lunedì, aprile 26, 2010

Emozioni a Kyoto - secondo atto

(Una lanterna di Gion. Tutte le foto di questo articoletto sono opera di mio marito e mia. Per cortesia, non usate queste immagini senza il mio permesso).

In quel bel pomeriggio di sole e dall'aria tiepida che sapeva di fogliame, un po' a malincuore abbiamo salutato il santuario Heian e quel suo incantevole giardino.

Dispiaceva andarsene. Ci sono posti a volte con cui si forma misteriosamente un legame immediato.

Ma le ore scivolavano via con la stessa rapidita' con cui fugge, dal palmo di una mano, un pugnetto di sabbia finissima, e il desiderio di vedere ed esplorare ancora un po' di quella Kyoto di fine aprile era cosi' forte da non poter essere ignorato.

Come milioni di lettori, anch'io sono stata letteralmente stregata dalle parole di Memorie di una geisha, di Arthur Golden. Ricordo ancora il modo in cui mi procurai quel libro: in quel periodo mio marito ed io abitavamo ancora nella parte ovest degli Stati Uniti, e anche li' l'amore per la lettura mi accompagnava quotidianamente. Nel tentativo di riciclare alcuni vecchi libri che non m'interessava piu' tenere, iniziai a fare scambio di tomi con alcune amiche, e fu proprio grazie ad uno di questi baratti libreschi che venni in possesso del romanzo di Golden.

All'epoca le mie conoscenze sul Giappone erano molto vaghe e perlopiu' basate su nozioni assorbite un po' qua e un po' la', ma nulla di chiaro e che mi permettesse di capire se stavo avendo a che fare con un libro che racconta il Giappone che piace agli occidentali, oppure con una fonte affidabile, veritiera e senza inutili belletti.

Pur tuttavia, quel libro mi affascino' come pochi. Ricordo ancora adesso la magia di quelle descrizioni cosi' vivide e di quei personaggi che sembravano cosi' reali da potersi materializzare davanti ai miei occhi.
Ricordo specialmente le descrizioni che Golden fa di Kyoto e dei suoi antichi quartieri come Gion e Pontocho, e ricordo quanto intenso fosse il desiderio di poter un giorno visitare di persona quei posti che, nella mia mente, erano diventati sinonimo di magia.

Naturalmente all'epoca non avevo assolutamente idea che un giorno quel mio desiderio sarebbe diventato realta', e quindi spesso fantasticavo su ipotetici viaggi in Giappone e che mi avrebbero permesso di vedere coi miei stessi occhi quei luoghi incantati. Quel fantasticare pero' era un misto di pensieri dolci e amari: dolci perche' con la mente pregustavo quei viaggi, e amari perche' temevo che quei sogni potessero rimanere per sempre tali.

Due anni fa visitammo Kyoto per la prima volta, e a causa di una pioggia davvero insistente e di un'umidita' che aveva raggiunto livelli storici, non ci fu possibile passeggiare con calma e goderci appieno - e quanto avremmo voluto - i vecchi vicoli della citta'.

Quest'anno, pero', le cose sono andate diversamente. Quel sole brillante del pomeriggio ha fatto si' che avessimo tutte le carte in regola per camminare a passo lento e rilassato, con lo sguardo volto ora di qua e ora di la', e senza l'impiccio di un ombrello ingombrante, di scarpe inzuppate d'acqua, e di occhiali bagnati.

Erano quasi le quattro e mezza, e noi ci eravamo piacevolmente persi per le stradine di 先斗町Pontocho.

Un passo dopo l'altro, senza fretta alcuna.

E 祇園 Gion, il celebre quartiere delle 舞妓さん maiko-san e delle 芸子さん geiko-san (la parola geisha e' tipica del dialetto di Tokyo, mentre a Kyoto non si usa e, anzi, pare che li' abbia anche assunto un'accezione negativa), e' proprio a due passi da Pontocho...

Per evitare di venir travolti dagli assordanti gruppi di turisti che si accalcano tra la 四条通りShijo-doori (via Shijo) e Gion, abbiamo preferito allungare il passo e andare a perderci nuovamente per i vicoli secondari della vecchia Gion dove, proprio come immaginavo, non c'era nessuno.

Per quei profumati vicoli di Gion c'erano solo la presenza del sole del pomeriggio e e della malinconica melodia di uno shamisen le cui note scivolavano delicatamente da qualche finestra.

Tutto ad un tratto, all'angolo di uno di questi vicoli, ho notato un gruppo di circa tre o quattro persone che, con aria impaziente, sembravano aspettare qualcosa o qualcuno. In quel momento ho avuto un'intuizione e ho capito che, dopo aver strategicamente individuato un taxi nero fermo davanti ad una delle お茶屋 ochaya (e che letteralmente significa casa da te', anche se e' una parola che riflette una realta' antica e passata di quando questi locali servivano da punti di ristoro per i fedeli che andavano in pellegrinaggio ai templi e santuari), quelle persone stavano aspettando che una maiko-san oppure una geiko-san uscisse dal locale per venir poi quindi accompagnata altrove.

Proprio perche' eravamo in un piccolo labirinto di viuzze secondarie, la calca del corso principale era lontana e nessuno quindi correva il rischio di venir spintonato o strattonato da qualche zelante gitante.

Con al collo la mia Canon nera e con dentro di me un cuore che batteva a mille, mi sono timidamente unita a quei tre o quattro silenziosi signori ad aspettare qualcosa che non sapevo nemmeno io cosa fosse. Certo, un'idea ce l'avevo, ma non potevo essere sicura.

Qualche giorno prima di partire, dissi a Kyoko che saremmo ritornati a far visita alla vecchia capitale. Le dissi anche del mio desiderio di poter vedere (e magari fotografare) da vicino una maiko-san o geiko-san. Dopo tutte le dovute raccomandazioni, mi mise al corrente di alcuni spiacevolissimi incidenti capitati a certe maiko e geiko che, dopo essere state avvistate da alcuni turisti particolarmente senza scrupoli, sono state addirittura inseguite! Pare che alcuni turisti si siano persino permessi di toccare i loro kimono (e questa e' una colossale mancanza di rispetto!). Una maiko, addirittura, si e' vista persino tirare i capelli e quindi rovinare la delicatissima acconciatura e preziosissime forcine che l'adornavano. Assolutamente inammissibile!

Kyoko, quindi, si e' raccomandata tantissimo dicendomi - parole sue - "stai lontana da quel genere di persone che sono solo alla ricerca della foto perfetta, ma che non si curano di niente e di nessuno".

Arrivata dunque a quel vicolo di Gion il cuore mi batteva forte sia per l'emozione intensa che per il timore che un po' di egoismo potesse tingere le foto di quelle celestiali creature che speravo tanto di vedere.

All'angolo di quel vicolo il silenzio era quasi surreale. Nessuno dei presenti parlava. Sembrava quasi che stessimo tutti quanti trattenendo addirittura il fiato pur di non far rumore!

Nella testa mi si erano accavallati milioni di pensieri quando dalla casa da te' e' apparsa questa maiko-san:
Io ero senza respiro.

Non ho fatto in tempo pero' nemmeno ad ammirarla per una manciata di secondi che lei, velocissima, e' salita sul taxi dileguandosi per il labirinto di vicoli.

Nel giro di una frazione di secondi ho seguito con lo sguardo il taxi nero che velocemente spariva per le stradine assolate di Gion per poi voltarmi ed incrociare lo sguardo di queste due delicatissime fanciulle che, con i loro zoori, avanzavano a passettini piccoli ma risoluti.
Il mio cuore continuava a battere cosi' forte che ho quasi pensato si sentisse.

Ero molto emozionata nel poter - finalmente - vedere da vicino queste donne che rappresentano una testimonianza storica vivente. Se avessi avuto una bacchette magica con cui poter ritornare indietro nel tempo di cento o duecento anni, queste due leggiadre artiste sarebbero rimaste le stesse.

Nulla di loro sarebbe cambiato.

Il riuscire a posare il proprio sguardo su queste incantevoli fanciulle significa avere la preziosa opportunita' di poter letteralmente ammirare il volto del vecchio Giappone perche' loro erano cosi' come sono adesso. Mentre attorno a queste artiste tutto e' cambiato, si e' modernizzato, occidentalizzato, plastificato, andato in pasto alle multinazionali e al "Made in China", loro sono rimaste perfettamente e meravigliosamente immutate.

I colori - accuratamente selezionati in base alla stagione e alle ricorrenze - dei loro kimono; il loro trucco elaborato; le loro eleganti acconciature impreziosite da delicati fiori e forcine; il loro incedere fine e fragile.

Tutto e' rimasto deliziosamente inalterato.

Le due maiko-san si sono avviate verso la stessa casa da te' da cui, un paio di minuti prima, era uscita la prima maiko-san dal kimono rosa.

Ho smesso di scattar foto e, coi miei occhi lucidi, ho ammirato queste due maiko-san senza riuscire nemmeno a muovermi dal punto in cui ero.

Le ho viste avvicinarsi all'ingresso dell'ochaya e prima che svanissero per sempre dietro il noren bianco del locale, ho scattato un'ultima fotografia che ritrae le due maiko-san da dietro ed il だらり帯 darari-obi bianco panna ed amaranto di una delle due artiste.
E anche questa volta, nel giro di pochissimo, anche queste due maiko-san sono svanite, passando sotto il noren dell'ochaya e dileguandosi per un sentiero di pietra che conduce chissa' dove.

Io sono rimasta immobile per alcuni minuti dopo aver salutato, seppur solo con lo sguardo, quelle meravigliose artiste. Dopo un po', pero', ho raggiunto mio marito che era rimasto ad aspettarmi qualche metro piu' in la', e credetemi, non sono riuscita a descrivergli la bellezza di cio' che avevo visto. Non ce l'ho fatta perche' mi mancavano le parole e perche' sapevo che se avessi provato a tradurre in suoni, sillabe e parole cio' che sentivo, avrei udito la mia stessa voce rotta da una leggera commozione.

Mai, in vita mia, avevo avuto il privilegio di trovarmi al cospetto - e a cosi' poca distanza - da delle persone cosi' speciali che incarnano tutta l'essenza giapponese possibile e ogni singolo aspetto dell'incanto nipponico. Per alcuni istanti mi e' persin sembrato fossero fragili creature venute da un altro pianeta tanto e' diverso e misterioso tutto cio' che le riguarda.

Sono andata via col cuore gonfio di gioia e gratitudine, e anche forse un briciolo di tristezza per aver, forse, sottratto con l'obiettivo della mia macchina fotografica un po' di quell'inspiegabile aura che segue le maiko-san e le geiko-san ovunque loro vadano.

Ritornati sul corso principale che unisce in un complice abbraccio Gion alla via Shijo, ci siamo ritrovati nella bolgia dantesca fatta di folti gruppi di turisti, gente del posto e taxi in attesa. Eravamo proprio in questo marasma quando, ecco un'incantevole geiko-san in mezzo alla folla:
Ma quella magia che mi aveva accompagnata in quei vicoli di prima qua non c'era gia' piu'. Qui il tutto aveva il sapore di una fotografia fatta di corsa.

Pochi metri piu' in la', eccoci giunti davanti all'ochaya 一力亭 Ichirikitei, la sala da te' piu' antica, famosa, piu' prestigiosa e piu' esclusiva di tutta Kyoto. Per poter entrare all'Ichirikitei, una sala da te' che e' stata persino teatro d'importanti avvenimenti della storia giapponese, non basta essere ricchi: e' obbligatorio un qualche tipo di aggancio con uno o piu' clienti abituali. Solitamente, se non c'e' viavai di ospiti, davanti all'ingresso staziona un signore anziano dall'aria abbastanza minacciosa e che perentoriamente blocca l'ingresso a tutti, tranne naturalmente ai piu' fidati.

L'Ichirikitei, come quasi tutte le sale da te' di Kyoto, si avvale pienamente e senza eccezioni di un principio noto in giapponese come 一見さんお断り ichigen-san o-kotowari secondo cui, senza l'invito ufficiale da parte di uno o piu' clienti abituali di una certa sala da te', l'ingresso e' rigorosamente proibito. Questo significa che sono ben pochi coloro che riescono a godere del privilegio di poter passare una piacevole serata in compagnia di qualche maiko-san o geiko-san, in una di queste misteriose sale da te'. Se gia' per la maggior parte dei giapponesi poter anche solo metter piede in una sala da te' di questo calibro - soprattutto in un posto come l'Ichiriki - rimane e rimarra' un sogno, figuratevi per gli stranieri! Si dice che, ad oggi, il numero di stranieri ospiti dell'Ichiriki sia talmente basso da non superare il numero delle dita di una o due mani.

Una maiko-san, seguita da quella che forse e' la sua okaasan, esce dalla prestigiosa Ichirikitei e si avvia verso il taxi.
(continua).

PS. Tempo fa avevo un banner che incoraggiava i lettori a commentare perche' sono proprio i commenti ad alimentare un blog. Forse sarebbe il caso di rimetterlo.
Il numero di visite e' triplicato negli ultimi due giorni e il numero dei sostenitori e' in continuo e costante aumento, eppure i commenti scarseggiano spaventosamente.

Insomma, siete in tantissimi a leggermi da ogni parte del globo (ma soprattutto dall'Italia ed altri Paese europei)!

Rinnovo, dunque, l'invito a lasciarmi una vostra traccia: ditemi chi siete, da dove mi leggete e perche' mi leggete.

Anche se non riesco sempre a rispondere a tutti i vostri interventi, sappiate pero' che li leggo ed apprezzo tutti.

mercoledì, aprile 21, 2010

Emozioni a Kyoto

(Un incantevole albero di ciliegio in fiore, fotografato da mio marito in una stradina di Pontochoo, a Kyoto. Tutte le foto di questo articoletto sono opera sia di mio marito che mia).

Proprio cosi'. Emozioni. Tante emozioni.

Sabato mattina, dopo una notte di forte pioggia mista a nevischio, e con temperature che hanno sfiorato i 6 gradi centigradi, una Sagamihara immersa in un glaciale silenzio ci aspettava.

Il tranquillo trenino della linea Sagami ci ha condotti, senza fretta, fino ad Hashimoto dove al posto di quell'incerto nevischio che aveva inaugurato la nostra mattinata, ad attenderci invece c'era la neve.
Un'imprevista neve di fine aprile.

Sembrava davvero di essere ritornati nel cuore dell'inverno. La stazione era, come al solito, affollatissima da persone che, colte da questo inaspettato revival invernale, erano tutte infreddolite ed avvolte in pesanti cappotti.

A poche fermate da Hashimoto, c'e' la grande stazione di Shin-Yokohama, nonche' uno dei punti di sosta dello Shinkansen 新幹線. Ed e' proprio da Shin-Yokohama che abbiamo preso lo Hikari delle 7:22 e che ci avrebbe condotti rapidamente fino a Kyoto.

E' quasi un'irrinunciabile consuetudine consumare un 駅弁 ekiben sullo Shinkansen, e anche questa volta infatti, prima di salire, abbiamo acquistato due di questi appetitosi bento da viaggio:

Uno per me a base di 竹の子ご飯 takenoko-gohan (riso con germogli di bambu'), e uno a base di manzo, per mio marito.
Ecco il mio ekiben aperto:
Sul takenoko-gohan, alcuni gamberetti, spinaci ed un fiorellino di sakura in salamoia fanno da gustose guarnizioni. Tra gli okazu: una crocchetta di patate, una sardina caramellata, un fungo fritto nella pastella per tempura, verdure assortite ed una fetta di kamaboko a forma di sakura.

E nell'ekiben di mio marito, gustose fettine di manzo, in umido accompagnate da riso e da okazu vari, tra cui zenzero in salamoia, takuan, peperoni verdi, e tamagoyaki.
Dopo circa due ore e mezza di viaggio (sullo Shinkansen il tempo sembra passare ad una velocita' diversa), mi sono sentita come se in realta' fosse passato solo un quarto d'ora dal momento della partenza.

A Kyoto ci aspettava un sole brillante ed un'aria tiepida che rispecchiava alla perfezione le piu' gradevoli temperature primaverili.

A poca distanza dalla stazione centrale di Kyoto, ecco l'hotel Okura dove abbiamo alloggiato:
Quel sole allegro invogliava certamente ad uscire, e quindi, dopo aver velocemente lasciato i nostri bagagli all'Okura, ci siamo subito e volentieri persi in mezzo al viavai di persone che coloravano le strade del centro.

Con in mano una cartina dalle tonalita' pastello, siamo arrivati ai giardini imperiali dove un tripudio infinito di piante e fiori ci ha accolti con quella sognante grazia di cui solo la flora sa essere capace.

Nella foto qua a sinistra, un'insegna di legno che segnala ai visitatori l'ingresso al 京都御苑 Kyooto Gyooen, ossia i giardini imperiali di Kyoto.

E se nel Kanagawa ormai la fioritura dei ciliegi era gia' tristemente ed inesorabilmente giunta al capolinea, al giardino imperiale abbiamo potuto ancora una volta ammirare la purezza di quei fiori cosi' poeticamente malinconici.

Passeggiando per quell'immenso e curatissimo parco dall'aria cosi' sobria ed elegante, non ho potuto non notare il contrasto cromatico fra questi due splendidi alberi:

Questa volta, pero', data la minore quantita' di tempo a disposizione, abbiamo deciso di evitare il solito giro turistico dei templi, cercando cosi' di soffermarci piu' a lungo in posti a noi nuovi. Sebbene templi e santuari non abbiano fatto granche' parte del nostro breve soggiorno a Kyoto, abbiamo volentieri pero' fatto un'eccezione per l'incantevole santuario Heian 平安神宮.

Il santuario segnala la sua maestosa presenza grazie ad un imponente torii rosso che, con fierezza, si staglia contro un cielo azzurro, abbellito qua e la' da qualche soffice nuvola bianca.
Il grande santuario shintoista in tutto il suo abbagliante splendore:

E come in ogni santuario shintoista che si rispetti, naturalmente anche qui c'era l'albero di おみくじ omikuji (foglietti di carta con su scritta una predizione divina) appesi. Gli omikuji, pero', sono di solito bianchi, mentre qui al santuario Heian, per celebrare i ciliegi della primavera, erano rosa.
A prima vista, quegli omikuji rosa legati a quei rami creavano l'illusione di un vero albero in fiore.
Il santuario Heian e' affettuosamente abbracciato da un giardino che ad ogni stagione sfoggia paesaggi dai colori sempre diversi. Camminando a passi lenti per i sentieri di quel giardino, mi sono sentita leggera e serena. Vedersi circondati dalla bellezza della natura e' una di quelle esperienze che hanno la capacita' di ricordarci il valore dell'essenziale.

Non c'era nemmeno un angolo di quel giardino che non possedesse almeno un elemento di pura bellezza. A volte erano foglie dalle tonalita' talmente variegate da sembrare opera di un artista tanto matto quanto creativo; alle volte era un laghetto dalla superficie perfettamente liscia e su cui si specchiavano vanitosamente il cielo e i ciliegi; altre volte erano i raggi del sole del pomeriggio che, con fermezza, scivolavano tra i rami del boschetto rimbalzando poi sul selciato.

Prima di lasciarci alle spalle quel giardino che sembrava veramente essere uscito dalle pagine di un libro di 昔話 mukashi-banashi, mi sono fermata ad osservare per qualche minuto un vecchio edificio che fa parte del santuario. Quella veduta era cosi' indescrivibilmente bella che in quel momento avrei tanto voluto saper disegnare, e avere con me un foglio ed una matita con cui catturare quel qualcosa di magico che sa di immutato e profondo.
Erano gia' ormai quasi le tre e mezza del pomeriggio, ed era veramente arrivata l'ora di salutare il santuario Heian e il suo magnifico giardino...

...perche', anche se non lo sapevamo, a Gion ci aspettava un'indimenticabile esperienza. (continua).