Sara' forse il mio carattere, non so, ma mi ritrovo spesso a camminare con il naso all'insu' mentre ammiro e rimiro tutto cio' che mi circonda. Se non sono particolarmente di fretta, mi piace molto camminare lentamente, ed assaporare con gli occhi tutti quei piccoli dettagli che con molta probabilita' appaiono poco importanti, se non del tutto insulsi, alla maggior parte delle persone.
Particolari come il vermiglio acceso di alcune bacche selvatiche; il blu vivace ma regale delle tegole di una vecchia casa; l'antico incensiere di rame del tempio; il candore di uno striscione svolazzante; un muro sepolto da un'invadente ma affascinante coltre di brillante edera; dei fiori arancioni che stanno gia' appassendo; un alberello i cui esili rami danno ospitalita' ad una famigliola di passerotti.
Ecco, questi sono i dettagli che catturano il mio sguardo e che - se non faccio piu' che attenzione - rischiano di farmi inciampare o di farmi andare a sbattere da qualche parte.
La settimana scorsa, mentre tornavo a casa dall'universita', ho rallentato ancora di piu' il passo e mi sono messa ad ammirare le migliaia di foglie che adornavano i marciapiedi, le strade ed i cortili e giardini delle case.
Le foglie che vedevo erano cosi' graziose che mi e' sembrato impossibile scorgerne di brutte. C'erano foglioline rotondeggianti; ce n'erano di ovali; ce n'erano di allungate e con delle minuscole spine ai lati. C'erano poi foglie piu' larghe del palmo di una mano, mentre ce n'erano alcune cosi' piccole da sembrare quasi delle deliziose miniature.
I giapponesi, sempre cosi' sensibili ed attenti al cambiar delle stagioni, fin dai tempi piu' remoti amano ammirare proprio i colori autunnali delle foglie. In giapponese esiste addirittura una parola che racchiude in essa proprio il variare dei colori in autunno, soprattutto dei colori delle foglie: 紅葉 kooyoo. Il primo kanji 紅 - e che si puo' leggere akai, kurenai, beni, koo, ku - significa "rosso". Pero' la bellezza di questo kanji sta nel suo non essere schietto. Mi spiego meglio: in giapponese, i colori hanno nomi molto particolari e che rivelano una tale profondita' poetica che si scopre e si apprezza solo col tempo. Il colore "rosso" ne e' un esempio: esiste l'aggettivo 赤い akai che vuol dire rosso e che si utilizza generalmente per far riferimento ad un qualcosa il cui colore e' proprio rosso, come ad esempio un vestito rosso, una rosa rossa, una tazza rossa, ecc. Diciamo che akai e' schietto e diretto perche' ci dice che qualcosa e' rosso, senza stare a girare tanto intorno alla questione.
L'altro kanji, invece, (e che combinazione si puo' anche leggere akai, tanto per facilitare le cose a noi studenti di giapponese) e' il kanji che attualmente si usa in cinese mandarino per il colore "rosso" e che, se non erro, in quella lingua viene pronunciato hong (con la seconda tonalita'). In giapponese, il kanji 紅 si preferisce usarlo per fare riferimento a qualcosa che e' rosso ma non completamente; un qualcosa che magari possiede sprazzi di una tinta rossastra. Ad esempio, si usa per il te' nero (o te' occidentale), quello che qui chiamano 紅茶 koocha, cioe' te' rosso.
E la parola kooyoo, quindi, ci parla di tinte rosseggianti che abbelliscono le foglie autunnali, foglie che pero' sfoggiano anche sprazzi di tonalita' giallognole, marroncine e verdastre. Ecco perche' lo schiettissimo 赤い akai non andrebbe poi cosi' bene.
E mentre appunto ritornavo a casa, mi sono fermata piu' volte ad osservare alcune foglie che - cadendo dagli alberi - volteggiavano nell'aria; altre erano ancora debolmente attaccate ad un ramo, mentre tante altre erano gia' per terra e sembravano quasi formare un morbido tappeto colorato.
Queste foglie erano davvero tutte splendide; tante piccole opere d'arte della natura, generosamente e gratuitamente elargite a chi le avesse volute. E io ho provato il desiderio di portarmene qualcuna a casa, e cosi' ne ho raccolte alcune che spero vogliate ammirare assieme a me.
Quest'ultimi ricoprono un ruolo molto particolare e che in genere e' legato a ricorrenze ed occasioni speciali; generalmente i bicchierini laccati da sake' si usano nel corso di cerimonie, feste di compleanno, anniversari, ecc. ; si usano, dunque, in momenti di festa e di celebrazione.
Ecco, erano proprio dei sakazuki laccati che mi e' capitato di ammirare in una rivista, e dopo averli visti desideravo anch'io averne uno, possibilmente vecchio.
Qualche tempo dopo sono stata accontentata.
Mentre ficcanasavo in una montagna di libri polverosi e con le copertine ondulate ed ingiallite di un negozio di cose vecchie, ho trovato questa scatola di legno di cipresso, distrattamente legata con un laccio turchese.
Ed eccolo qua in tutto il suo laccatissimo splendore:
Ed ecco l'interno del sakazuki, abbellito dal crisantemo, ossia il sigillo della casa imperiale giapponese perche' il santuario e' dedicato all'Imperatore Jinmu (神武天皇 Jinmuu Tennoo), ovvero il primo Imperatore del Giappone, secondo quanto ci dice la mitologia nipponica.
Termino l'articoletto di oggi con una foto di uno degli omiyage che Fusae mi ha portato venerdi' scorso. Era gia' quasi un mese che non c'incontravamo, ed e' stato quindi molto emozionante rivederla! Assieme ad una scatola di deliziosi cioccolatini parigini (un omiyage del suo recentissimo viaggio nella capitale francese), ed alcune succosissime mele, un sacchetto di profumatissimi yuzu del suo giardino!!
Guardate che splendore: