Oggi tutto sta cambiando.
Certo, si avverte ancora quell`insolito senso di svuotamento della citta` accompagnato dal silenzio, dall`oscurita` dei condomini privati temporaneamente dei propri abitanti, ma sono sensazioni molto ridotte rispetto a un tempo.
Io sono rimasta in citta`.
E con me diverse centinaia di migliaia di persone, molti italiani e forse anche in gran parte cosiddetti "immigrati esterni" che - vuoi per impianto culturale o vuoi per ristrettezze economiche - non hanno optato per la provvisoria fuga dalla metropoli.
Un giro, in questi giorni, per Corso Giulio Cesare, Corso Palermo, Corso Romania, ma anche per le vie del centro tradurra` in esperienza le mie parole.
Da bambina aspettavo sempre con ansia l`estate per poter finalmente dormire e non pensare alla scuola, anche se studiare mi piaceva e mi e` sempre piaciuto. Ma soprattutto ogni estate speravo che si potesse andare qualche giorno al mare e sebbene le vacanze estive della mia infanzia siano state poche e modeste, le ricordo ancora con nitidezza ed una certa dose di affetto.
Da anni ormai, cioe` da quando andai via dall`Italia spezzando irrimediabilmente tutta una serie di consuetudini che quasi inevitabilmente si perdono se non ci si circonda di connazionali, non avverto piu` quel bisogno indotto della villeggiatura estiva.
Ed essere ritornata qui non e` servito a ricucire un bel niente perche` ormai lo strappo era fatto e anzi, si e` allargato sempre piu`. Ma questo forse e` argomento per un`altra volta.
Sto riassaporando la mia citta` in veste estiva, una citta` alleggerita dalle troppe persone, dai troppi veicoli, dalle troppe voci che concorrono l`una contro l`altra durante il resto dell`anno.
Le mie parole non sono quelle della volpe indispettita davanti all`uva, ma semplicemente le riflessioni di chi ha smesso di esser parte di questa societa` ufficialmente nell`estate del millenovecentoenovantanove e non e` piu` tornata fra le sue fibre.
Mi manca viaggiare, piu` di quanto forse questo disadorno blog possa trasmettere.
Schegge di Giappone da me immortalate a giugno di quest`anno |
Pero` non voglio ora scivolare nel miserabilismo che a sua volta poi sfocia in un pessimismo fine a se stesso. Le cose capitano per un motivo, ne sono certa. Non vi e` casualita`.
E in quei giorni in cui avverto forte quel senso lacerante di nostalgia principalmente per il mio Giappone, fuggo dal pianto nudo e crudo. Quel pianto sconsolato che ti fa affondare nel letto e dove le lacrime bollenti e salate ti ricoprono il viso, facendovi appiccicare tutti i capelli disordinatamente un po` qui e un po` li`.
Quel pianto dove il buio si fa ancora piu` buio.
Ho imparato a fuggire da quel pianto di pura nostalgia perche` porta con se` un sapore sgradevole: quello della speranza che scivola via come un pugno di rena contro vento.
Allora cerco le carezze per l`anima.
Vi ricordate di Jack Canfield e della sua collezione di storie Brodo caldo per l`anima? Erano raccolte di storie vere che avevano come scopo quello di coccolare le nostre anime tartassate quotidianamente da continui esempi di cinismo, di crudelta`, di soprusi, il tutto amplificato a dismisura con l`arrivo di Internet che funge da inarrestabile cassa di risonanza . Sono degli abbracci per chi ha perso o sta perdendo fiducia nel genere umano pensando che esso non sia piu` in grado di agire con bonta`.
Io trovo e ritrovo ciclicamente i miei brodi caldi per l`anima nel ricreare i sapori che amo. E anzi, e` proprio nel ricrearli da sola che ritrovo grande sollievo perche` riuscire a ritrovare, con risorse estremamente limitate e in una cucina che forse e` piu` piccola del vostro sgabuzzino, quei sapori che qui sono difficili da incontrare e` una conquista ed un abbraccio. Ogni volta.
Per me un soul food che mi e` d`ausilio nel riconnettermi col Kanagawa sono gli onigiri oppure omusubi, se proprio voglio usare il termine piu` - diciamo cosi` - del cuore. Vi ricordate quando ve ne parlai? Fate un salto nel passato cliccando QUA, QUI tra i tantissimi articoletti che ho dedicato a questo cibo semplice ma deliziosamente speciale.
Li ho ripreparati molto di recente.
Ho misurato il riso.
Riso giapponese, varieta` Shinode. |
Non e` un compito troppo ingrato e comunque le varieta` che si trovano sono tutte direi piu` che discrete. La maggior parte di esse proviene dalla Lomellina dove, oltre ovviamente le varieta` nostrane tradizionali, si coltiva riso di provenienza giapponese trapiantato in Italia.
Voi sapete che, salvo rarissime e costose eccezioni, il riso giapponese d`importazione in Italia non si trova. Quello che abbiamo qui e` il cosiddetto "sushi rice", una denominazione data per fornire un indizio su un possibile (ma non di certo l`unico!) utilizzo di questa particolare varieta` di riso.
Se abitate a Torino e dintorni, datemi retta e prendete l`Okome-san oppure lo Shinode nelle botteghe di Porta Palazzo dove li troverete a prezzi onesti. Lasciate perdere la pomposita` pretenziosa dei sushi rice etnici ed esotici della grande distribuzione o - peggio ancora - delle bio botteghe et similia.
Sconsiglio, a meno che non sia davvero l`unica soluzione, di ricorrere a sostituti perche` il risultato sara` diverso e non soddisfacente. Lasciate quindi perdere gli esperimenti con l`Originario o il Vialone Nano. Lo so, si dice che si prestino bene come sostituti, ma non e` proprio vero.
No e poi no categorico per il Basmati o il Thaibonnet, due varieta` assolutamente inadatte per la cucina giapponese.
Sono varieta` di riso non intercambiabili ed e` sufficiente esaminarne i chicchi crudi, anche solo in fotografia, per rendersene conto.
I miei ripieni preferiti per gli onigiri sono le umeboshi 梅干し:
e l`okaka おかか ossia katsuobushi, o scaglie di tonnetto bonito secco, mischiato a qualche goccia di salsa di soia.
La preparazione degli onigiri e` poi molto semplice e - sapete - non servono formine od aggeggi particolari. Servono solo le vostre mani, buona volonta`, un sorriso e un paio di altre cosette che ora vi mostro.
Avrete bisogno ovviamente del vostro riso cotto al vapore, possibilmente caldo, del sale marino, una scodella d`acqua fresca, dell`alga nori giapponese e i ripieni che avrete scelto.
Il mio piano di lavoro:
Esistono varie tecniche, tutte accettabili purche` portino allo stesso risultato.
Io mi inumidisco le mani nella scodella d`acqua fresca, dopodiche` metto un pochino di sale nel palmo di una mano e - lavorando rapidamente - inizio a maneggiare una dose di riso cotto. Per dosare il riso cotto potete aiutarvi con una semplice scodellina, tipo quelle da riso oppure da miso.
Aiutandomi poi con il dito indice, faccio un buchino al centro dell`onigiri e vi inserisco il ripieno che desidero. A questo punto, sempre alla svelta, finisco di modellare il mio omusubi chiudendo il buchino del ripieno e dando alla polpetta la sua forma finale che potra` essere tringolare, sferica, cilindrica, ecc. Sempre onigiri sara`.
E infine, se voglio ma non e` di certo un obbligo imposto dalla legge, aggiungo una foglia di alga nori di qualita`.
Ecco il mio soul food, la mia carezza, i miei onigiri per l`anima:
Preciso una cosa importante che sento di dover sottolineare: per cortesia, non mettete l`aceto nel riso degli onigiri!
Ho notato questa terribile abitudine che, mi dicono, nasce dalla denominazione data al riso tipo giapponese a cui accennavo prima, ossia sushi rice. Un fraintendimento un po` duro a morire.
Sono onigiri, non e` sushi.
Il riso per onigiri non e` condito. Il sale, come avete visto, lo si mette in quando si modellano gli omusubi e non in cottura. L`unica cosa che, se proprio volete, potete usare per dare un aroma in piu` al riso in cottura e` una striscia di alga konbu che rimuoverete non appena l`acqua avra` preso bollore.
Mi siedo, sospiro con calma, prendo delicatamente uno dei miei onigiri e lo addento con affettuosa golosita`.
Altro angolo di Giappone a Torino, da me immortalato a giugno di quest`anno. |