Domenica pomeriggio sono andata a fare la spesa da Takara-ya, il mio supermercato di zona. Takara-ya e' circondato da una parte da un folto boschetto, mentre dall'altra da una strada a due corsie che - se percorsa interamente e senza alcuna deviazione - porta dritto dritto a casa mia.
Da Takara-ya trovo sempre un assortimento di frutta e verdure che, seppur modesto, ha prezzi molto onesti; inoltre, la scelta degli alimentari in vendita fortunatamente ricade sempre su prodotti nazionali, e spesso anche di produzione addirittura locale. Mi piace molto questa preferenza per i prodotti nazionali perche', al di la' degli ovvi vantaggi economici a favore di aziende giapponesi e soprattutto piccole aziende a conduzione famigliare - mi da' la possibilita' di sperimentare ed assaggiare ingredienti sempre freschissimi e che spesso rappresentano con orgoglio la tradizione agricola di una certa regione.
E domenica pomeriggio, proprio vicino all'ingresso del supermercato, un enorme scatolone stracolmo di サツマイモ satsumaimo (patate dolci giapponesi) ha subito attirato la mia attenzione.
Le satsumaimo in vendita erano per la precisione delle ベニアズマ beni-azuma, ossia una varieta' di patata dolce giapponese. Queste beni-azuma provenivano da 茨城県 Ibaraki-ken (Prefettura di Ibaraki).
Ripensando per un attimo a cio' che ho scritto nell'articoletto precedente a questo a proposito di come il colore "rosso" venga tradotto in giapponese, ecco che anche in questo caso ritroviamo quel kanji cosi' poetico e che non ama essere troppo diretto nell'esprimersi: 紅.
Se scrivessimo il nome di queste patate in kanji (anche se in genere - ma non sempre - i nomi di frutta, verdura, piante e fiori vengono scritti in katakana, e a volte in hiragana) otterremmo la seguente coppia: 紅東 beni-azuma.
Il primo kanji si puo' leggere in vari modi, ed una delle sue letture kun* e' una bellissima parola: べに beni.
Beni vuol dire rosso, ma non un rosso ovvio. Beni e' un rosso arricchito ed abbellito da altre tonalita'; e' un rosso che non ama essere riduttivamente definito tale.
E queste patate sfoggiano una meravigliosa buccia il cui colore e' a meta' tra il rosso, l'amaranto, il fucsia, il rosa e il marroncino. Ecco perche' il kanji 紅 riappare anche in questo caso.
Il secondo kanji 東 possiede varie letture, una delle quali (anche se poco utilizzata) e' azuma. Questo bel kanji significa est. Non a caso, e' il primo kanji della parola Tokyo: 東京 tookyoo, ossia capitale dell'est.
Pare che le beni-azuma si chiamino cosi' per via del loro colore e della zona d'origine in cui vengono coltivate. Queste satsumaimo si trovano anche in altre parti del Giappone, ma si coltivano prevalentemente nella Prefettura di Ibaraki che si trova nell'area del 関東 Kantoo, quella stessa area dove sono situati per esempio Tokyo, il Kanagawa ed appunto la Prefettura di Ibaraki. Ecco il perche', dunque, del secondo bel kanji.
Il kanji beni si usa anche per la parola "rossetto" e che in giapponese si traduce con 口紅 kuchi-beni, ossia il "rosso per le labbra". Trovo sia molto graziosa questa parola perche' rievoca immagini di antichi belletti. Delicata la parola beni usata in questo senso perche' rende aggraziata l'idea del trucco attraverso un rosso non rosso.
Le satsumaimo sono tuberi tipicamente autunnali, ed e' questo il periodo migliore per comprare delle ottime patate dolci che, preparandole nel modo che piu' preferite, regaleranno alla vostra casa una fragranza dolce e delicata.
Ho pensato di preparare le beni-azuma alla contadina, utilizzando una semplicissima ricetta che riflette i sapori delle campagne giapponesi. La ricetta, come vedrete, e' facile e richiede pochi ingredienti.
Le satsumaimo preparate in questo modo sono un ottimo e sano おやつ oyatsu (snack o merenda per il pomeriggio) tradizionale. Le potete, pero', anche servire a pranzo o a cena come accompagnamento per piatti di carne, pesce, verdure, ecc.
*Piccola nota linguistica: i kanji sono generalmente corredati da varie "letture" ossia modi con cui pronunciare lo stesso carattere. E quasi ogni kanji possiede almeno una lettura on ed una lettura kun. Le letture on (音読み on-yomi) sono di origine cinese e riflettono a grandi linee la vecchia pronuncia cinese in voga nel periodo in cui i kanji iniziarono a venir importati in Giappone; le letture kun (訓読み kun-yomi) invece riflettono le pronunce indigene.
Prendendo, ad esempio, il kanji 紅vediamo che una delle sue letture on e' : コウ koo. Una delle sue letture kun invece e' べに beni.
紅アズマ田舎風煮
Beni-azuma inaka-fuu-ni
Beni-azuma bollite alla campagnola
Beni-azuma inaka-fuu-ni
Beni-azuma bollite alla campagnola
Ingredienti
1 patata dolce giapponese di medie dimensioni
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di salsa di soia
4 cucchiai di sake
circa 500ml d'acqua
Lavare bene la patata e tagliarla a rondelle dello spessore di circa 2cm.
Mettere la patata affettata in un pentolino e ricoprirle con il mezzo litro d'acqua fredda. Lasciare a bagno le patate per circa venti minuti.
Trascorsi i venti minuti, mettere il pentolino sul fuoco e far cuocere il tutto a fuoco medio-basso fino a quando le patate non si saranno ammorbidite. Durante la cottura, se possibile, coprire il pentolino usando un 落し蓋 otoshibuta.
L'otoshibuta e' uno degli accessori tradizionali utilizzati nelle cucine giapponesi, ed e' un semplice coperchio di legno che si usa quando si fanno sobbollire ingredienti delicati (per esempio del pesce o delle patate); lo si mette direttamente nella pentola, sopra i cibi in cottura. L'otoshibuta galleggia durante la cottura, e fa in modo che non si formino bolle d'aria troppo grosse e che potrebbero appunto rovinare la forma degli ingredienti che stiamo cuocendo.
Non e' indispensabile possedere un otoshibuta, ed uno dei trucchetti molto utilizzati anche da queste parti per supplire alla mancanza di uno di questi coperchi e' quello di ritagliare un pezzo di carta da forno dando ad essa una forma piu' o meno tonda. In mezzo, poi, bastera' fare dei buchetti con le forbici. Ricordo che Kyoko utilizzo' proprio questa tecnica in una ricetta che m'insegno' tempo fa: eccola qua.
Non appena le patate si saranno ammorbidite, togliere l'otoshibuta, abbassare la fiamma al minimo ed aggiungere lo zucchero, la salsa di soia ed il sake'.
A questo punto vorrei fare una piccola precisazione che e' piu' che tutto una curiosita': nella tradizione della cucina casalinga giapponese si dice che gli ingredienti basilari utilizzati per salse e condimenti non vadano mai aggiunti a casaccio durante la preparazione, ma vadano aggiunti seguendo un ordine ben preciso. Se studiate il giapponese, saprete che il primo gruppo di sillabe dell'hiragana (e naturalmente anche del katakana) e' quello con la S ed e' composto dalle seguenti sillabe: さ し す せ そ sa-shi-su-se-so.
Ebbene, secondo quanto sostiene questa credenza popolare, gli ingredienti andrebbero aggiunti un po' per volta seguendo appunto l'ordine del gruppo di sillabe con la S, quindi:
さ sa sta per zucchero (砂糖 satoo)
し shi sta per sale (塩 shio)
すsu sta per aceto di riso (酢 su)
せ se sta per salsa di soia (しょうゆ shooyu**)
そ so sta per miso (味噌 utilizzando quindi il "so" della parola miso)
**Alcuni sostengono che l'antico nome della salsa di soia fosse せうゆ seuyu, e cio' spiegherebbe il perche' l'hiragana se sia stato assegnato alla salsa di soia. Altri invece non sono d'accordo con questa teoria, e dicono che il vero nome antico della salsa di soia fosse in realta' しやうゆ shiyauyu.
Interessante, vero?
Siccome nella ricetta di oggi ci sono solo due ingredienti che appaiono nella vecchia lista del sa-shi-su-se-so, li ho comunque aggiunti nell'ordine giusto, ossia: zucchero, salsa di soia, e poi per ultimo il sake'.
Lasciar sobbollire il tutto a fiamma lentissima fino a quando meta' del liquido di cottura non sara' evaporato.
Servire, magari spolverando le vostre satsumaimo con un pizzico di semi di sesamo nero. 出来上がりです! Dekiagari desu!
In questo periodo, assieme alle satsumaimo, nei mercati ortofrutticoli e nei supermercati appaiono alcune verdure che ci deliziano della loro presenza solo in certi periodi dell'anno. Ad esempio, questo e' il periodo delle 金時にんじん kintoki-ninjin, ossia le carote giapponesi.
Ne ho trovate di freschissime e che arrivavano dalla Prefettura di Okayama:
Come vedete, queste carote sono quasi rosse! Non trovate siano bellissime? Pensate che le normali carote a cui siamo abituati iniziarono a comparire sul mercato giapponese solo verso gli inizi del Periodo Meiji (1868). Fino a quel momento, pero', la carota tradizionale del Giappone era sempre e solo stata la kintoki-ninjin la cui coltivazione, a quanto pare, ebbe origine gia' nel Periodo Edo!
Adesso queste croccanti e dolcissime carote kintoki si trovano perlopiu' verso la fine dell'anno perche' sono uno degli ingredienti quasi insostituibili per la preparazione di piatti speciali per Capodanno perche', grazie al loro colore acceso, abbelliscono la presentazione e si prestano alla perfezione a dare un tocco propiziatorio alle deliziose specialita' simboliche che imbandiscono le tavole giapponesi a cavallo fra dicembre e gennaio.
Le kintoki-ninjin, a differenza delle nostre carote, oltre ad essere di un intensissimo arancione quasi rosso, hanno una buccia molto spessa. Inoltre, sono particolarmente profumate, e sebbene il loro aroma sia simile a quello delle carote normali, il loro e' decisamente piu' forte. Anche il sapore e' piu' marcato, ma al tempo stesso e' ingentilito da una delicata nota dolce.
Colgo l'occasione per segnalarvi un evento molto particolare e degno di nota: la scuola di culture e discipline orientali Yoshin Ryuu ha organizzato una mostra dedicata alle maschere del teatro No, e che sta avendo luogo a Torino, e piu' precisamente a Palazzo Barolo. Se abitate a Torino o se avrete la possibilita' di trovarvi da quelle parti, vi consiglio caldamente di andare a far visita a questa mostra che e' iniziata il 14 novembre e che terminera' il 20 dicembre. Cliccate qua per maggiori informazioni.
ps. Appena possibile, finiro' di rispondere a tutti i commenti ricevuti nei giorni scorsi. Grazie ancora a tutti voi che leggete e che commentate!
Buona lettura e buon proseguimento di settimana!
11 commenti:
Di patate dolci ho esperienza solo delle cosidette "Patate americane" ma già la differenza si nota dal colore quindi probabilmente anche il sapore sarà decisamente diverso. Io solitamente le preparo nel forno lasciandole così intatte, chissà se questa ricetta che hai usato avrà successo anche con le patate americane!
E' davvero carino come le rondelle abbiano la forma di un fiore^_^
E' molto interessante l'ordine degli ingredienti! In effetti pensadoci ogni tradizione (sia che riguardi il cibo, o anche solo una particolare attività manuale) ha un suo preciso rituale che non darebbe lo stesso risultato se fatto senza cura e precisione.
E come sempre sono molto carini i piatti che utilizzi per le pietanze! Soprattutto quello utilizzato per servire le rondelle!
Mh ma la buccia delle kintoki-ninjin viene tolta?
Ciao!
Cristina
non ho parole1 Con te non si finisce mai di imparare...
Ciao Mari,
avevo lasciato un commento qui sul tuo blog molto tempo fa, poi ho sempre continuato silenziosamente a leggerti. E ogni volta che leggo un tuo post mi sembra di essere trasportata in un altro mondo. Io sono stata due volte in Gippone e con te ritrovo quell'atmosfera che tanto mi manca. Spieghi le usanze di questo paese a volte così diverso dall'Italia con una delicatezza e un amore che non ho ritrovato in nessun altro blog di quelli che abitualmente leggo. La prossima volta che tornerò, mi farebbe piacere conoscerti di persona :)
Giulia
Finalmente trovo un minuto per venire a leggere gli arretrati sul tuo blog che è sempre entusiasmate e terribilmente interessante :)
Quelle patate dolci sono bellissime, e immagino siano anche buonissime :)
Ahimè in Italia le uniche patate dolci che si trovano, sono quelle dette "americane". Io le adoro fritte :) GGnam!
Mi hanno incuriosito molto anche le carote Giapponesi, ma anche la polpa è rossa? Oppure dentro sono bianche?
Un bacion Mari, corro a leggere gli altri post più vecchi ;)
Fantastica!!!Mi piace moltissimo questo fil rouge (ancora rosso) tra il quotidiano e il significato - o la forma - dei kanji...Complimenti!
Marianna
Sai che mi piacciono i tuoi post, quando poi li arricchisci di spiegazioni sulla lingua mi piacciono ancora di più!!
Grazie mille!!
La mia passione per il Giappone è relativamente recente... dopo aver eltto L'eleganza del riccio ho scoperto di averla già nel mio DNA... quando spulcerai il mio blog se ti va leggi cosa ho scritto sull'argomento, con la preghiera di essere clemente se ho detto panzane!!
Scusami, il post di cui ti parlavo lo puoi trovare sotto la tag "libri"...
Ciao, è da molto che seguo il tuo spazio, sempre molto interessante e curioso. adoro il Giappone, in particolare la letteratura orientale e il culto del tè, che adoro. felice di conoscere persone che hanno i miei stessi interessi. ;-)
(le tue ricette han sempre l'aspetto di essere deliziose) :-)
Ciao Dolcissima Mary,
ti invio tutti i commenti in pazzesco ritardo, e me ne dispiaccio.
Adoro le patate dolci e qui non è un articolo che si trova facilmente. La ricetta che hai proposto è allettante e la voglio provare. In questi mesi sono stata alla vana ricerca di un ristorante Giapponese, o meglio di ristoranti che proponevano il solito menù: Sushi, sashimi. Ne sono rimasta delusa e affranta, che qui in Sardegna non ci sia un ristorante gestito da puri Nipponici.
Finché la scorsa settimana ne han aperto uno che si chiama Sakura.
quale gioia, ma subito che amara delusione! E' tutto gestito da Cinesi...e come posso fidarmi?
Guarda sono a un punto morto.
L'unica cosa genuina son stati i dolcetti che mi avevi inviato come regalo al mio ordine del bento e il maneki neko....
baci mia cara buona domenica.
dA tIZY
Buon giorno ho letto l'articolo e mi è piaciuto molto. Mio fratello vive da parecchi anni in Giappone e riesco ad avere semi per le mie coltivazioni, da quest'anno propongo ai miei clienti anche le patate universitarie e stanno riscuotendo successo... ma non ne so mai abbastanza, il tuo articolo è molto bello! ありがとう
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