lunedì, gennaio 25, 2010

Una storia di carta, piccole delizie e varie

(Alcune 金平糖 konpeitoo ricevute in regalo da Ishii-san. Le konpeitoo sono tradizionalissime caramelline giapponesi con una lunga storia alle spalle. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Piu' passa il tempo e piu' trovo faticoso resistere alla tentazione di trovare continui agganci fra cio' che e' e cio' che era.

Vivo in un Paese moderno, eppure non riesco ad immergermi completamente nei panni di quel Giappone che sembra guardare - con aria sempre piu' sognante ed incantata - l'Occidente.
Ammiro il fondersi delle due culture, pero' solo quando queste realmente si abbracciano senza imporsi l'una sull'altra.

Nonostante non riesca a spiegarmi il perche', preferisco guardare altrove; preferisco voltarmi alla ricerca di tracce - magari sbiadite dal tempo o dalla noncuranza di chi e' fermamente proiettato solo verso il futuro - che mi raccontino storie, brevi aneddoti forse rimasti sulle pagine di qualche libro o diario, oppure conservati nella memoria di chi ancora riesce a ricordare.

Piu' passa il tempo e piu' m'interessa cio' che fu. Sono le orme di vite passate e di semplici quotidianita' di una volta ad affascinarmi.

E quando, alcuni giorni fa, abbiamo ricevuto in regalo da Ishii-san un assortimento di osenbei e caramelle tradizionali, non ho potuto non fermarmi a pensare soprattutto a quest'ultime e a come dei semplici confetti zuccherini abbiano iniziato a deliziare i delicati palati nipponici gia' nel XV secolo.

Tra queste delicate caramelline, le piu' celebri forse sono le 金平糖 konpeitoo:
Queste colorate caramelline, dalla forma alquanto singolare, approdarono qui in Giappone proprio verso la meta' del XV secolo, grazie agli scambi commerciali che avvenivano tra il Sol Levante e l'Europa, in particolar modo il Portogallo. Infatti, il nome konpeitoo deriverebbe proprio dal termine portoghese confeito, ossia confetto o pastiglia di zucchero.

Le delicate konpeitoo cominciarono lentamente a divenir parte dell'allora emergente repertorio zuccherino nipponico, fino a diventare uno dei capisaldi di ogni 駄菓子や dagashi-ya (botteghe di dolciumi a prezzi popolari) che si rispettasse.

L'assortimento di dolciumi delle dagashi-ya divenne via via sempre piu' fornito, includendo non solo caramelle dure ma anche snack salati e dolci, caramelle gommose, gelatine, noccioline, piccoli budini, e molto altro ancora.

Le konpeitoo non hanno un sapore particolarmente forte: in fondo non sono che semplici pastigliette di zucchero colorato al cui impasto vengono aggiunte alcune gocce di aromi di frutta e fiori.

Assieme alle konpeitoo, nella scatola di dolci ricevuta in dono da Ishii-san c'erano anche queste ame alla frutta.

Tanti colori e tanti gradevoli gusti: menta piperita, fragola, melone, arancia, ramune, uva.

Sabato sono stata, assieme a mio marito, a visitare uno splendido museo a Shibuya e che si chiama たばこと塩博物館 Tabako to shio hakubutsukan, ossia il museo del tabacco e del sale.

Shibuya e' una delle zone di Tokyo per cui provo poca simpatia; forse e' il soffocante caos che vi regna quasi sempre, o forse e' perche' e' una zona che incarna proprio quella smania di volersi lanciare a tutti i costi verso un'occidentalizzazione ingorda e che si ciba famelicamente di effimero.
Eppure, fortunatamente, anche a Shibuya sopravvive - magari a fatica - qualche brandello di memoria polverosa. Uno di questi e' proprio questo museo che abbiamo avuto la fortuna di visitare e che vi consiglio caldamente per vari motivi:

- E' un museo in continuo aggiornamento, soprattutto l'ultimo piano che e' dedicato a mostre itineranti.
- Pur trovandosi in una zona molto caotica, e' molto poco frequentato (sabato ci saranno stati quattro o cinque visitatori in tutto!) forse perche' non e' un museo particolarmente conosciuto, o forse affronta un argomento che non interessa piu' di tanto alla maggior parte delle persone.
- E' un museo veramente curato, pulito ed organizzato.
- E' situato a due passi dalla statua di Hachiko, e quindi dalla stazione di Shibuya.
- L'ingresso e' di soli 100 yen a persona, e nel biglietto e' sempre incluso l'accesso al quarto piano dove si svolgono le mostre itineranti ed altri eventi speciali. In questo periodo, ad esempio, e' in corso un'affascinante mostra che narra dei mille aneddoti che hanno contribuito al rafforzamento dei rapporti commerciali e diplomatici tra Giappone e Messico, due Paesi diventati amici inseparabili in seguito ad un curioso incidente avvenuto secoli or sono.
E viste le origini geografiche di mio marito, questa mostra speciale proprio non potevamo perdercela!

Purtroppo era severamente proibito scattar fotografie all'interno del museo, e quindi non potro' mostrarvi nessuna immagine degli splendidi oggetti in esposizione. Sul sito ufficiale del museo, pero', troverete non solo maggiori informazioni, ma anche alcune fotografie.

Questo museo si propone di approfondire il solido legame tra l'uomo e due sostanze antichissime: il sale e il tabacco. Il tabacco, per esempio, arrivo' qua in Giappone nel Seicento e da quel momento in avanti divenne sempre piu' parte della vita quotidiana prima delle classi sociali agiate, raggiungendo poi col tempo tutti i ceti sociali, anche quelli piu' modesti.

La mia inguaribile passione per le anticaglie mi ha condotta, come un fedele ed affidabile segugio, davanti a queste due cartoline che ritraggono due vecchie pubblicita' di sigarette giapponesi:
la prima pubblicita' reclamizzava le sigarette みのりMinori del 1930, mentre nella seconda cartolina e' raffigurato un poster pubblicitario delle sigarette ヒーロー Hero del 1894.
Al sale, invece, e' legato l'inarrestabile istinto di sopravvivenza e che ha fatto si' che anche il Giappone - Paese da sempre sprovvisto di risorse naturali essenziali per la produzione di sale, come le rocce saline oppure i laghi salati - aguzzasse l'ingegno e imparasse a raffinare sempre di piu' le tecniche d'estrazione del sale dall'acqua del mare. Grazie ad una di queste tecniche, per esempio, si comincio' gia' secoli fa ad estrarre il sale dalle alghe.

Tra le innumerevoli cose apprese durante questa visita, ho scoperto l'esistenza di un antico e semplice gioco giapponese: 変り絵 kawari-e, ossia immagine mutevole.
Le kawari-e erano dei semplici giochini di carta, molto in voga a partire dagli inizi del Settecento.
Sono fogli di carta su cui e' stampata un'immagine che, a seconda di come si pieghera' il foglio, cambiera'. Sul retro del foglio stesso, infatti, sono stampati alcuni dettagli che contribuiranno al mutare dell'immagine principale, creando cosi' un effetto carino e senz'altro molto curioso.

Al museo era possibile acquistare, per davvero pochi spiccioli, una copia del kawari-e in esposizione.

Giocando un po' con questo kawari-e, mi e' tornato in mente un giochino che avevo da bambina e che era composto da tante piccole tessere di cartone spesso. Su ogni tessera era raffigurata una porzione di un paesaggio; questi pezzi di paesaggi, pero', erano disegnati in modo tale da poter essere avvicinati ad altri (anche se scelti a casaccio) riuscendo pur tuttavia a dar continuita' all'immagine.

Erano giochi semplici e che forse, al giorno d'oggi, verrebbero probabilmente disprezzati da molti bambini moderni ed abituati a balocchi ben piu' sofisticati, eppure erano giochi che riuscivano ad intrattenermi per ore, senza mai stufarmi. Erano giochi che consentivano alla propria fantasia e creativita' di spiccare il volo, incoraggiando i bambini ad inventare mille storie sempre nuove.

Lascero', dunque, che sia questo bel kawari-e del Periodo edo (il cui autore, purtroppo, e' sconosciuto) a raccontarci una graziosa storiella e che avra' indubbiamente allietato ore di gioco di chissa' quanti bambini di un tempo.

Questa e' l'immagine principale del kawari-e: una principessa Edo intenta a leggere una pergamena. Notate come, vicino alla principessa, ci sia un posacenere tradizionale.
Questa e' il retro del foglio su cui sono stampati i dettagli che serviranno a cambiare l'immagine:
Bastera' infatti piegare il lato sinistro del foglio...ed ecco che le foglie momiji che adornavano il kimono della nostra principessa piano piano si stanno tramutando in fiori di ciliegio! E anche il modo in cui e' annodato il suo obi e' cambiato!
Piegando il lato destro del foglio, invece, ... appare un'altra persona, intenta questa volta a bruciare un po' di profumato incenso e a creare una composizione d'ikebana!
Ma dov'e' andata a finire la nostra principessa e il suo kimono abbellito da tanti momiji arancioni?

Eccola di nuovo qui! Questa volta, pero', si e' alzata. Chissa', forse e' stanca di star seduta? O forse vorrebbe cambiar stanza.
Ma cosa sta succedendo? Che cos'e' questa nuvola bianca di fumo che sta invadendo la stanza della principessa?

E' un incantesimo!!!

La nostra principessa non era una vera principessa, ma era una...
きつね kitsune! Una volpe!

E si sa, le sagaci kitsune sono maestre indiscusse del travestimento e degli astuti stratagemmi!

venerdì, gennaio 22, 2010

Nozawanazuke e dashimaki

(A sinistra: del saporitissimo nozawanazuke proveniente dalla Prefettura di Tokushima. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia.)

Forse, senza neanche rendermene conto, ero alla ricerca del mio tsukemono preferito.

Se rovistate un po' nel mio archivio, troverete sparsa qua e la' qualche notiziola dedicata all'affascinante, delizioso e croccante mondo degli tsukemono, ossia verdure conservate in salamoia oppure miso, oppure ancora nuka (crusca di riso).

Per esempio, qua troverete una semplicissima ricetta per preparare un ottimo tsukemono di cetrioli.

Di tsukemono ne esistono veramente tanti tipi, tanti da soddisfare probabilmente anche i palati piu' esigenti e schizzinosi.
Le verdure utilizzate per queste preparazioni sono numerose, anche se in genere le piu' comuni sono la rapa, i cetrioli e le melanzane.

Gli tsukemono accompagnano quasi ogni pasto giapponese, e la loro presenza e' talmente fondamentale ed irrinunciabile da darla quasi per scontata.

Pensate che nel Periodo Edo, i pasti quotidiani della gente comune erano umili e si ripetevano quasi sempre allo stesso modo. Sui semplici 箱膳 hakozen* ogni giorno appariva un qualche pesciolino alla griglia (spesso il maccarello) accompagnato naturalmente da un po' di riso al vapore, una calda e confortante zuppa di miso、 e sovente da ben due varieta' diverse di tsukemono!

*Gli hakozen erano scatole di legno che servivano sia da tavolino che da pratico contenitore in cui riporre piatti, scodelle e bacchette. Questi rustici tavolini/porta-stoviglie erano particolarmente in voga nelle famiglie di contadini ed artigiani.

Era gia' piu' di un anno che avevo iniziato a far caso alla mia crescente predilezione per uno tsukemono di nome 野沢菜 nozawana.
Questo gustoso ortaggio dal verde brillante compariva spesso da Seigetsu, e ogni volta mi ripromettevo di acquistarne un po', ma ogni volta puntualmente me ne dimenticavo.

Ma queste gastronomiche dimenticanze sono terminate due giorni fa quando, durante il mio consueto giretto settimanale al supermercato di zona, ho fatto caso ad un grosso cesto contenente tanti sacchetti di nozawanazuke, ossia di nozawana in salamoia.
Il mio cuoricino ha cominciato a batter forte ed il mio stomaco ha iniziato un minaccioso brontolio. Mi e' bastata infatti quella rapida occhiata a quelle foglie verdi brillanti per ritrovarmi improvvisamente affamata.

Con mio grande piacere, inoltre, ho notato come il nozawanazuke fosse lo tsukemono piu' economico fra tutti: cento yen a sacchetto.
La 野沢菜 nozawana e' una verdura appartenente alla famiglia delle rape, e la cui coltivazione si espanse prevalentemente nella zona di 野沢 Nozawa, una localita' nella Prefettura di Nagano. Il nome 野沢菜 nozawana, infatti, significa proprio "verdura di Nozawa".

La nozawana va generalmente strizzata un po' per eliminare la salamoia in eccesso, dopodiche' va tagliata in pezzetti e quindi servita in piattini da tsukemono.
Il fascino di questo tsukemono sta nella sua sapida croccantezza; in quel suo sapore salato, ma forse appena appena dolciastro e con una puntina quasi impercettibile di amaragnolo; nella sensazione di freschezza che regala al palato gia' dal primo morso.

E rimanendo in tema di delicati sapori nipponici, ho preparato il だし巻き dashimaki.

Nel tentativo di dissipare qualche mio dubbio relativo alla reale differenza fra tamagoyaki e dashimaki, ho fatto una breve ricerchina su siti giapponesi dai quali sono emerse informazioni contradditorie fra loro e che rivelano una sensazione generale di confusione.

In genere si dice che il dashimaki sia semplicemente un tamagoyaki a cui e' stato aggiunto il dashi. Come spiegazione sembrerebbe non fare una grinza, se non fosse che spesso e volentieri il dashi si aggiunge anche al tamagoyaki, senza peraltro cambiare nome.

Ecco da dove ha origine tutta questa nebulosita' epicurea.

C'e' chi tenta di spiegare la differenza fra i due piatti appellandosi a motivi puramente dialettali e geografici: alcuni, infatti, sostengono che nel Kansai si preferisca il termine dashimaki, mentre qui nel Kantoo la parola tamagoyaki vada per la maggiore.

Altri, invece, affermano che l'uso di un termine anziche' l'altro vari da famiglia a famiglia e che in realta' non vi siano sostanziali differenze negli ingredienti.
Altri ancora, infine, sono dell'idea che la sola ed unica differenza stia nella consistenza delle frittatine. Ecco, nonostante il marasma di teorie in circolazione, mi sento abbastanza propensa ad appoggiare questa spiegazione semplicemente perche', in base alla mia esperienza, ho notato piu' volte come i dashimaki abbiano effettivamente una consistenza molto diversa dal classico e semplice tamagoyaki. Allora, forse, non e' un caso!

Pare, quindi, che alle uova sbattute del dashimaki si aggiunga non solo una quantita' discreta di dashi (liquido, non in polvere), ma anche altri ingredienti liquidi tipo il mirin, il sake', la salsa di soia, e via discorrendo.

Partendo dal presupposto che oramai la mia ricetta personale del tamagoyaki rimane invariata proprio perche' il risultato e' quasi sempre piu' che soddisfacente, sono tendenzialmente restia nell'apportare modifiche, soprattutto se queste mirano a sballare le quantita' di liquidi utilizzate.

Eppure la curiosita' di provare a preparare il dashimaki era troppo forte, e cosi' mi sono fatta coraggio e ho seguito con fiducia una ricetta che era stata utilizzata durante una trasmissione televisiva di alcune sere fa.

Ecco gli ingredienti:

3 uova
2 cucchiaini di sake
2 cucchiaini di mirin
un pizzico abbondante di sale marino
1 cucchiaino di salsa di soia
3 cucchiai di dashi
1 cucchiaio di daikon grattugiato
1 cucchiaio di cetriolo grattugiato
qualche goccia d'aceto di riso
olio per friggere

Lavare e pelare una fettina di daikon. Lavare un quarto di cetriolo. Grattugiare entrambi gli ortaggi.

Se avete giocato a Cooking Mama, indubbiamente ricorderete quando Mama vi fa preparare il daikon-oroshi, ossia il daikon grattugiato.
Dopo aver grattugiato sia il daikon che il cetriolo, entrambe le polpe andranno strizzate delicatamente per eliminare l'acqua in eccesso. Successivamente sara' necessario mischiare i due ortaggi grattugiati fino ad ottenere un composto morbido e di color verdino chiaro.
Questo sara' il condimento con cui si guarnira' il dashimaki.

Il procedimento che ho utilizzato e' molto simile a quello del tamagoyaki, anche se e' passato molto tempo da quando preparai questo piatto per la prima volta con Akiko! Da allora, infatti, ho acquisito una mia tecnica ed alcuni piccoli accorgimenti nuovi. Comunque sia, i passaggi di base rimangono sempre gli stessi.

Sbattere, dunque, le uova molto delicatamente evitando d'incorporare in esse troppa aria. Aggiungere il sake, la salsa di soia, il mirin ed il sale. Mescolare ancora.

Procedere con la preparazione degli strati.

Alla fine, trasferire con delicatezza il dashimaki sopra un pezzo di carta da cucina ed avvolgere il tutto in un 巻きす makisu (ossia la stuoietta di bambu' utilizzata solitamente per i makizushi). Esercitare una leggera pressione sul dashimaki e lasciarlo li' a raffreddare per qualche minuto.
Tagliarlo a fette piuttosto grosse e guarnire il tutto con il condimento di daikon e cetriolo grattugiati (a cui, volendo, potrete aggiungere qualche goccia di aceto di riso).

Devo dire che la preparazione non e' stata molto agevole: la mistura di uovo sbattuto, dashi e tutto il resto e' risultatata via via in frittatine sottilissime che si rapprendevano a fatica e che si rompevano con grande facilita'.

Cio' nonostante, sono riuscita a portare il dashimaki a termine. Evviva!!

La consistenza, comunque, e' decisamente diversa dal tamagoyaki: il dashimaki e' molto piu' soffice ed umido. Inoltre, proprio perche' la mistura di partenza e' cosi' liquida, si riescono a preparare numerosi strati, tutti molto sottili.
Il sapore pero' mi ha fatto dimenticare tutte le eventuali difficolta' ed incertezze incontrate durante la preparazione!

Fra l'altro, e' da tanto tempo che mi prometto di creare un video - o se non altro una sequenza completa e ben fatta di tutte le fasi della preparazione - del tamagoyaki (o dashimaki), e chi lo sa che prima o poi non riesca a realizzare questo mio ennesimo progettino?

Intanto, libera finalmente dalle grinfie di quell'antipatico e fastidioso raffreddore, vi mando un saluto e vi auguro un sereno fine settimana.

martedì, gennaio 19, 2010

L'antico sapore del kenchin-jiru

(Una scodella di kenchin-jiru, preparato da me. Tutte le foto di questo articoletto sono opera mia).

Con un po' di pazienza anche il raffreddore e l'influenza se ne vanno.

Pero' perche' non rendere un po' piu' lieto il grigio periodo di malattia con una confortante scodella di una zuppa gustosa e sana?

La voglia di preparare una minestra deliziosa e terapeutica al tempo stesso mi e' venuta ieri leggendo l'articoletto della mia amica Acquaviva.

Rovistando poi in frigorifero e in dispensa nel tentativo di riunire tutti gli ingredienti necessari, mi sono accorta che me ne mancavano molti di quelli previsti dalla ricetta di Acquaviva, e cosi' ho pensato di preparare comunque una zuppa, ma di attingere dall'antico - pero' pur sempre attuale - repertorio gastronomico della 精進料理 shoojin-ryoori, ossia della cucina buddista.

L'ispirazione mi e' venuta grazie ad un ricettario di cucina buddista e che sfoglio da giorni con crescente curiosita'. Eccolo:
A dire la verita', e' da quando mi sono ammalata che sfoglio non solo quel ricettario, ma anche alcuni altri della mia collezione, alla ricerca di piatti semplici e le cui preparazioni siano l'ideale per chi non ha molta voglia di mettersi in cucina a spadellare piu' di tanto.

Alla fine, il kenchin-jiru ha dolcemente e lentamente iniziato a profumare la mia cucina con quel suo aroma che sa di verdure fresche, di salsa di soia e di tradizioni di una volta.

Si narra che quest'umile zuppa sia stata creata al 建長寺 Kenchoo-ji, un antichissimo tempio buddista zen che si trova qui nel Kanagawa, e piu' precisamente a Kamakura. Se questo sia vero o meno, poco importa; cio' che e' certo, invece, e' che questa ricetta e' nata indubbiamente dal desiderio di creare un piatto gustoso, sano ed economico, e che fosse in armonia coi dettami alimentari previsti dalla disciplina buddista.

Col tempo, poi, sono state inventate numerose versioni, molte delle quali contengono anche carni, come quella di pollo. L'assortimento di verdure di base utilizzate, pero', di solito rimane invariato; questo generalmente comprende: daikon (rapa cinese), carote, radice di loto, radice di bardana, funghi shiitake e taro. A queste verdure, pero', e' possibile aggiungerne altre, creando cosi' combinazioni di sapori sempre diverse.

Il mio ricettario di shoojin-ryoori, tra le altre cose, consiglia di aggiungere anche del cavolo a listarelle e del konnyaku. Insomma, pure in questo caso, l'unico limite e' davvero la fantasia.

Per preparare un buon kenchin-jiru tradizionale buddista, dunque, e' importante solo ricordarsi di non utilizzare ingredienti di origine animale; questo, naturalmente, vale anche per l'hon-dashi. Il dashi di pesce, nella shoojin-ryoori, generalmente si sostituisce con konbu-dashi, shiitake-dashi, altri brodi vegetali naturali, oppure semplicemente acqua.

Un'altra caratteristica tipica del kenchin-jiru e' la presenza di tofu sbriciolato e poi fatto velocemente asciugare in padella. Questa stessa tecnica, se ricordate, la utilizzai per preparare お豆腐ご飯 l'o-toofu gohan, un altro classico della tavola buddista. Ecco qua.

Ed ecco a voi la ricetta del kenchin-jiru, proprio come l'ho preparata io. La ricetta proviene quasi interamente dal mio ricettario di cucina buddista, anche se ho apportato solo qualche modifica: ho saltato la radice di bardana semplicemente perche' non ne avevo piu', e al posto del cavolo ho utilizzato 40g di melanzana a tocchetti.

けんちん汁
Kenchin-jiru

Ingredienti per 2 persone:

mezzo panetto di tofu (momen o altra varieta'*)
40g circa di daikon
40g circa di carota
40g circa di radice di loto
40g circa di melanzana
1 o 2 funghi shiitake secchi (ma anche freschi vanno bene)
50g circa di konnyaku
250ml di shiitake-dashi oppure d'acqua
2 cucchiai di sake'
20ml di salsa di soia di buona qualita'
2 cucchiaini di olio di sesamo

*Io ho usato del tofu fritto, aromatizzato con carote ed alga hijiki. Per questa ricetta, pero', potete usare un qualunque tipo di tofu riusciate a reperire, l'importante e' che sia abbastanza solido da poter essere sbriciolato.

Lavare e tagliare le verdure (daikon, carota, radice di loto e melanzana) a pezzetti, preferibilmente usando la tecnica dell'ichoo-giri いちょう切り. L'ichoo-giri si ottiene tagliando una fettina tonda (per esempio quella di una carota) in quattro parti uguali.

Tagliare a fettine sottili i funghi che avrete fatto precedentemente rinvenire in acqua.

Risciacquare il panetto di konnyaku sotto un getto d'acqua fredda, e tagliarlo a pezzetti.
A questo punto, si taglia il tofu a cubetti, lo si mette in un contenitore ed utilizzando i saibashi (oppure le proprie mani pulite), lo si sbriciola delicatamente.

Ora si fa cuocere il tofu sbriciolato, a fiamma medio-bassa, per alcuni minuti o fino a quando non si sara' asciugato.
In una pentola (io ne ho usata una tradizionale giapponese, di ferro, e che e' nota col nome di 健康鍋 kenkoo-nabe, ossia la pentola della salute) mettere a scaldare i due cucchiaini di olio di sesamo, dopodiche' aggiungere tutte le verdure. Mescolare bene e far rosolare il tutto per circa cinque o sei minuti, a fuoco medio-alto.
Aggiungere i 250ml d'acqua (o di brodo vegetale), i due cucchiai di sake', i 20ml di salsa di soia ed il tofu sbriciolato. Mescolare bene e lasciare sobbollire il tutto a fiamma bassa per circa quindici o venti minuti.

Di tanto in tanto, controllare che la carota e il daikon siano cotti. Se necessario, regolare un po' di sale e servire!

出来上がりで~す!
Deki-agari deeeeesu!


Come avrete notato, il kenchin-jiru non contiene miso! Si dice, infatti, che la ricetta originale ne sia completamente priva. Col tempo, pero', sono emerse versioni che invece lo includono. Insomma, a voi la scelta!

Intanto, tra un sorso di kenchin-jiru e l'altro, sto iniziando veramente a sentirmi meglio!

Sperando che questo mio articoletto v'invogli ad avvicinarvi un po' ai sapori genuini della shoojin-ryoori, vi auguro un buon proseguimento di settimana.

PS. Se v'incuriosisce la cucina buddista, ecco qualche altro mio articoletto che spero troviate di vostro gradimento: qua, qua e qua.