venerdì, ottobre 31, 2008

Halloween, onigiri e donburi.


Innanzitutto, BUON HALLOWEEN a tutti i lettori di Biancorosso Giappone!!!
ハッピーハロウイン!!!


Da quando non abitiamo piu' negli States, Halloween e' diventata una ricorrenza di cui ci ricordiamo solo dopo aver visto le prime zucche al supermercato, o i primi cappelli appuntiti da strega o teschi fosforescenti di plastica nei negozi di giocattoli.
Come ho gia' avuto modo di dire in passato qui sul blog, Halloween qua in Giappone e' una festa puramente commerciale che, come si puo' facilmente immaginare, genera un volume d'affari non trascurabile.
Ma i giapponesi ancora non percepiscono Halloween con lo stesso spirito con cui lo sentono gli americani, e d'altra parte non vedo perche' debbano visto che si tratta comunque di una festa d'importazione.
Per gli americani, Halloween e' ben piu' di un'occasione in cui potersi mascherare e mandare in giro i bambini a fare trick or treat nei quartieri. Halloween, in fondo, e' una ricorrenza le cui radici si perdono nella notte dei tempi e si mescolano con le leggende.
Per loro, Halloween rappresenta un'irrinunciabile tradizione che ha anche il pregio di essere una sorta di anteprima ad una ricorrenza ancora piu' preziosa: il Thanksgiving o Giorno del Ringraziamento.

La giornata qui e' freddissima. L'aria e' gelida e il cielo e' cupo. E purtroppo, in questi giorni sono alle prese con un'altra grossa preoccupazione di carattere famigliare che, mi auguro, possa risolversi quanto prima e nel migliore dei modi. Per tenere la mia mente occupata, fortunatamente ho lo studio e tante altre attivita' a cui mi dedico con piacere, tra cui questo blog.

A proposito di studi, al corso di giapponese in tutto siamo in sei. Due degli studenti, pero', ci hanno gia' fatto capire che si presenteranno solo per gli esami (sono due saccentoni che credono di essere tanto esperti nonostante le loro medie non siano particolarmente alte), e quindi siamo rimasti in quattro. Meglio cosi'. Meno si e', e piu' si riesce a concludere. Mi dispiace solo per Kanai-san, ovvero il nostro bravo sensei, che indubbiamente sperava in un numero piu' alto di studenti. Ma pazienza, meglio pochi ma buoni, ohh!!

Tra l'altro, un giorno vi dovro' parlare del nostro sensei perche' e' uno dei professori piu' in gamba che io abbia mai conosciuto; e' uno di quegli insegnanti che insegnano principalmente per vocazione, e non solo per la pagnotta (o meglio, per la scodella di riso). E' un professore che ama il suo lavoro e ad esso vi si dedica con tutta l'anima. Se voi vedeste tutto il materiale extra che lui prepara per ognuno di noi, non credereste ai vostri occhi! A noi studenti dedica cosi' tanto tempo e cosi' tanta pazienza che mi viene difficile poter esprimere la riconoscenza che abbiamo nei suoi confronti, specialmente se si considera che abita con suo papa', un signore ultra novantenne e molto malato. Il sensei, quindi, non solo segue noi studenti cosi' tanto, ma accudisce giorno e notte suo papa'.
Io col giapponese sono partita da zero, e grazie a Kanai-sensei ho imparato piu' di quanto non immaginassi.

Ma cambiando discorso, oggi non avevo molta voglia di cucinare. Sara' il freddo, saranno le preoccupazioni o tutto insieme. Cosi' ho deciso di preparare dei semplici onigiri, piu' che tutto perche' volevo giocherellare un po' con alcuni nuovi sali aromatizzati da cucina che ho acquistato alcuni giorni fa. Eccone alcune bustine:
Sono sali da tempura, ma sulla confezione c'e' scritto che ovviamente si possono usare anche per altri piatti, tipo per colorare (e al tempo stesso salare) gli onigiri, per salare le patatine fritte o al forno, o per aromatizzare salse tipo la maionese.
I sali sono aromatizzati al matcha, al curry, all'ume e alle alghe.
Oggi ho voluto usare quello al matcha e al curry, e quest'ultimo essendo di tonalita' leggermente arancione l'ho scelto in occasione di Halloween.

Come ripieno, ho usato quel salmone in scaglie di cui vi ho parlato qui.

A dire il vero, pero', i sali non hanno colorato il riso piu' di tanto, anzi! Pero', in compenso, sono saporitissimi! Quello al matcha in particolare!

Volevo cimentarmi di nuovo a preparare gli onigiri a mano, ma per pigrizia ho optato all'ultimo momento per le formine.
Qui stavo preparando un onigiri col sale al matcha, e mettendo il ripieno di salmone:
Ed ecco qui due dei miei onigiri di oggi, uno aromatizzato al matcha e l'altro al curry, ma entrambi con ripieno di salmone:
E in questi giorni di lezioni universitarie ad orari impossibili, torno quasi sempre a casa con una fame tremenda e con una scarsissima voglia di mettermi ai fornelli, e cosi' sto riprendendo piano piano l'abitudine di passare a prendere qualche onigiri, tramezzino o altro al Famima di zona.
Ecco uno degli onigiri che ho comprato ieri sera e che mi era rimasto ancora oggi. Il ripieno di questo onigiri credo sia il mio preferito in assoluto:
Il gusto e' 和風ツナママヨネーズ wafuu-tsuna mayoneezu, ossia tonno e maionese alla maniera giapponese.

Parlando con Akiko il giorno in cui siamo andate insieme alla fiera dell'antiquariato (guardate qui), concordavamo sul fatto che gli onigiri siano una di quelle cose che sembrano avere un sapore piu' buono del solito se preparate da qualcun'altro. Ed e' vero! Quando preparo i miei onigiri sono sempre buoni, ma se li mangio fatti da altre persone...lo sono di piu'! Anche nel bellissimo film かもめ食堂 Kamome-shokudoo, uno dei personaggi dice la stessa cosa!
Ed e' per questo che Akiko mi ha promesso, la prossima volta in cui ci rivedremo, di portarmi alcuni onigiri che prepara lei tutte le mattine per suo figlio. Non vedo l'ora di assaggiarli!

Inoltre, sempre quel giorno, ho chiesto ad Akiko la differenza fra la parola おにぎり onigiri e おむすび omusubi. Sono due sinonimi, e questo lo sapevo gia', ma io volevo sapere se ci fosse una reale differenza fra i due termini. E Akiko mi ha detto una cosa interessante: la parola omusubi e' antiquata, molto di piu' rispetto ad onigiri, e inoltre quando la si usa e' perche' si vuole sottolineare l'affetto di chi li ha preparati, che sia una mamma, una nonna, una sorella ecc.

La parola onigiri, quindi, serve ad identificare le polpette di riso di qualunque tipo: le proprie, quella acquistate al supermercato, quelle preparate da qualcuno, mentre omusubi, proprio perche' e' una parola vecchia e che rievoca ricordi nostalgici, si preferisce usarla quando si sta parlando di onigiri preparati da qualcuno che ci e' caro. Gli onigiri che mi portera' Akiko-san, quindi, per me saranno solo omusubi!

Akiko pero' ci teneva a precisare che questa e' la sua interpretazione, e che e' possibile che altri giapponesi spieghino questa differenza linguistica in modo diverso dal suo.

La settimana scorsa, per cena, ho preparato un donburi di pollo seguendo una ricetta che hanno dato ad una trasmissione giapponese in tv. Mi sono appuntata per bene la ricetta con l'intenzione di prepararla, ed eventualmente di metterla qui sul blog. E' una ricetta molto molto semplice e a base d'ingredienti reperibili ovunque.

La parola donburi in giapponese significa scodella di porcellana, ma e' un termine che viene comunemente usato per indicare una scodella di riso al vapore con sopra carne, pesce, verdure ecc. Spesso questa parola viene addirittura abbreviata in don.

Di donburi ne esistono tantissimi tipi, e sono tutti molto semplici da preparare. La ricetta che vi propongo e' per fare il 鶏肉丼 kei-niku donburi, cioe' donburi di pollo.

Ecco qui i miei due donburi preparati con questa ricetta, e subito sotto la foto troverete la ricetta che spero vogliate provare!

鶏肉丼
Kei-niku donburi
Donburi di pollo

Ingredienti per 2-3 persone:

150g di petto di pollo
circa 50-60ml di sake
1 pizzico di dashi in polvere*
1 peperone verde (oppure rosso)
2 uova
sale e pepe q.b.
un pizzico di zucchero

Prima di tutto, si deve mettere a cuocere il riso al vapore. Preparatene tanto quanto vi basta per 2-3 persone.
Per i donburi non e' cosi' fondamentale avere la varieta' di riso giusta, quindi siete liberi di usare qualunque tipo di riso abbiate in casa. Sconsiglierei, pero', il basmati...ma se avete solo quello, va benissimo lo stesso.

Nel frattempo, tagliate il pollo a cubetti e mettetelo in un recipiente in cui verserete il sake e il dashi in polvere.*Se non avete il dashi, saltatelo e al massimo sostituitelo con un cucchiaino di salsa di soia. Non saltate pero' il sake, mi raccomando. Se non trovate quello giapponese, quello cinese andra' bene comunque.
E se proprio non avete sake e non sapete dove andarlo a cercare, allora si puo' fare uno strappo alla regola e usare il mirin.

E se proprio non doveste avere ne' uno ne' l'altro, allora in via del tutto eccezionale potrete usare del vino bianco. Sappiate, pero', che usandolo il sapore del pollo sara' diverso da quello previsto dalla ricetta.

Lasciate marinare il pollo nel sake per 20 minuti, coprendo il contenitore e mettendolo nel frigo.

In un padellino, versate un goccino d'olio e strapazzate le due uova, aggiungendovi, se vi va, un pizzico di zucchero, sale e pepe.
Quando le uova saranno cotte, versarle in un piatto a parte.

Lavare il peperone e tagliarlo a pezzi piu' o meno della stessa misura, e metterlo a cuocere nel padellino in cui avete strapazzato le uova, aggiungendo un briciolo d'olio se necessario. Fate cuocere il peperone fino a quando non si sara' dorato un pochettino, dopodiche' toglietelo dal padellino e mettetelo in un piattino.

Trascorsi i 20 minuti, scolare il pollo e metterlo a cuocere nel padellino di prima. La ricetta consiglia di conservare il sake usato per marinare la carne perche' andrebbe riutilizzato durante la cottura, ma io onestamente l'ho buttato perche' mi faceva impressione usarlo per cuocere il pollo. E comunque, non mi e' servito perche' il pollo ha fatto in fretta a cuocersi.

Lasciate che il pollo cuocia bene e s'indori un pochettino all'esterno, dopodiche' aggiungete i peperoni e lasciate cuocere per tre minuti circa, a fiamma medio-alta.

Nel frattempo, si sara' cotto il riso, e quindi versatelo in scodelle da donburi oppure in scodelle non troppo piccole, suddividendolo in porzioni uguali.
Sopra il riso, sistemate con cura prima i cubetti di pollo, poi i pezzi di peperone ed infine qualche cucchiaiata di uova strapazzate et voila'! Il vostro donburi di pollo e' pronto, e sara' sicuramente ottimo se accompagnato da una scodella fumante di zuppa di miso!

いただきます!!

Concludo l'articoletto di oggi con una foto curiosa.

Stamattina, guardando fuori dalla finestra della mia cucina, ho notato un particolare nella casa dei miei vicini. Guardate bene e....
quella cosa bianca non vi sembra un fantasmino?? Io, li' per li', mi sono spaventata! Pero', guardandolo meglio si capisce che altro non e' che una camicia bianca, caduta dall'attaccapanni.
Ho pensato di fotografare questo particolare perche' probabilmente neanche se lo immaginano che una loro camicia, involontariamente, si e' tramutata in un お化け obake, cioe' in un fantasma....proprio il giorno di Halloween!!


martedì, ottobre 28, 2008

Daigaku, Hagaki, Tetsubin e varie

(Una parte del mio materiale di studio di giapponese)

La mia breve pausa e' finita, ed e' di nuovo giunta l'ora di ritornare sui libri. Oggi riprendo l'universita' perche' inizia il nuovo corso di giapponese, e quindi sto finendo di prepararmi logisticamente e psicologicamente per il mio ritorno in aula.

Fino all'ultimo sono rimasta col fiato in sospeso perche' all'uni si temeva che annullassero il corso di Giapponese 7 per mancanza di studenti.
Piu' si va avanti, e piu' il numero si abbassa spaventosamente.
A Giapponese 1, infatti, sono talmente in tanti che a malapena hanno sedie a sufficienza!

Noi, invece, siamo sempre di meno. Non che la cosa mi rattristi. Tutt'altro. Pero', purtroppo, se non c'e' un numero minimo di studenti, il corso viene annullato poiche', pure per l'universita'...business is business. Sigh.

Ad ogni trimestre, pero', si ripresenta sempre la stessa questione e non e' mai chiaro quale sia, effettivamente, il numero minimo di studenti necessario perche' il corso possa iniziare. Boh. C'e' chi dice cinque e chi sette. Insomma, ognuno tira fuori i numeri che piu' gli aggradano, evidentemente.
Comunque sia, attraverso il portale dello studente della mia universita' e' possibile controllare quante sono state le iscrizioni effettive per un determinato corso, e per il momento pare che Giapponese 7 sara' composto da ben...3 studenti, compresa la sottoscritta! Accipicchia, che calca!

Quindi, sono di nuovo cambiati i numeri?

Ma credo comunque che saremo piu' di tre. Staremo a vedere, dunque.

Tra l'altro, l'aspetto un po' negativo di questo trimestre di giapponese sara' l'orario: dalle 19:30 alle 22:00! Per diversi trimestri ero riuscita ad evitare accuratamente quella fascia oraria pazzesca, ma purtroppo questa volta non ho scampo, ahime'.
Mi chiedo che corse dovra' fare il povero sensei dato che abita ad un'ora di metro' dalla nostra sede! Avra' letteralmente i minuti contati se non vuole rischiare di perdere l'ultimo treno e di dover per forza pernottare in qualche hotel capsula o simili.

Fra le pagine del mio libro sulle particelle giapponesi ho ritrovato una bellissima cartolina che mio marito mi ha spedito nientepopodimenoche' dalla vetta del Monte Fuji! Chi se lo sarebbe mai immaginato che lassu' ci potesse essere addirittura un ufficio postale, per quanto minuscolo? Ebbene si'! Insomma, non capita tutti i giorni di poter arrivare fin lassu', come non capita neanche tanto spesso di ricevere posta proveniente direttamente dalla vetta del monte piu' sacro del Giappone: 富士山 Fuji-san.
Ed ecco dunque la mia preziosa cartolina!
Ieri ho pensato di rispolverare la mia piccola 鉄瓶 tetsubin, ossia la teiera in ferro, per farmi una tazza di buon te' 新茶 shincha.

Tra l'altro, piccola precisazione: la parola tetsubin 鉄瓶 e' composta dal kanji tetsu (ferro) e   bin (contenitore). Il significato della parola, quindi, mi sembra piu' che chiaro.
Qualche giorno fa, pero', sono capitata su una pagina di un sito italiano che si occupa di design e varie, dove davano alla parola tetsubin un significato esageratamente poetico: forma per il te' o via del te'...una scempiaggine del genere. Ma perche' dietro le parole giapponesi si deve sempre e per forza nascondere un significato cosi' profondo e mistico? Contenitore di ferro sara' prosaico, ma corrisponde alla realta'.

Ecco qui la mia tetsubin e la mia tazza preferita da te' verde:
La mia tetsubin e' una 南部鉄器 Nanbu-tekki proveniente dalla prefettura di Iwate.
Concludo il breve articoletto di oggi con alcune foto di un sublime とんかつ tonkatsu gustato un paio di settimane fa in un ristorante a quattro isolati da qua: すえひろ Suehiro.

Di solito, quando si ordina il tonkatsu, al cliente viene portato un すりばち suribachi (mortaio giapponese) contenente semi di sesamo da macinare a mano, con l'ausilio di un bastoncino di legno. Ecco il suribachi che hanno portato a me, con dentro una manciata di fragranti semini di sesamo pronti da essere macinati! I semi di sesamo tritati aggiungeranno un tocco in piu' al gustoso tonkatsu, ma sono ottimi da versare anche sul cavolo verza. Io ho l'abitudine, tra l'altro, di condire sempre il cavolo verza con la salsa del tonkatsu, anche se questa sarebbe da usare per la carne, pero' il binomio cavolo verza + salsa per tonkatsu e' un qualcosa di sublime!
Come vedete, l'interno del suribachi e' fatto in modo da facilitare la macinatura di qualunque cosa vogliate.
Il suribachi, tra l'altro, e' uno di quegli articoli che spesso ho pensato di aggiungere al bazar, ma non so quanto possa interessare. Ditemi voi.

Ed ecco qui uno splendido e generoso とんかつ定食 tonkatsu teishoku (pasto completo di tonkatsu e altre portate):
Come sempre, il tutto e' ordinatamente ed elegantemente presentato. L'occhio vuole sempre la sua parte. E' importante!
Il riso, come gia' vi ho detto in precedenza, va sempre posizionato a sinistra, vicino al cuore. Piu' su una tazza di un delicato 玄米茶 genmaicha, delle piccole patate dolci. In mezzo, il tonkatsu accompagnato da cavolo versa tagliato fine, da una fettina di limone e da una punta di からし karashi, o senape giapponese.
A destra, invece tsukemono di non ricordo piu' cosa, ed una paradisiaca zuppa di miso con aburaage, o tofu fritto, cubetti di tofu fresco e wakame.

Ecco, il tonkatsu e' uno di quei piatti giapponesi che sono facilissimi da realizzare anche al di fuori del Giappone perche' richiedono ingredienti semplici e reperibili ovunque. Dico questo perche' spesso vedo che ci sono persone che cercano di avvicinarsi alla cucina giapponese andandosi ad intestardire con piatti difficili tipo il sushi, quando invece basterebbe preparare una bonta' tipo il tonkatsu e servirlo con del riso al vapore e una scodella di zuppa di miso...et voila'! Un autentico pasto giapponese che sicuramente sarebbe piu' facile da far gradire a quei commensali schizzinosi e che in genere snobbano qualunque cosa non provenga dalla tradizione culinaria italica.

Insomma, se vi piace la classica cotoletta impanata, allora con molte probabilita' gradirete il tonkatsu! A proposito, se v'interessa la ricetta per farlo, ecco qui la mia.
Se non amate molto il maiale o se non l'avete in casa, anche il pollo va benissimo ma a quel punto il nome del piatto cambiera' leggermente; anziche' とんかつ tonkatsu, diventera' チッキンかつ chikkin-katsu.

La parola giapponese katsu che, inevitabilmente, provoca una risata in noi italici per via della forte somiglianza con una certa parolina poco graziosa della nostra lingua, deriva dal termine inglese cutlet cioe' costoletta o bracioletta. La parola cutlet ha subito un accorciamento ed una giapponesizzazione, trasformandosi cosi' in katsu. Ecco svelato il mistero!

Beh, いただきます itadakimasu a tutti e buon ritorno a lezione a me!

sabato, ottobre 25, 2008

Profumo di mare ad Enoshima

Uno dei tanti vanti della prefettura del Kanagawa e' l'isola di 江ノ島 Enoshima collegata, tramite una strada rialzata, ad una piccola cittadina che porta lo stesso nome dell'isola.

La suggestiva Enoshima e' immersa nella natura, e quindi regala un prezioso diversivo alla vita frenetica di citta' dove il cemento impera e il contatto con la natura vera - e non quella artificiale e meticolosamente progettata da qualche sofisticato architetto tokyota - e' spaventosamente sporadico.

Dopo essere scesi dal vecchio treno verde 江ノ電 Enoden che collega la cittadina di Enoshima a Fujisawa e Kamakura, ci siamo incamminati in direzione dell'isola. L'aria profumava di salsedine, ed un frizzante venticello marino ci accarezzava i capelli dolcemente.

Ho respirato a pieni polmoni quell'aria che sapeva di mare perche' ho percepito in essa un pizzico di quell'energia coinvolgente che si prova quando si e' cosi' vicini alla natura. Guardandomi attorno ho notato i grandi spazi che ci circondavano con un maestoso ma affettuoso abbraccio; e laggiu', ecco un assaggio della solenne vastita' del mare che si perde fin dove arrivano i nostri poveri occhi umani: l'orizzonte.

Il Giappone, si sa, e' un Paese sovrappopolato, e quindi lo spazio scarseggia in un modo che forse viene difficile immaginare a chi non ha visto coi propri occhi questa situazione.
Prima di arrivare qui nel Sol Levante, non avevo mai vissuto sulla mia pelle la realta' di un Paese sovrappopolato, e quindi potevo solo immaginare cosa volesse dire trovarsi gomito a gomito con piu' di 127 milioni di persone. Immaginavo fosse difficile, ma quanto esattamente non mi era possibile capirlo fino in fondo.

Stando qui si apprezzano gli spazi aperti proprio perche' essi scarseggiano, e quindi quando si ha l'opportunita' di cambiare un po' scenario, passando dalle caotiche citta' a qualche angolo tranquillo, ecco che ci si sente improvvisamente rinascere. E' proprio quel senso di rinascita che spinge i giapponesi a cercare luoghi tranquilli dove poter staccare un po' la spina dal solito tramtram quotidiano.

Arrivando sull'isola, si viene accolti da un'infinita' di negozietti e ristorantini che offrono specialita' del posto tra cui le しらす shirasu, ovvero piccolissimi pesciolini appartenenti alla famiglia delle sardine (in italiano sono noti col nome di bianchetti), i senbei di polipo, e le サザエ sazae, una sorta di mollusco racchiuso in una grossa conchiglia.

La posizione geografica di Enoshima promette un'allettante abbondanza di pesce, ed in particolar modo di frutti di mare che immancabilmente compaiono sui menu' dei tanti ristorantini dell'isola.

L'isola di Enoshima e' impreziosita dalla presenza di numerosi tempietti sparsi qua e la', a cui pero' si arriva solo dopo una scarpinata non indifferente fatta di scale, scale, scale e ancora scale!
Che faticata, anche se fortunatamente non era nemmeno paragonabile alla camminata-incubo del saliscendi che tortura tutti coloro che si avventurano nella parte vecchia di San Francisco!

Andando su per quella stradina che vedete nella foto, ed oltrepassando il torii di bronzo, si arriva ai piedi dell'Enoshima Jinja.

Vicino a quella scalinata c'e' un edificio attraverso cui si puo' accedere - pagando - ad una lunghissima scala mobile che permette di visitare il resto della montagna su cui sorgono i templi, risparmiandosi cosi' un fiatone da collasso.

Un particolare a cui ho fatto caso, arrivando sull'isola, e' stato il numero abbastanza inquietante di panciuti gatti che si aggiravano fra i templi in modo molto indisturbato. C'erano gatti ovunque, e quasi tutti sonnecchiavano pigramente su qualche tetto oppure vicino a qualche lanterna di pietra.
Uno di questi pingui felini se ne andava tranquillamente a spasso per l'edificio che ospita la scala mobile:
L'abbiamo incontrato nuovamente al ritorno: sembrava volesse dare il benvenuto ai gruppi di curiosi - e ahime' - chiassosi turisti:
Man mano che si va su, si scoprono pian pianino gli antichi tesori dell'isola e tanti angoli indescrivibilmente magici e suggestivi.


Sorridevo. Nell'aria c'era il profumo del mare e del pesce alla griglia. Un improvviso inizio di pioggia ci ha costretti ad allungare un po' il passo, ma fortunatamente quello che sembrava doversi trasformare in un prepotente acquazzone altro non era che una dispettosa e grigia nuvoletta di passaggio.
Finalmente non c'era piu' bisogno di andare in salita. Una rilassante discesa ci aspettava, accoccolata fra vecchie case, accoglienti locande e fragranti botteghe.

Quasi improvvisamente, sulla nostra sinistra e' apparso l'Enoshima Daishi, un tempio dall'aria molto recente; l'edificio circolare risale, infatti, al vicinissimo 1993, e sorge su di un terreno dove, nel periodo della cosiddetta Restaurazione Meiji (1866-1869), vi era un vecchio tempio che pero' fu distrutto in seguito ad alcune leggi dell'epoca che scoraggiavano il diffondersi di dottrine religiose.

A far la guardia all'Enoshima Daishi, ecco una coppia di oni, ossia di demoni dall'aria non particolarmente amichevole:

Riuscite ad intravedere, sulla sinistra e dietro il secondo oni, quell'insegna svolazzante? Sapete cosa pubblicizza? Le しらす shirasu, ovvero quelle mini sardine (bianchetti) a cui accennavo prima, nonche' specialita' del posto.

Mi ha fatto un certo effetto vedere un tempio cosi' moderno poiche', in genere, i templi che s'incontrano qui in Giappone hanno alle spalle quasi sempre un paio di secoli di valorosa storia.
E' stato quasi come vedere quelle chiese cattoliche moderne, squadrate e con decorazioni cosi' scarne da essere ridotte all'osso, che ogni tanto si scorgono in Italia.

Man mano che proseguivamo, il nostro stomaco ha iniziato a reclamare qualcosina di gustoso, e con tutte quelle meraviglie gastronomiche in bella vista in ogni dove, e' stato quasi impossibile resistere.
I ristorantini erano cosi' tanti da non riuscire a decidersi, ma alla fine ne abbiamo scelto uno che godeva di una vista mozzafiato.

Ci siamo seduti fuori, e con calma abbiamo assaporato un'Asahi freddissima mentre ammiravamo quel panorama paradisiaco.

Il sole era gia' tramontato, ma all'orizzonte era rimasta una sottilissima linea di luce dorata che sembrava il luccichio che emerge da uno scrigno stracolmo di tesori, proprio come quelli che compaiono nelle rocambolesche avventure di pirati.







La nostra silenziosa contemplazione e' stata pero' interrotta dall'arrivo delle profumate squisitezze che avevamo ordinato.
Oltre le shirasu e le sazae, anche le 焼きはまぐり yaki-hamaguri - ossia vongole grandi alla piastra - arricchiscono la lista delle specialita' del posto, e in particolar modo di questo ristorante. Come potevamo non assaggiarle? Eccole qua in tutto il loro succulento splendore!
Abbiamo completato il nostro pasto con dei delicatissimi えびフライ ebi-furai, cioe' gamberi impanati, accompagnati da riso, una saporitissima zuppa di miso e wakame, tsukemono assortiti e cipolle stufate.

Non avendo pranzato, questo e' stato un pranzo-quasi-cena che abbiamo assaporato nel silenzio mistico di quel posto, scandito solo dal rumore del mare e dal canto dei gabbiani.

Dopo il nostro pasto, abbiamo ripreso a passo lento la camminata e pian pianino il cielo si stava facendo sempre piu' blu cobalto. Mi sono fermata vicino ad una siepe ad ammirare uno scorcio della Baia di Sagami all'imbrunire:
Il nostro sentiero era fiocamente illuminato da qualche lanterna di un tempio li' vicino.
Come ricordo di quest'isola incantata, mi sono portata a casa questo splendido panno da appendere, raffigurante una famosa illustrazione di Utamaro di tre bellissime fanciulle giapponesi:
Passeggiando tranquillamente e senza fretta, ci siamo lasciati l'isola alle spalle e ci siamo incamminati verso la stazione dove abbiamo preso il vecchio e cigolante treno Enoden che ci ha riportati, nel giro di una manciata di minuti, a Fujisawa dove ci aspettava la coincidenza per Chigasaki.

A Chigasaki ci siamo goduti un'altra passeggiata lenta e rilassante. Io, con lo sguardo sempre rivolto all'insu', osservavo tutto ed ero, come al solito, alla ricerca di kanji sconosciuti da potermi annotare su di un pezzo di carta che mi porto sempre nella borsa.
Ma tra una camminata e l'altra, non ci siamo accorti che intanto si stava facendo tardi e che....avevamo di nuovo fame! L'aver saltato il pranzo e l'aver spezzato quell'involontario digiuno con quel suggestivo pasto sull'isola ci ha, in qualche modo, scombussolati, sorprendendoci con un languorino che non ci aspettavamo!

In una viuzza buia ed intralciata da un groviglio di biciclette accatastate, abbiamo trovato una porticina di legno da cui proveniva un profumino di 焼肉 yaki-niku, o carne alla piastra.
Dietro quella porticina, infatti, si nascondeva un ristorante distribuito piu' in lunghezza che in larghezza, fino ad assomigliare ad un corridoio stretto. Il locale, dal rassicurante nome di 安安 An-An, era affollatissimo. Cio' nonostante, dopo un'attesa di pochi minuti, si e' liberato un tavolo; e nel giro di pochissimo, eccoci all'opera a grigliare carne, verdura, salsicce e seppioline!

Seppioline crude, pronte da essere grigliate, accompagnate da maionese e salsa al tarako (uova di pesce):
E per finire, abbiamo concluso con un delizioso dessert: piccoli tronchetti di gelato al cioccolato e matcha!
Prima di ritornare a casa, ci siamo fermati in un konbini ad acquistare due lattine di un nuovo tipo di caffe' che la Starbucks, in questi giorni, sta pubblicizzando ad nauseam dovunque: l'espresso con panna e l'espresso doppio. Eccole qua:
Non so perche' mi sia fatta attirare cosi' tanto da cio' dato che gia' non ho grande predilezione per il caffe' di Starbucks (caro ed esageratamente sopravvalutato). Credo che la colpa sia da imputare alla mia caffettomania cronica che mi offusca la mente ed obnubila qualunque traccia di buonsenso non appena intravedo la parola espresso da qualche parte.

E come volevasi dimostrare, il mio verdetto non mi ha stupita: l'espresso con panna e' di un dolce da star male, mentre l'espresso doppio e' amaro come la china. Insomma, due estremi che piu' estremi non si puo'. E intanto, niente di che. Pure questi hanno lo stesso ed identico gusto di tutte le altre sette milioni di varieta' di caffe' in lattina.

Buona domenica!

ps. Prometto di rispondere a tutte le richieste d'informazioni sul bazar e all'amica che mi chiedeva info sul budget giornaliero per un viaggio qua in Giappone.