giovedì, giugno 03, 2010

Colori, profumi e ricordi pechinesi (2)

(A sinistra: un particolare di una porta laccata, all'interno della Citta' Proibita. Tutte le foto di questo articoletto sono opera di mio marito e mia).

Una melodia molto cinese proveniente da una delle torri di Beijing Zhan si attiva automaticamente ogni ora, dalle sei del mattino alle otto di sera, segnalando l'ora esatta attraverso un numero di rintocchi che variera' di volta in volta.

Quando siamo arrivati in albergo, quella dolce melodia aveva gia' smesso di distribuire generosamente le sue note attraverso quei vecchi e gracchianti autoparlanti. La mattina seguente, pero', e' stata proprio la musichetta di Beijing Zhan ad augurarmi il buon risveglio.

Se non fosse stato per Stephanie, l'unica persona ad averci accolti calorosamente, mi sarebbe venuta subito voglia di scappare dato che al front office di quell'albergo non ci hanno nemmeno degnato di uno sguardo. Sono rimasta allibita nell'assistere alla totale indifferenza degli addetti al front desk nei nostri confronti. Non un saluto, non un benvenuto. Niente. Senza nemmeno guardarci in faccia, hanno allungato una mano aspettando che consegnassimo i nostri passaporti.

Non ci potevo credere. Mi sembrava di essere su un altro pianeta.

Dopo aver posato le nostre cose in camera, siamo subito scesi in piazza a fare un giretto. Eravamo molto stanchi, ma la curiosita' era troppa. E anche la fame cominciava a farsi sentire.
Con mia grande sorpresa, ho scoperto che quasi tutti i negozi e ristoranti a Pechino chiudono abbastanza presto. Turisti o non turisti, verso le nove si chiudono i battenti, si spengono le insegne e si va a casa.

Erano gia' quasi le dieci, e di aperto era rimasto ben poco.
Al bar dell'albergo ci era stata offerta una consumazione gratuita e che abbiamo accettato volentieri. Dopo esserci seduti su alcuni sgabelli traballanti, abbiamo aspettato le nostre bevande. La barista, una ragazza dal sorriso stanco, ci ha portato senza salamelecchi una birra Yanjing (l'onnipresente birra pechinese per eccellenza) ed un caffe' bollente.

Da dietro il bancone e' emerso uno scenario un po' sconfortante fatto di un pavimento molto sporco, stracci di colori indefiniti, mobiletti con ante pericolanti. La ragazza dal sorriso stanco era impegnata a metter via alcune bottiglie, e per riuscire a raggiungere una mensola in alto, e' salita con le scarpe su una delle sedie del locale.

La tentazione di cadere nella trappola del continuo paragone fra Giappone e Cina era costante, ma abbiamo resistito. D'altra parte, sarebbe stato da stolti lasciarsi abbindolare da conclusioni cosi' affrettate e dopo cosi' poche ore di Cina.

Sulla piazza di Beijing Zhan di aperto c'erano solo un piccolo supermercato, un paio di ristoranti dall'aria poco convincente, ed un famoso fast-food cinese di nome Mr. Lee 李先生 Li-xiansheng (in giapponese sarebbe Sumomo-sensei). Mr. Lee e' una catena puramente cinese di fast-food la cui specialita' sono piatti tipici della cucina locale, e in particolare una zuppa di manzo, il tutto offerto a prezzi molto popolari. Quest'azienda cerca di fare concorrenza spietata ai vari McDonald's e KFC che inquinano abbondantemente la vecchia capitale, offrendo prezzi alla portata di tutti e sapori davvero tradizionali e che hanno ben poco a che spartire col Quarter Pounder o le Crispy Strips.

Da Mr. Lee quasi tutti i tavoli erano deserti. Meta' del locale era al buio, mentre l'altra meta' era illuminata da una lampada tremula al neon. Gli unici clienti erano due uomini cinesi sulla quarantina e che, dopo aver finito un pasto abbondante, stavano avidamente ingoiando gli ultimi sorsi di Yanjing prima di alzarsi. Dopo aver tranquillamente buttato a terra diversi tovaglioli sporchi ed appallottolati, e dopo aver ruttato fragorosamente, se ne sono andati sbattendo la porta.

(Nella foto: un particolare di alcune finestre, nella Citta' Proibita).

Quel poco di cinese sgualcito che ancora credevo di ricordare mi ha abbandonata senza alcuna spiegazione, lasciandomi in balia del menu' di Mr. Lee tutto scritto in quel cinese semplificato cosi' caratteristico della Cina continentale.

Superati i primi secondi di panico, ho ritrovato la calma e con essa i miei amati kanji giapponesi che, piano piano, mi hanno aiutata a decifrare zuppe, piatti di carne e di pesce, riso saltato, verdure in umido, te' al crisantemo, te' al gelsomino e varie.

Da un cucinino scuro situato nella parte buia del locale e' arrivato un signore anziano con in mano due piatti fumanti: uno di pesce in agrodolce e bok-choy (una varieta' molto gustosa di cavolo), e uno di tofu e verdure saltate. Sono arrivati poi un boccale dell'immancabile Yanjing, del te' caldo, e due scodelle di riso al vapore.

Le bacchette cinesi, molto piu' lunghe di quelle giapponesi e con una punta squadrata, si sono rivelate un po' impegnative all'inizio; pur tuttavia, prendere confidenza con le kuaizi (bacchette cinesi) e' stata solo questione di pochi minuti.

Quei primi sapori cinesi avevano un che di delizioso e distante al tempo stesso. Erano gradevoli ed estranei contemporaneamente. Quell'agrodolce cosi' diverso dall'agrodolce che conoscevo era piacevolmente piccante e sapeva di anice; quel fragrante riso al vapore sembrava essere anni luce di distanza dal buon koshihikari che mangiamo noi qua in Giappone . . . sono entrambi risi al vapore, eppure la differenza che intercorre fra loro e' abissale.

Quel nostro pasto, consumato in quel locale poco illuminato e silenzioso, e' stato il nostro primo assaggio di sapori cinesi in Cina.

Il tratto di strada che separa Beijing Zhan dall'albergo e' breve, ma attraversarlo significa dribblare persone sdraiate a terra, immondizia e residui vari dei tanti chioschetti della piazza. Significa anche attraversare un pezzo di strada dove i pedoni non hanno mai precedenza e dove le luci del semaforo non sono che lucine colorate.

Una notte di sonno ristoratore e quelle dolci note di Beijing Zhan alle sei mi hanno messo addosso la voglia di prepararmi subito ed uscire.

Nonostante l'onnipresente grigiore nel cielo di Pechino - un inquietante alone causato dai livelli astronomici di smog presenti nella citta' - un sole brillante ed un'aria tiepida ci hanno accolti quel mercoledi' mattina, e ci hanno accompagnati in una lunga camminata fino a Piazza Tian'an men (in cinese si chiama 天安门广场 Tian'an men guangchang; in giapponese 天安門広場 Ten an mon hiroba).

C'era tanta tanta gente, ma questo c'era quasi da aspettarselo. Folti gruppi di turisti da ogni parte del mondo costellavano l'immensa piazza.
Un incessante viavai di enormi pullman continuava ad alimentare l'ormai soffocante numero di persone, ma questo non mi ha impedita di fermarmi - anche se per pochi minuti - a riflettere. Mi sono fermata perche' desideravo assapore con piena consapevolezza quel momento e quel luogo.

Ero davvero in Piazza Tian'an men.
(Continua)

3 commenti:

clelia ha detto...

... la Cina turistica è un luccichìo .. quella reale.. e triste realtà..e miseria umana, niente di più, nulla di meno di quanto si possa trovare in giro per il mondo. Il turismo è guadagno e luce.. la raltà..tutt'altro..
Continua , Marianna che si aprono paraventi spessi mille anni .. abbiamo tutti necessità di luce e di comprendere.
Grazie per le tue testimonianze
Clelia

Unknown ha detto...

Clelia cara,
Non immagini quanto incoraggianti siano le tue parole.
Grazie di cuore.
Sono stati pochi i giorni trascorsi a Pechino, pero' sono stati giorni che ho vissuto molto intensamente. Ho riflettuto tanto su cio' che ho visto; ho riflettuto su quei dettagli apparentemente sciocchi e privi di significato, ma che invece mi hanno veramente fatta sentire ai confini della Terra.
Naturalmente questi pochi articoletti che in questi giorni sto dedicando a Pechino non sono che una semplice raccolta di pensieri, ricordi ed osservazioni, e probabilmente saranno in contrasto con le esperienze di chi la Cina la vive quotidianamente da tempo, pero' il bisogno di dar voce a cio' ho sentito e' fortissimo.

Un abbraccio!

clelia ha detto...

Ti sei espressa in modo similare a mio marito quando è rientrato da uno dei suoi viggi per lavoro in Russia. Ci si immagina una cosa e se ne vede un'altra.. e la voglia di raccontare la vertà.. è forte!!!
Solo così si coprende che tutto è mirato a dare un'immagine.. o così o così!! ma non è così!!!!
Non in tutta la Cina, non pertutta la popolazione cinese.
Clelia