritta alla pagina di una blogger americana che scrive di Giappone: La Fuji Mama. Tra i suoi post, ne ho trovato uno dedicato proprio alla preparazione artigianale dell`agognato mugicha.

Ho variato leggerissimamente la dose dell`orzo, ma per il resto il procedimento seguito e` esattamente il medesimo.

Vediamo.

Ingredienti per un 麦茶 artigianale

circa 100g di orzo perlato
2 litri d`acqua fresca


Ho utilizzato dell`orzo perlato laziale.

L`ho messo in una padella, a secco, a tostare a fiamma media per circa dieci minuti.

Bisognerebbe mescolare con una certa frequenza per assicurare che i chicchi si tostino in maniera uniforme.
Dopo una decina di minuti il mio orzo aveva assunto questa deliziosa tonalita` marroncina:


Ho trasferito l`orzo in un recipiente perche` si raffreddasse.
Per sveltire un po` il raffreddamento dell`orzo fumante, ho trasferito il tutto in un altro piatto e mi sono aiutata alla vecchia maniera: con il mio うちわ uchiwa.

Nel frattempo, in una pentola capiente, ho messo a bollire i due litri d`acqua fresca. Iniziato il bollore, vi ho versato l`orzo che aveva finalmente raggiunto una temperatura ambiente.

Ho abbassato la fiamma al minimo e ho lasciato che il tutto sobbollisse lentamente per venti minuti. Dopodiche` ho spento il fuoco e ho lasciato riposare per altri cinque minuti.

Ho filtrato il composto e versato il mugicha in una caraffa che, una volta raffreddata, ho riposto in frigorifero.

L`orzo tostato rimasto e` finito in insalata.

Certo, ho dovuto aspettare che il mio mugicha diventasse bello freddo per poterlo assaporare, ma si sa...le cose buone richiedono pazienza e tempo.

Verdetto: e` certamente il mugicha che ricordavo anche se il sapore era molto piu` delicato e privo di quella nota molto caffettosa che generalmente contraddistingue il parente nipponico.
Immagino che sia possibile migliorare il risultato partendo dall`orzo macinato sottoposto, successivamente, a tempi di tostatura ed infusione maggiori.

Nel frattempo pero` provero` ad andare a curiosare nelle botteghe di alimentari orientali di Porta Palazzo nella speranza di trovare del mugicha, magari coreano, gia` pronto per l`infusione.

Termino ricordando, con la consueta e forte nostalgia, il mugicha che assaporavo da Seigetsu, proprio a due passi da casa.
Me lo servivano in spesse tazze verdi e alte la cui superficie, puntualmente, s`imperlava di goccioline fredde.
A sorsi assaporavo quella bevanda cosi` corroborante e rinfrescante, sospiravo, mi guardavo intorno e interiorizzavo i sapori e gli odori di quella locanda a me cosi` cara dove, ogniqualvolta vi entravo, venivo accolta come un membro della famiglia.

Nel desiderio di amplificare il mio ricordo dando ad esso una dimensione piu` tangibile, vi regalo alcune foto del mio amato Seigetsu e del suo interno. Era li` che io mi sedevo. Era li` che mi guardavo sempre intorno con occhi riposati e col cuore sereno. Era li` che la signora, con la sua curiosa capigliatura riccia di foggia un po` Showa e dei campanellini attaccati alla tasca del grembiule, mi portava dapprima il menu` in inglese passando poi definitivamente a quello normale in giapponese e decisamente piu` ricco e completo.


Era li` che io arrivavo, sempre con emozione. Era li` che percepivo il profumo del tenpura e del miso.
Il famigliare bancone dietro cui trovavo sempre volti sorridenti che mi accoglievano sempre con grande affetto.
La saletta col tatami. Quello era il tavolo preferito del cliente misterioso che sembrava nutrirsi solo di birra. Ve lo ricordate?
Il 招き猫 maneki-neko di Seigetsu.
E questi due meravigliosi oggetti laccati antichi che erano sempre li`, nello stesso punto, in esposizione a quei pochi occhi che forse li ammiravano con curiosita` e affetto.

lunedì, giugno 16, 2014

Hiyashi-chuuka: il sapore giapponese dell`estate

冷やし中華 Hiyashi-chuuka
Passano i secondi, passano i minuti, passano i giorni, le settimane, i mesi. E poi gli anni.

E cosi` la vita si srotola davanti ai nostri occhi come una vecchia pergamena.

Gli istanti passano per non tornare piu`, lasciando dietro se` il sapore dolce-amaro della nostalgia.

L`estate e` di nuovo alle porte. Innumerevoli manciate d`istanti sono dovuti passare per ritrovarci di nuovo qui, nel mese di giugno, in quel mese sempre associato alla fine della scuola e all`inizio di quelle vacanze che da bambini sembravano durare per sempre.

Gli istanti passano, fondendosi l`un nell`altro, mentre forse a volte ci sembra di essere fermi, di non aver mosso un passo.

Altre volte, invece, quegli stessi istanti scivolano via con la forza travolgente di un turbine, lasciandoci addosso la sensazione di aver vissuto un giorno come cento.

Maggio e giugno sono stati mesi, per me, emotivamente molto forti.

Ho trovato la dimensione spirituale che cercavo, ritrovando una grande pace e una chiarezza di pensiero che sembrava ormai avermi abbandonata.

Ho rafforzato ulteriormente un`amicizia con un`amica dal cuore limpido.

Ma nel frattempo ho ricevuto una delusione dolorosa da una persona che, come capita nel cento per cento dei casi, sembrava un`amica ma evidentemente non lo era.

Le delusioni hanno un perche` e senza di esse non riusciremmo ad avanzare. Conosciamo il loro valore, ma lo conosciamo e lo apprezziamo solo a posteriori, a mente fredda.

In quel momento, pero`, la lama tagliente dell`amicizia tradita e del tuo cuore trattato come se valesse mezza carta di caramella gettata a terra penetra molto in profondita`, facendoti sanguinare. Si sanguinano lacrime calde che lavano via un po` il dolore, smorzandolo fino a farlo arrivare a livelli gestibili e assimilabili da una mente che altrimenti rifiuta di trovare una logica a ferite provocate senza un perche`.

A mente e cuore un po` piu` alleggeriti dal bruciore di quel taglio ormai in fase di guarigione, trovo una grande verita`:

Strada facendo si perdono tanti amici, per i motivi piu` svariati. Anzi, a volte i motivi possono pure non esistere.

Ma ad ogni amico perso, se ne trova un altro e generalmente migliore del precedente.

E se questo non dovesse accadere, allora vuol dire che ci sara` altro che ci dara` equivalente o superiore gioia a quella di un`amicizia.

Con l`aria quasi ormai estiva pregna della fragranza dei gelsomini, il calore sempre piu` invadente e appiccicoso, mi sono ricordata con nostalgia di una delizia che in Giappone mangiavo non appena il Paese si ritrovava nella morsa di quella sua estate senza pieta`: 冷やし中華 hiyashi-chuuka.

Hiyashi-chuuka e` l`equivalente nipponico della nostra estivissima insalata di pasta.

Letteramente il nome significa "cibo cinese freddo" e questo perche` il tipo di spaghettini usati sono generalmente i ramen o comunque spaghetti cinesi.

Essenzialmente, quindi, si tratta di spaghettini freddi guarniti da cetrioli, striscioline di frittata, pollo bollito, prosciutto e il tutto irrorato da una salsina a base di salsa di soia e olio di sesamo.

E` un piatto davvero molto gustoso, non difficile da preparare, economico ed esteticamente gradevole.

Ecco a voi la ricetta per quattro persone:

4 o 5 matassine di spaghetti cinesi
2 petti di pollo
1 cetriolo
6 fettine di prosciutto (io ne ho usato uno di manzo molto gustoso)
2 uova

Gli ingredienti per il タレ tare o salsina:

140ml d`acqua
100ml di salsa di soia
100ml di olio di aceto di riso o aceto di mele
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di olio di sesamo

facoltativo: una manciata di semi di sesamo

Acqua, aceto e salsa di soia

Per prima cosa, preparare la tare o salsina unendo l`aceto, l`acqua, la salsa di soia, lo zucchero e l`olio di sesamo.
Due cucchiai di zucchero
L`olio di sesamo e` un ingrediente ormai diffuso anche in Italia e reperibile sia negli Asian Market che nei centri della grande distribuzione.
Non costa poco, ma conviene prenderlo di qualita` dato che non si usa in grosse quantita` generalmente. Una bottiglietta vi durera` diverso tempo, purche` la conserviate in un luogo fresco e asciutto. Se non fate attenzione, l`olio di sesamo irrancidira` alla velocita` del west.

Qui a Torino, nella zona di Porta Palazzo, e piu` precisamente nel mio Asian Market del cuore ossia quello di Via delle Orfane, trovo questo olio di sesamo giapponese proveniente dalla Prefettura di Mie, il 純正 junsei della Kuki-Sangyo:
ごま油 Goma-abura. Olio di sesamo.
Mischiando i suddetti ingredienti, otterrete la vostra profumatissima tare:
冷やし中華のタレ Salsina per hiyashi-chuuka
La salsina puo` essere preparata anche con largo anticipo e conservata tranquillamente in frigorifero, fino al momento dell`uso. Anzi, se vi dovesse piacere la ricetta, vi consiglio di preparare una bella quantita` di tare da tenere in una bottiglia o contenitore nel frigorifero, pronta da usare all`occorrenza ogniqualvolta vorrete gustarvi un buon piatto refrigerante di hiyashi-chuuka.

Gli spaghettini da usare sarebbero quelli che in Giappone vengono chiamati 生中華そば nama-chuuka-soba ossia spaghettini cinesi freschi. La` si trovano anche secchi e sono buoni comunque, anche se quelli freschi personalmente io li preferisco.

Andate a farvi un giro nel vostro Asian Market di fiducia e vedete un po` cosa riuscite a scovare in quanto a spaghettini. E` possibile che non ci saranno degli autentici nama-chuuka-soba ma qualcosa di simile.

La mia scelta e` ricaduta su queste deliziose matassine:


Questi begli spaghettini arrivano da Taiwan e hanno una consistenza simile a quella della chuuka-soba.

Prendete qualcosa di simile oppure anche delle semplici mattonelle di ramen secchi, di quelle che trovate in vendita senza il condimento.

Queste matassine cuociono nel giro di 4 minuti abbondanti. Ricordatevi che la pasta asiatica generalmente va cotta in acqua senza l`aggiunta di sale poiche` il sale e` gia` incluso nel suo impasto.

Una volta cotti, vanno risciacquati sotto un getto d`acqua fredda corrente.

Prepariamo le guarnizioni:

1. mettere a bollire in acqua leggermente salata i petti di pollo e - a cottura ultimata - tagliarli a striscioline con un coltello oppure sfilacciarli con le mani facendo attenzione a non bruciarvi.

2. Tagliare il cetriolo possibilmente con la tecnica del 細切り komagiri e che vedete illustrata qui.

3. tagliate a striscioline sottili il prosciutto.

4. Sbattete le due uova e fateci una frittatina sottile e che tagliuzzerete a strisce.
Prendete dei piatti un po` fondi e in ognuno mettete una matassina di spaghettini cotti. Sopra gli spaghettini, cominciate a sistemare le guarnizioni cercando di essere ordinati.

Infine, irrorate generosamente i vostri hiyashi-chuuka con un mestolo di tare.

E siete pronti per sedervi a tavola! いただきます! Itadakimasu!
La mia hiyashi-chuuka: un ritorno olfattivo e papillare al Giappone estivo
La hiyashi-chuuka e` facilmente personalizzabile in base ai vostri gusti. Potete farla solo di verdure evitando cosi` la carne, le uova e il prosciutto. Oppure potete aggiungere altre verdure che vi piacciono.
Ad esempio, i pomodorini piccoli sono ideali perche` danno un bel tocco di colore.

In questi giorni al mercato e dal verduriere si trovano i piselli freschi, una di quelle bonta` che oramai non siamo quasi piu` abituati a gustare nella sua versione naturale, che non preveda dunque una scatola di latta.

Avevo un po` di piselli freschi e quindi ho pensato di usarne qualche manciata per dare colore e sapore.

Arriva l`estate e noi l`aspettiamo. Cos`altro possiamo fare?

Come aspettiamo lei, aspetteremo anche l`autunno e poi l`inverno. E` la ciclicita` della vita che scandisce i nostri ritmi e il passare delle stagioni dell`uomo.

E come sempre, il segreto sta nel riuscire a trovare il bello in tutto cio` che ci circonda, fossimo anche attorniati da un brullo deserto. Da qualche parte, pure in quel deserto, ci sara` una duna da cui spunta fiera la luna, no?

Io adesso, grazie a Dio, non sono piu` nel deserto brullo ma mi ritrovo nuovamente in un giardino che diventa di giorno in giorno sempre piu` verde, piu` fiorito, piu` profumato. In esso corre libero l`effluvio del gelsomino e dei cuori piu` belli che io abbia ora nella mia vita.

martedì, dicembre 17, 2013

Omusubi: il teletrasporto del cuore

I miei おむすび omusubi
"In my mind I'm goin' to Carolina
Can't you see the sunshine
Can't you just feel the moonshine
Ain't it just like a friend of mine
To hit me from behind
Yes I'm goin' to Carolina in my mind..."


Cantava, con voce infusa di malinconia, James Taylor.


Con la mente possiamo arrivare ovunque perche` le strade spariscono, i kilometri si dissolvono nel sangue che scorre velocemente nelle vene, un sangue pompato da un cuore che accelera al pensiero di un luogo tanto amato.


James rievoca la sua amata North Carolina e lo fa servendosi di parole cariche di emozioni accompagnate da melodie semplici.

Io invece mi servo unicamente delle mie parole perche` queste sono i colori della mia tavolozza.

La guarigione del mio cuore, dopo la nera tempesta, e` avvenuta lentamente. Mi sono accorta di stare meglio quando riuscivo di nuovo a sentire gli odori e a gustare i sapori della cucina giapponese, senza cadere in una tristezza davvero troppo profonda.

La malinconia per un posto di cui sentiamo la mancanza e` un sentimento umano e che ha ragione di esistere, ma quando altri fattori ne appesantiscono la difficolta` acuendone le spine allora bisogna prima guarire la ferita e poi ritornare alla dolce e sana malinconia.


E allora sono ritornata ad assaporare tutto.

Certo, al primo boccone di solito segue una fitta al cuore perche` la rievocazione dei ricordi e` istantanea, ma subito dopo segue la gioia per aver riscoperto quel sapore tanto amato e a cui inevitabilmente si legano dei ricordi.

Senza lacrime ma con sul volto un sorriso felice, ho ripreso i contatti con le mie radici adottive ritrovando la sintonia dei sapori che amo.

Ho preparato gli おむすび omusubi, l`altro nome - forse meno conosciuto ma piu` sentito e casalingo - degli onigiri.

Ho usato un riso giapponese di coltivazione, pero`, italica.

Questo:

お米さん Okome-san e` il nome di questo riso, prodotto dalla Italpo, un`azienda fondata dalla famiglia Morimoto e con sede nel cuore della Lomellina. Questo e` il loro sito.
L`inevitabile dicitura for sushi serve a rendere il prodotto facilmente collocabile sul mercato occidentale il quale, senza uno stereotipato punto di riferimento che gli dia un indizio, non saprebbe che fare.

E` ovvio, quindi, che il sushi e` solo uno dei piatti che si puo` preparare con questo riso, ma non di certo l`unico.

Okomesan quindi e` il riso italiano piu` giapponese possibile, senza esserlo di provenienza diretta.

Ma vi posso assicurare che e` quasi lui!

Come da consuetudine, non essendo questo un 無洗米 musenmai (ossia un tipo di riso che non richiede lavaggio), l`ho risciacquato un 3-4 volte prima di metterlo a cuocere in pentola.
La cottura e` avvenuta alla vecchia maniera, senza 炊飯器 suihanki o cuociriso elettrica, quindi.

L`ho messo in una pentola capiente e l`ho ricoperto d`acqua, senza bisogno di aggiungere niente. Ho messo il coperchio e a fiamma alta ho portato il tutto ad ebollizione. Ho quindi abbassato la fiamma al minimo e - sempre lasciando la pentola coperta - ho fatto cuocere per una ventina di minuti.

Nel frattempo, ho preparato i ripieni dei miei omusubi.

I miei ripieni, per meta` giapponesi e per meta` italianissimi, sono stati scelti con cura seguendo il mio gusto personale.

Ho preso del 鰹節 katsuobushi:
e l`ho mischiato a pochissime gocce di salsa di soia, formando cosi` l`okaka おかか, uno dei ripieni piu` popolari.
Ho poi, con la salivazione gia` a livelli stratosferici, portato in scena la 梅肉 bainiku, ossia la polpa di umeboshi, uno dei miei ripieni preferiti in assoluto.
Tra l`altro, se vi interessa, la bainiku e` disponibile su Dadakko-ya, il mio bazar.

Ed ecco tutti i miei ripieni, pronti per il loro momento di trionfo!


Nel piattino in alto a sinistra: tonno piccante e vicino - nientepopodimenoche` - dell`autentica sardella calabrese, una delle bonta` che prediligo.

Sotto, un formaggino delicato.

La bainiku.

L`okaka.

Il riso, terminata la sua cottura, e` rimasto a riposare ancora qualche minuto prima che iniziassi a smuoverlo delicatamente con il mio しゃもじ shamoji di bambu`, ossia la tradizionale paletta che si usa proprio per servire il riso.

Senza formine ma con solo l`ausilio delle mie manine e di carta trasparente per non trasformare il tutto in un disastro appiccicoso, ho preparato i miei omusubi.

Uno di questi l`ho avvolto in una striscia di alga nori precedentemente inumidita molto leggermente.

Primo morso, fitta al cuore, rievocazione mille ricordi e sensazioni. Sorriso sul volto, occhi che non vedevo ma che penso fossero illuminati, un altro sorriso seguito da uno - due - tre bocconi.

Il sapore dell`okaka e della bainiku in particolare sono stati i miei veicoli teletrasportatori e che mi hanno permesso, nel lasso di tempo necessario per affondare i denti nell`omusubi e percepirne i sapori, di ritornare laggiu`... a casa, a Sagamihara.