venerdì, ottobre 14, 2011

Una gemma di nome Akiko-chan.

(Questo che vedete a lato è un maneki-neko molto speciale. Se volete sapere il perché, per favore leggete questo articoletto).

Era già passato più di un anno dall'ultima volta in cui vidi Akiko-chan, in Giappone, in quella caffetteria dentro la stazione di Sagamino.

Un anno lungo, interminabilmente lungo e spinoso. Una strada in salita, ricoperta da sterpi ed ostacoli di ogni genere. Lacrime a profusione, preoccupazioni a iosa, ed innumerevoli speranze riposte in un possibile raggio di sole.

Grazie a Dio, qualche preziosissimo raggio di sole nella mia vita è arrivato pure nel corso di questo anno così spigoloso. Anzi, forse è proprio nei periodi più travagliati che si presentano splendenti i raggi più luminosi.

Uno di questi raggi è stata la visita di Akiko dal Giappone.

Chi di voi segue questo blog da qualche tempo sa che Akiko è stata ed è una mia grande amica. Un'amica che mi è dispiaciuto immensamente aver dovuto salutare e lasciare.

Eppure, il destino mi ha riportato Akiko...e me l'ha portata fino qui, a Torino!

L'emozione che ho sentito è stata tale da non essermi nemmeno resa del tutto conto del fatto che di lì a poco avrei rivisto ed abbracciato una delle persone più care che io conosca.
Mi sembrava di essere in un sogno, in quell'atmosfera surreale e in cui la piena consapevolezza di ciò che ci circonda si smorza ed affievolisce.

Ero lì, in piedi, nella sala degli arrivi al tranquillo aeroporto di Torino e nella mia mente correvano veloci ricordi e pensieri quando...da dietro le porte a vetri ho intravisto la sagoma inconfondibile di Akiko: la sua figura esile e i suoi lunghi capelli neri legati a coda di cavallo, e le due ciocche di capelli che - a mo' di ciuffo - le accarezzano le guance.
Era lei!!

Un abbraccio interminabile e lacrimine tenute a stento ci hanno riunite, finalmente!

Non mi sembrava vero.

La guardavo con occhi increduli. Il suo volto, a me così caro, mi era famigliare in Giappone e quindi guardarla mi creava l'illusione di essere nuovamente in quella bella terra. Invece no. Ero a Torino, a millemila chilometri di distanza dal mio caro Kanagawa.

Ancora abbracci, poi sempre più lacrime però questa volta non represse. Un intreccio di sorrisi, carezze sul volto, occhi lucidi, sorrisi. Giapponese ed italiano che si mischiavano armoniosamente, facendoci ritrovare improvvisamente quell'equilibrio che condividevamo a casa, nel Sol Levante.

Quanti doni mi ha portato, la dolce Akiko! E ognuno di esso si è portato dietro una ventata che profumava di Giappone...non scherzo!

Quando, dalla sua valigia, Akiko-chan ha tirato fuori questo maneki-neko per regalarmelo, non ce l'ho fatta e mi sono lasciata andare ad un pianto quasi singhiozzante.

Questo delicato micetto di porcellana conserva in se il ricordo di un'amicizia e di una giornata trascorsa insieme ad Akiko.

Eravamo andate ad una delle tante fiere d'antiquariato a cui partecipavamo insieme, e più precisamente questo giorno qui, quando tra i tanti banchi di antiche meraviglie io vidi questo maneki-neko che se ne stava sorridente sopra una mensola di vetro impolverata. Il suo padrone era un signore anziano, un antiquario espansivo e che amava molto chiacchierare con tutti quelli che si mostravano interessati ai suoi oggetti.
Sapendo del grande amore di Akiko per i gatti, le feci subito vedere questo maneki-neko simpatico e particolare. Particolare perché, a differenza del maneki-neko classico e che appare quasi sempre nella sua storica posa (v. questo mio maneki-neko), questo gattino ha le zampine congiunte.

Non so, ma fu proprio questo particolare ad affascinarmi e a farmi amare a prima vista questo micetto. Volevo a tutti i costi che questo gattino andasse con Akiko e le facesse compagnia.

Akiko, innamoratasi anche lei di questo dolce felino, volle acquistarlo e portarlo a casa.

Ogni tanto ne parlavamo e sorridevamo sempre al solo ricordo di quel gattino così buffo e tenero, con le sue zampine congiunte.

E' rimasto da lei, nella sua casa, per tutto questo tempo...fino a tre giorni fa quando Akiko me l'ha portato in dono raccomandandosi col micetto affinché d'ora in avanti rimanesse con me a Torino, a farmi compagnia.

Ripenso alle sue parole in questo istante e avverto la voglia di piangere dalla commozione.

Sempre in ricordo di uno dei nostri tanti giri per i mercati di cose antichi, mi ha portato una rivista intitolata Seikatsu, del decimo anno dell'era Shoowa, ossia del 1935!

L'avevamo comprata insieme questa rivista, al mercato dell'antiquariato di Machida e che ogni secondo sabato del mese aveva (e ha tutt'ora) luogo nel cortile di un santuario shinto.
Ricordo che anch'io comprai un numero di questo affascinante Seikatsu di cui un signore ne aveva una cassetta piena!
E Akiko mi ha portato il suo Seikatsu...e nella foto io l'ho messo vicino al giglio di origami che ha fatto per me e la mia famiglia.

Un magnifico libro su Tokyo e l'antica Edo: Edo Sanpoo Tokyoo Sanpoo. Una gioia per i miei occhi assetati di queste meraviglie.


E tanti deliziosi wagashi e di cui sentivo esageratamente la mancanza... mi mancava la sensazione tattile che si prova nello sfiorare gli incarti che avvolgono le scatole dei wagashi.

Kamome no tamago (uova di rondine) è il nome di questi wagashi delicatissimi che mi ha portato Akiko. Quelli nella scatola gialla sono in edizione speciale, creati appositamente per l'autunno e infatti sono ripieni di castagne.


Dolcetti di pasta lievitata e modellati a forma di uovo. Un ovetto ricoperto di uno strato sottilissimo di cioccolata bianca.


Dorayaki, daifuku e manjuu alla castagna.

...e una graziosissima penna di Doraemon con i suoi amati dorayaki!

Pocky alla panna e biscotti, Toppo alla fragola e cioccolatini al matcha e latte.

Ho girato e rigirato ogni singolo pezzo fra le mani, assaporandone i colori, gli odori e i ricordi che ognuno di questi era in grado di rievocare in me.

Saporitissimi o-senbei confezionati in una scatola avvolta da un disegno di foglie d'acero, eseguito a mano, in onore dell'autunno.

Foglie di momiji nate sulla carta da delicate pennellate di vermiglio e marroncino...

Gli o-senbei nella loro confezione:

Tra gli o-senbei non potevano mancarne alcuni a forma di momiji...

Il sapore intenso dei croccanti o-senbei mi ha riportata istantaneamente per i vicoli di Asakusa. Mi ha riportata, con i ricordi, a casa mia nel Kanagawa quando mi piaceva sgranocchiare un o-senbei la sera, magari guardando fuori mentre un altro giorno volgeva al termine.

Quell'abbraccio fra salsa di soia, alga nori tostata, semi di sesamo e farina di riso è una delle combinazioni di sapori più nostalgiche che io conosca.

Tra i doni di Akiko, anche questo delicatissimo e giapponesissimo porta-incenso:

...e dell'incantevole carta da origami.

...e con uno di quei coloratissimi fogli, Aki-chan ha creato questo giglio.

Insieme abbiamo passeggiato per le vie di Torino; abbiamo assaporato il profumo del Po in questo periodo dell'anno, la fragranza degli alberi del Valentino, l'aria frizzante di Superga.

Ho potuto far vedere ad Akiko una parte del mio quartiere, il piccolo alloggio in cui vivo assieme alla mia famiglia, il cortile di casa dove giocavo sempre da bambina, la scuola materna ed elementare dove andavo da piccola. Ho potuto renderla partecipe delle mie radici, del posto in cui sono nata e cresciuta e di cui le avevo parlato così tante tante volte, assieme ad un caffè e qualche biscotto nella mia cucina in Giappone.

Quei suoi occhi scuri così espressivi, così profondi e brillanti sanno essere più eloquenti di una cascata di parole. Mi basta guardarla e scambiare con lei qualche sguardo imbevuto di complicità per ritrovare quell'intesa che ci lega.

Abbiamo parlato di tanto, di tutto. Della sua vita, della mia vita, di ciò che è irrimediabilmente cambiato e di ciò che ancora è così.
Abbiamo parlato dei vari raggi di sole che hanno illuminato la sua vita e la mia.
Abbiamo rievocato i tanti momenti condivisi insieme in Giappone, le nostre lezioni del pomeriggio, le nostre ricette preparate insieme.

Vederla andare via è stato doloroso, ma credetemi se vi dico che dentro di me sentivo un qualcosa che m'incoraggiava a non disperare perché l'avrei rivista presto.

E allora io sorrido felice. Ripenso alla nostra cena al Bistrot Turin di Via Po, al nostro giro alla Libreria La Bussola, alla sua dolcezza nel chiamarmi "Mari-chan", ai suoi regali così pieni d'affetto ed imbevuti della fragranza del Giappone...e allora sorrido.

Sorrido.

E il cuore mi si alleggerisce.

domenica, ottobre 02, 2011

Dagashi & Pensieri

(A sinistra: la delicata letterina di Saku-chan e che accompagnava un pacchetto stracolmo di dagashi. Vicino alla letterina, delle leggere cialde da riempire con marmellata di sakura).

Chi mi segue da tempo sa che non riesco a scrivere solo per il dovere di farlo, ma ci deve per forza essere quello sprazzo d'ispirazione che mi porta non solo a scrivere ma anche a far foto.

Dopo tutti gli eventi che si sono verificati nella mia vita personale, poi, trovo faticoso persino trovare la voglia di prendere in mano la mia Ricoh CX3 (eccola qui la mia nipponica compagna d'avventure fotografiche!) con cui immortalare questo o quello.

Ogni tanto, però, sento il desiderio, il bisogno e la necessità d'immergermi nuovamente in questo blog che così tanto amo.

Era da qualche tempo appunto che volevo mostrarvi il contenuto di un pacchetto ricevuto dal Giappone dalla mia cara e splendida Saku-chan, però la malinconia che provavo ogni volta che riaprivo quella scatola era tale da impedirmi persino di parlarne.

Sakura è indubbiamente una delle amiche più care che io abbia, nonché una delle persone più positive della mia vita.

Ero reticente nel raccontarle per filo e per segno cosa mi fosse capitato e questo non per mancanza di fiducia nei suoi confronti, ma per timore di causarle preoccupazioni e tristezza.
Col tempo ho trovato il coraggio di metterla al corrente di ogni cosa, e sebbene mi ferisse profondamente il sol pensiero di averla potuta rattristare, ero felice di averla resa finalmente partecipe degli sviluppi che la mia vita stava subendo e subisce tutt'ora.

Pienamente consapevole di come la distanza fisica tenda ad ingigantire preoccupazioni ed ansie, ho esercitato tutta la cautela possibile nel raccontarle ogni cosa.

Da parte sua, ovviamente, c'è stata una reazione di grande dolore misto però ad una forte solidarietà per quanto sto vivendo.

Mi sta vicina il più possibile attraverso email, chiacchierate su Skype, lettere cartacee e regalini che ogni tanto mi arrivano per posta.

Come questi dagashi (vi parlai delle dagashi e delle dagashi-ya qui, qui, e qua) e quella meravigliosa kinchaku di cotone blu che vedete raffigurata nella foto qui sopra e qua sotto.

I suoi regali mi riportano a lei e alla nostra splendida amicizia; mi riportano in Giappone; mi aiutano a riconnettermi con quella giapponesità che sento nel cuore. Lei m'invia cose che sa che amerò molto. Le sceglie con cura e con affetto immensi.

Apro le sue scatole e, prima ancora d'ispezionarne curiosamente il contenuto, chiudo gli occhi ed annuso l'aria al loro interno...quasi come a voler scioccamente cercar di acchiappare anche solo un millesimo di quell'aria a me così cara.

In questo suo pacchetto c'erano caramelline di zucchero colorate, gommose di Morinaga al latte, kokeshi-arare (eccoli qui in questa foto)...

Saporitissimi snack di polpa di ume...

Pacchetti di sukonbu (striscioline di alga konbu essiccata ed insaporita all'aceto. Il sukonbu è nella scatolina rossa).

Sakura sa del mio intenso amore per la lettura, e soprattutto sa quanto stia sentendo la mancanza dei miei libri giapponesi, ed è per questo che insieme ai dagashi c'era anche questo breve romanzo:
Yochimu di Hirashino Keigo

Ricevere pacchetti da Sakura significa per me rimanere seduta a guardare la scatola, senza aprirla, magari per mezz'ora nella speranza di riuscire a catturare ogni aspetto di quel contenitore che ha viaggiato mezzo mondo per arrivare a me.

Ricevere i suoi pacchetti significa aprirli, annusarne l'aria profondamente senza toccare nulla al suo interno.

Ricevere i suoi pacchetti significa esaminare ogni pezzo con gli occhi lucidi, il cuore colmo di gioia e con un sorriso malinconico-felice sul volto.

Saku-chan, grazie. Grazie dal più profondo del mio cuore.

Akiko-san verrà a trovarmi fra pochi giorni e l'emozione che sto provando in questi momenti è fortissima.
So che il nostro incontro sarà bagnato da copiose lacrime, ma anche da abbracci stritolanti, da sorrisi e sguardi pieni d'intesa, e da un legame che ci unisce da tempo ormai.

Ricordo ancora l'ultima volta in cui vidi Akiko-san: era il giorno prima della mia partenza dal Giappone. Era pomeriggio sul tardi, ed ero in una modesta caffetteria all'interno della stazione di Sagamino, nel Kanagawa.

Volevo piangere. Avrei voluto aggrapparmi a quella sedia per sempre.

Quel caffè che sorseggiavo da quell'anonima tazza biancastra sembrava non aver sapore e intorno a me non c'era rumore. O forse non lo sentivo.

Akiko aveva gli occhi che sorridevano ma che in realtà nascondevano tristezza. Il suo sguardo celava una malinconia che però io percepivo chiara e forte.

Tutto mi sembrava così surreale, così strano. Era come trovarsi sul palco di una recita sconosciuta e di cui non si conosce nemmeno la trama.
Mi sembrava di dovermi svegliare, di lì a poco...e invece no. Il sogno-incubo continuava.

Lei mi regalò un libro di brevi poesie giapponesi. Un libro che conservo ancora adesso e che ho qui con me, a Torino.
Vi parlerò di questo libro e di come io abbia cercato, in tutto questo tempo, di trovare conforto nelle sue parole...e di come io l'abbia trovato più volte.

Saper di rivedere Akiko mi sembra quasi come un sogno...ma questa volta un sogno da cui vorrei non svegliarmi.

Grazie a tutti coloro che continuano a commentare e che continuano ad unirsi alla pagina di Facebook dedicata al mio blog.
Venite! Io vi aspetto tutti e numerosi!