mercoledì, aprile 29, 2009

Un giorno fortunato che profuma di storia

(Un grandioso 重箱 juubako antico acquistato domenica)

Lo scorso fine settimana e' stato un po' particolare nel senso che c'e' stata un'alternanza climatica tale da disorientare chiunque.
Sabato, per esempio, c'e' stata una pioggia molto forte accompagnata da un vento altrettanto insistente. Faceva cosi' freddo che pensavo seriamente di dover rispolverare il mio giaccone invernale, ormai sepolto nell'armadio in un naftalinico letargo.

Domenica, invece, sembrava un giorno d'agosto. Mancavano solo i sandali e la spiaggia.

Nonostante le incertezze metereologiche, avevo voglia di andare a ficcanasare in un qualche mercatino dell'antiquariato, e di posti del genere nella zona di Tokyo o Yokohama ce ne sono a bizzeffe, quasi tutti i fine settimana. Basta, naturalmente, saperli cercare.

Il mio fiuto per questi angoli curiosi mi ha portata a venire a conoscenza di 横浜骨董ワールド Yokohama kottoo waarudo, ovvero Yokohama Kottoo World. Kottoo e' una bellissima parola giapponese che significa oggetti d'antiquariato ed anticaglie.

Avevo invitato Akiko a venire con me a questa fiera che si prospettava favolosa gia' solo dalle descrizioni fornite sul sito.

Tra l'altro, se ricordate, tempo fa andai ad un'altra fiera dell'antiquariato assieme ad Akiko. Ecco qui l'articoletto. Oramai lei ed io abbiamo capito di essere una squadra perfetta per andare a caccia di vecchi tesori. Abbiamo le stesse passioni. Ci capiamo al volo. Ci basta uno sguardo per comunicare e sappiamo darci preziosi consigli a vicenda che ci aiutano enormemente negli acquisti.

Alla fiera ci aspettavano centinaia e centinaia di banchi stracarichi di oggetti giapponesi (e non) di tutte le epoche. Un viaggio nel passato che profumava di legno di bambu', di ottone, di seta.
Kimono dai colori sobri e altri dalle tonalita' accese; vasi e vasellame di ogni forma e colore; vecchi giocattoli; barattoli di latta arrugginiti ma splendidi; spade e coltelli; vecchissimi ed affascinanti 茶箪笥 chadansu (mobiletto giapponese per il te') dai vetri smerigliati e dagli intagli di rara bellezza.

Io ero rapita da tutto. Completamente rapita. Non sarei piu' uscita da quell'immenso padiglione, ma sarei rimasta li' per non so quanto tempo ad esaminare ogni singolo oggetto, a sentirne l'odore, ad osservarne le caratteristiche piu' minute e nascoste. Ogni oggetto mi avrebbe raccontato una storia che avrei voluto ascoltare con calma, senza quella fretta trasmessa dalla calca di gente che ti sta dietro sperando che ti levi il prima possibile.

Dopo forse un paio d'ore, abbiamo cominciato a sentirci stanche. Lo stomaco aveva iniziato a reclamare il vitto, ma le nostre manine erano ancora vuote. Non avevamo fatto ancora nessun acquisto. Certo, di oggetti meravigliosi ne avevamo visti a migliaia, ma evidentemente non avevamo ancora trovato quel qualcosa di speciale che sapesse raccontare una storia piu' bella di tutte le altre.

Stavo considerando l'idea di andare a fare una pausa dal banchetto che vendeva obentoo pieni di delizie artigianali, quando.......

......con la coda dell'occhio, ho intravisto qualcosa che ha catturato immediatamente la mia attenzione.

Mi volto e vedo sopra uno scaffale un meraviglioso juubako.

Non avevo assolutamente idea che da quel momento in avanti sarei stata baciata dalla fortuna piu' di quanto potessi immaginare.

Per capire meglio il prezioso ausilio accordatomi dalla Dea bendata in quel momento, devo andare a ritroso con i fatti di circa un mese: c'erano ancora mia sorella e i miei cognati qui da noi, ed eravamo andati a fare un giretto in uno dei tanti negozi di anticaglie e carabattole del Kanagawa.

In mezzo a polverosissime 掛け軸 kakejiku (pergamene da appendere) arrotolate, obi consunti e ridenti statue di Buddha, avevo scovato un vetusto juubako a quattro piani. Era semplicemente splendido: di legno laccato di nero e adornato da decorazioni di ventagli e fiori. Le uniche pecche erano le condizioni (pessime) e il prezzo (esoso).
Era veramente in condizioni tremende, e 4700 yen mi sembravano veramente troppi. Nonostante cio', ero talmente attratta da quest'oggetto che decisi di acquistarlo. Stavo per andare a pagare quando il mio saggio marito mi fece venir qualche dubbio sull'acquisto. Lui era perplesso dalle condizioni dell'oggetto e dal prezzo. Secondo lui non ne valeva la pena.

Un po' a malincuore, decisi tuttavia di ascoltarlo e lasciai quel juubako dov'era.

Ritorniamo a domenica, alla fiera di Yokohama e al juubako scovato per puro caso.

Vicino ad esso campeggiava un cartellino con sopra scritto il prezzo: 500. La mia diffidenza, ormai, era arrivata ai massimi storici tant'e' che pensai fosse un prezzo abbreviato (qua in Giappone succede spesso, soprattutto con oggetti costosi come gioielli o automobili).

Dopo aver chiesto lumi al signore del banco, abbiamo scoperto che in realta' si trattava proprio di 500 yen. Cinquecento yen! Avevo capito bene?? Forse era il caso di strofinarmi gli occhi e di guardare un'altra volta quel cartellino perche' non mi sembrava affatto possibile tutto cio'.

Alla nostra domanda se il juubako fosse di legno (immaginavamo lo fosse, ma volevamo una conferma), il signore ci ha risposto con un sorpresissimo もちろんMochiron! Ma certamente!

Non solo il juubako era di legno lavorato a mano e laccato secondo la preziosa e difficile tecnica dell'urushi , ma era un juubako a quattro piani! Questo vi potra' sembrare un dettaglio insignificante, e invece non lo e'! I juubako moderni sono tutti a due o tre piani, mentre quelli di una volta erano a quattro o cinque piani. Questa caratteristica colloca immediatamente il juubako in questione in un periodo storico non proprio recente.
Non a caso, infatti, e' venuto fuori che questo magnifico oggetto ci giunge dal lontano e sbiadito Periodo Meiji (1868-1912)!

Per soli cinquecento yen, dunque, mi sono portata a casa un juubako del Periodo Meiji, con decorazioni naturalmente effettuate a mano e in oro. Le condizioni non sono perfette, ma ha piu' di un secolo di storia alle spalle e credo sia normale trovare qualche graffio ed ammaccatura qua e la'.

Ecco qualche foto scattata da me:



Ma le sorprese non erano ancora finite.

Mentre eravamo ancora vicino al banco a curiosare, Akiko ed io stavamo parlottando in italiano. Il signore ci stava osservando con curiosita', e poi ha iniziato a ripetere qualche parolina in italiano pure lui! Dopo poco abbiamo infatti scoperto che questo signore ama molto la nostra Penisola, e vi si reca spesso in viaggi di piacere. Era talmente estasiato nel sapere che ero italiana che mi ha indicato una parte del suo banco dedicata a tanti piccoli e vecchi giocattolini giapponesi di legno e terracotta, e mi detto di scegliere cio' che volevo e lui me l'avrebbe dato in dono!

Io non sapevo cosa dire! Ero emozionata ed imbarazzata al tempo stesso. Mi sono messa pero' a curiosare fra questi vecchi giocattolini, e dopo un po' e' spuntato fuori questo bellissimo kappa 河童 di terracotta dipinta, e con all'interno un sonaglietto. I kappa sono spiritelli della mitologia giapponese.
Abbiamo ringraziato piu' volte il signore del banco, e siamo andate alla volta di altre esplorazioni all'interno della fiera.

Il faccino di questo kappa un po' monello mi ha ispirato subito cosi' tanta simpatia che ho deciso in quel momento che avrei ospitato lo spiritello di terracotta a casa mia, magari dandogli un posto d'onore sopra uno dei gradini della scala di legno che conduce al piano di sopra.
Tra l'altro, proprio dietro la testa del kappa appaiono alcuni kanji incisi con uno strumento appuntito. I kanji purtroppo sono decifrabili a fatica a causa della superficie che, col tempo, si e' levigata fino a rendere i caratteri simili a semplici segnetti incisi a caso.

Pero', come vi dicevo, questo e' stato un giorno fortunato, e infatti le sorprese...ancora non erano finite!

Dopo un altro giretto di perlustrazione durato un'altra mezzoretta abbondante, Akiko ed io abbiamo deciso di cominciare ad avviarci verso la stazione. D'altra parte, si stava facendo tardi e avevamo ancora tanta strada da fare, ed era meglio andare prima di ritrovarsi carichi come muli.

Verso l'uscita abbiamo incrociato nuovamente il signore del juubako. Lo abbiamo cordialmente salutato, e lui ha ricambiato il nostro saluto. Ma subito dopo abbiamo sentito che ci chiamava. Inizialmente Akiko ha pensato si stesse rivolgendo a lei, ma lui continuava a dire お嬢さん!お嬢さん! Ojoosan, ojoosan! Questo e' un termine di grandissimo rispetto e che si usa quando ci si rivolge ad una donna giovane. Stava facendo quindi segno a me di avvicinarmi al banco.
Il signore, con un volto sorridente, si avvicina a due bellissimi oggetti vicino al suo banco e che avevo addocchiato prima, quando eravamo andate ad ispezionare il juubako: un vecchio contenitore di legno laccato per il riso cotto (con tanto di paletta, anch'essa di legno laccato) ed un tavolino basso su cui poggiare il contenitore.

Non ci crederete, ma il gentile e generoso signore mi ha regalato entrambi! Si', regalato! E pensate che insisteva perche' accettassi anche la vecchissima ed enorme scatola di bambu' che conteneva entrambi gli oggetti, ma che ho dovuto a malincuore lasciare li' perche' non avrei saputo come fare a portarmela a casa.

Come noterete, sia il contenitore che il tavolino sono fregiati di un mon dorato, ossia di uno stemma appartenente, con molta probabilita', ad una qualche famiglia nobile. Al momento sto facendo alcune ricerche per risalire al nome di questa famiglia.

Ero talmente sbalordita dalla generosita' di questo signore che dalla mia bocca riuscivano ad uscire solo ringraziamenti su ringraziamenti, dimenticando cosi' di fare domande sugli oggetti in questione.

Ed ecco qui alcune foto che ho scattato del contenitore laccato per il riso, la paletta e il tavolino basso.
Ricordate l'o-zen dell'inizio del Periodo Meiji che comprai un po' di tempo fa? Guardate qui.

Ecco il tavolino basso, simile ad un お膳 o-zen, ricevuto in regalo dal signore della fiera:
Il vecchio contenitore laccato con la paletta:

Non vi sto nemmeno a raccontare la fatica del viaggio di ritorno, ma vi diro' che ero talmente felice e raggiante che non m'importava del peso di questi oggetti o delle braccia indolenzite.

E sono venuta via da quella fiera non solo carica di splendidi oggetti antichi e che ora abbelliscono la mia casa, ma con un pezzetto di conoscenza in piu'! Eh si, perche' mentre eravamo alla fiera sentivo pronunciare continuamente la parola 勉強 benkyoo che, come tutti gli studenti diligenti di giapponese sapranno, vuol dire "studio" e che assieme a する suru forma il verbo 勉強する benykoo-suru, cioe' studiare.
Pensavo, quindi, che nel contesto il significato fosse quello di "esaminare", "osservare con attenzione" magari le caratteristiche di un oggetto. E invece no. Ho scoperto un'altra interessante e curiosa accezione del verbo 勉強する benkyoo-suru e che non a caso s'inserisce alla perfezione nel suo contesto: mercanteggiare sul prezzo, chiedere uno sconto, trovare un accordo tra venditore e compratore sul prezzo in questione.

Interessantissimo, no? E i kanji sono gli stessi che si usano per il significato di studio o studiare.

Il signore del juubako, tra l'altro, ci ha detto che in realta' lui si occupa di antiquariato nel tempo libero ma che di professione fa il pasticcere e ha una sua pasticceria non troppo distante da casa mia! Ci diceva che una delle loro specialita' sono pasticcini preparati con la patata dolce giapponese. Beh, uno di questi giorni mi tocchera' andare ad assaggiare uno di questi dolci cosi' cogliero' l'occasione per ringraziare ancora una volta questo signore e per avermi dato un'ulteriore conferma della generosita' di questo popolo.

giovedì, aprile 23, 2009

Yuudachi Gama, Goemon e varie

(A sinistra: ecco la mia scatola di hinoki - ossia cipresso giapponese - dipinta a mano dall'artista Yuudachi Gama e contenente un piccolo tesoro acquistato circa un mese fa, e di cui vi parlero' in questo articoletto. Questa e le altre foto sono state scattate da me).

Un lunedi' mattina di circa un mese fa, dopo un amarissimo diverbio con mia sorella, decisi di uscire un po' e di andare a fare due passi. Una semplice passeggiata, spesso, e' il modo migliore per sentirsi meglio; le idee si rischiarano e ci si sente pervadere da un senso di pace interiore che rimette tutto in una luminosa ed incoraggiante prospettiva.

La mia passeggiata inizio' senza una meta precisa, anche se in testa avevo la vaghissima idea di fermarmi da qualche parte a prendere un caffe'. Ma sovente le passeggiate senza meta sono le migliori, le piu' rilassanti, le piu' terapeutiche. Ci si dirige in direzioni del tutto casuali, senza quella pressante fretta che generalmente ci accompagna da punto A a punto B per sbrigare una commissione anziche' un'altra.

Si cammina soltanto per il piacere di farlo, e quasi automaticamente il passo rallenta; senza accorgersene, ci si ritrova con lo sguardo all'insu' a far caso a vicoli, edifici e negozi che avevamo forse ignorato fino a quel momento, presi dalla fretta e dai mille impegni della vita quotidiana.

Ho sorseggiato quel caffe' che intendevo prendere, e l'ho fatto senza agitazione e senza tracannarmelo in pochi sorsi come faccio di solito. L'ho gustato sedendomi ad un tavolino, leggendo le pagine di un libro molto strano e osservando di tanto in tanto, attraverso una grande vetrata, il traffico cittadino ed il viavai delle persone.

Non so quanto tempo sia passato, ma forse un'oretta. Proprio non lo so. Al polso non avevo nemmeno l'orologio, e il cellulare era rimasto indisturbato nella borsa. Non avevo voglia d'interrogare le lancette per sapere che ora fosse. Non m'interessava. Desideravo semplicemente stare tranquilla e aspettare che la mia rabbia sbollisse e svanisse gradualmente, scivolando in un sorriso e forse in una risata che mi avrebbe costretta a ripensare a quel litigio come ad un semplice e buffo battibecco tra due sorelle un po' cocciute e puntigliose.

Evidentemente si stava avvicinando l'ora di pranzo, e infatti nel giro di breve tempo il locale si riempi' di una chiassosa baraonda di clienti affamati che, in maniera sorprendentemente organizzata, hanno iniziato ad ordinare pasti caldi di ogni genere.

Decisi cosi' di alzarmi, di pagare il conto e di andar via. Non mi andava di stare in quel bailamme, in quell'assordante vociare, in quel tintinnio di posate, in quel trangugiare di minestre. Era arrivata l'ora di uscire.

Riprendendo cosi' la mia camminata senza meta, mi sono ritrovata - sicuramente non in maniera del tutto casuale vista la mia passione - davanti alla vetrina di un negozio di vasellame artigianale giapponese. Dopo aver ammirato per un'eternita' diversi pezzi in esposizione, mi decisi ad entrare per poter apprezzare piu' da vicino questi piccoli gioielli in vendita.

I mille colori e le mille forme di vasi, piattini, scodelle, brocche, teiere e tazze mi hanno tolto il respiro dall'emozione. Ogni singolo pezzo sembrava degnissimo di nota, e non c'era assolutamente nulla - nemmeno la piu' piccola delle statuine - che non meritasse le mie lodi e la mia stima.

Ma come succede sempre in questi casi, c'e' almeno un pezzo che si distingue da tutti gli altri grazie a qualche sua particolare caratteristica che in quel momento ti sa catturare gli occhi e il cuore. Per me la scelta del vasellame e' un momento delicato perche' riflette sempre e solo il mio umore, e mai la reale necessita' legata all'eventuale uso di quell'oggetto o peggio ancora al desiderio di creare set coordinati. Detesto l'idea del set coordinato. Non m'interessa minimamente sapere se i colori di un certo vassoio andranno d'accordo con quelli di una certa ciotola che gia' posseggo. Sono dettagli del tutto irrilevanti, per quel che mi riguarda.

Cio' che conta e' la sensazione che provo ammirando quell'oggetto tenendolo fra le mani, osservando la sua forma, i suoi colori. Guardo se la sua superficie e' liscia e lucida, oppure ruvida e irregolare. Ogni pezzo di vasellame che ho e' stato scelto sempre attraverso questo mio percorso molto emotivo e sensoriale e che rende ogni singolo pezzo prezioso ed unico.

Questo piatto, quel giorno, mi ha regalato un sorriso che sapeva di spensieratezza:
Quei colori delicati, quei fiori di sakura che sembravano dipinti con l'allegria di un bambino alle prese con un disegno, quei coniglietti sorridenti, quelle semplici ma dolci parole dipinte in un hiragana (e qualche kanji) nero e gioioso, mi hanno stregata. Con molta attenzione, ho preso in mano il piatto e ho iniziato ad osservarlo.

C'e' qualcosa di spensierato in questi colori e in questi disegni. Un qualcosa di leggero e di felice. Nessun disegno intricato; nessuna immagine complessa di draghi o di kanji oscuri; nessun gioco cromatico sofisticato; nessun riferimento alle decorazioni del Periodo Edo dettate da rigide regole stilistiche; nessun significato recondito od esoterico.
Solo semplici spennellate rosa, rosse, arancioni, verdi, nere e marroncine che regalano una folata di serenita': due coniglietti sorridenti che giocano con dei fiori di ciliegio.
E tutt'attorno, un delicato messaggio felice in quell'hiragana (e qualche kanji) nero e gioioso: affinche' abbondino le cose belle!
Quel piatto m'infondeva un senso di leggerezza e di gioia. Sapeva di pennellate date con allegria e con tratti irregolari ma non svogliati. Sapeva di un pezzo creato con amore e con la speranza che capitasse nelle mani di qualcuno che avrebbe captato queste emozioni.

La commessa del negozio, vedendomi rapita da quest'oggetto, mi ha fatto un sorriso come se mi volesse incoraggiare a farle qualche domanda. E cosi', un po' timidamente, mi sono avvicinata a lei e le ho chiesto di parlarmi un po' di questo piatto.

L'artista che ha creato questo gioiello e' un vasaio di nome 夕立窯 Yuudachi Gama. Questo signore crea le sue meraviglie in un piccolo laboratorio nella Prefettura di Gifu 岐阜県, nella parte centrale del Giappone. Le opere di Yuudachi Gama sono particolari e trasmettono tutte quella sensazione di serenita' e spensieratezza. Le sue tazze, i suoi piatti, i suoi vassoi sono abbelliti da scene di alberi carichi di fiorellini, di coniglietti giocosi, e di rassicuranti frasi in quell'hiragana (e qualche kanji) nero e gioioso.

Non ho dovuto pensarci molto prima di decidere che quell'incantevole piatto sarebbe tornato a casa con me. E infatti cosi' e' stato.
Ma prima di lasciare quello splendido negozietto, la mia attenzione e' stata catturata nuovamente da due piccoli はし置き hashi-oki o poggiabacchette dall'aria sbarazzina e spensierata, proprio come i coniglietti di Yuudachi Gama. Eccoli:
Il giorno dopo la partenza di Annalisa, sebbene ci fossero un sole brillante ed un cielo che sembrava fosse stato dipinto da un abile artista in vena di paesaggi vivaci, io mi sentivo molto triste e malinconica. Non avevo molta voglia di uscire, ma mio marito mi ha incoraggiata ad andare a prendere una boccata d'aria lasciandoci alle spalle, per qualche ora, la nostra casa che inevitabilmente mi ricordava Annalisa.

Il potere terapeutico della passeggiata e' ritornato anche quel giorno, e infatti nel giro di mezz'ora mi sentivo gia' meglio. Quel sole caldo apprezzato all'esterno e non attraverso le finestre di casa aveva tutto un altro sapore. Non trasmetteva tristezza, ma mi costringeva quasi a sorridere, strizzando naturalmente un po' gli occhi per proteggerli dalla luce accecante dei suoi raggi dorati.

Era quasi ora di pranzo ed eravamo nei paraggi di un nuovissimo locale: 五右衛門 Goemon.
Goemon e' una catena di 洋麺屋 yoomenya, ossia di locali dove si preparano spaghetti all'occidentale. Qui in Giappone c'e' il culto della pasta italiana, oltre naturalmente quello della pasta indigena (vedi soba, udon, soomen, ecc.). Ai giapponesi piace molto giocare con la nostra pasta, creando accostamenti che vanno dai piu' tradizionali e conosciuti (ragu' di carne, pesto, sughi di verdure, frutti di mare, ecc.) a quelli piu' stravaganti e che - non a caso - riflettono i gusti dei palati nipponici. Non e' insolito, infatti, trovare sui menu' liste di pastasciutte all'occidentale e cioe' condite in maniera a noi piu' famigliare, e pastasciutte in stile giapponese e condite con ingredienti come le uova di pesce, alghe varie, ume, yuzu, ecc.

E da Goemon il menu' propone proprio queste varieta' di pastasciutte occidentali ed orientali, e anche qualcosa sull'onda di un East meets West.

Cio' che pero' incuriosiva l'inguaribile curiosastra qual sono non erano gli intrecci di pasta italo-nipponici, quanto l'aria cosi' Edo style con un tocco di moderno che trasmetteva quel locale!
Ma una volta entrati ed accomodati, ho capito guardando il ricco e colorato menu' che avremmo mangiato bene. E infatti cosi' e' stato.

Io ho ordinato degli spaghetti al pesto che sono stati preceduti, in modo molto giapponese, da un delicatissimo sumashi-jiru e da un'insalatina condita con del miso. Notare il vasellame dai tipici colori e decori cosi'..Edo:
Ed ecco i magnifici-ma-che-dico-strabilianti spaghetti conditi con un pesto di basilico fresco, tocchetti di avocado (pesto ed avocado e' una combinazione splendida a cui non avevo mai pensato!), qualche gamberetto succoso, un paio di foglie d'insalata ed una spolveratina di Parmigiano Reggiano. Una bonta' incredibile! Dimenticavo: da Goemon la pasta si consuma con le bacchette, quindi niente forchette! Devo dire che mi ha fatto un po' impressione mangiare gli spaghetti come se fossero stati udon o ramen, ma la pasta era cosi' buona che ho smesso subito di pensare alle forchette vs. bacchette.
Ad onor del vero, qui in Giappone non e' affatto difficile trovare delle buone pastasciutte. Un qualunque ristorante con dei piatti di pasta sul menu' sapra' sicuramente quietare quell'insistente voglia italica di carboidrati e che prende - soprattutto forse noi expat italiani - in maniera tanto forte quanto improvvisa. I giapponesi sanno fare la pasta e sono pure bravi nell'inventare condimenti spesso d'indescrivibile delizia.

Quei deliziosi spaghetti di Goemon sono stati seguiti da due ottimi dolci. Un tiramisu' alla fragola per mio marito:
E una gelatina al 黒砂糖 kuro-zato guarnita con gelato alla vaniglia e warabi-mochi al matcha:
Ritornero' sicuramente volentieri da Goemon!

Buon proseguimento di settimana a tutti i lettori di Biancorosso!

martedì, aprile 21, 2009

Kitsune udon in un giorno di pioggia

(A sinistra: i miei きつねうどん kitsune udon di oggi)

Questo articoletto di oggi e' dedicato ad Alessandra poiche', alcuni giorni fa, in un suo commento, mi ha chiesto delucidazioni sugli udon in brodo, e cosi' ho pensato di rispolverare una deliziosa ricetta giapponese di nome きつねうどん kitsune udon, ovvero gli udon della volpe.

Secondo vecchie credenze popolari giapponesi, pare che le volpi siano golosissime di 油揚げ aburaage, ossia di tofu fritto, nonche' uno degli ingredienti principali di questa ricetta. E come dar loro torto? L'aburaage e' una vera bonta'!

Comunque, se questa credenza corrisponda al vero o meno non ve lo so dire, pero' e' senz'altro curiosa e fa da affascinante cornice a questi squisiti udon!

Gli udon si possono preparare in davvero tantissimi modi, e a seconda degli ingredienti utilizzati le ricette prendono un nome diverso.

La preparazione degli udon e' un procedimento di una semplicita' incredibile! Basta fornirsi di un paio d'ingredienti di base e il gioco e' fatto. Inoltre, gli udon in brodo hanno il vantaggio di essere squisitamente giapponesi e se siete quindi alla ricerca di un piatto autentico nipponico da servire in tavola, questi golosi spaghettoni faranno sicuramente al caso vostro. E non dimentichiamoci che sono infinitamente piu' semplici e veloci da preparare dei ramen le cui ricette, in genere, prevedono liste chilometriche d'ingredienti ed una quantita' di tempo notevole.

La cucina giapponese casalinga continua a stupirmi con la sua disarmante semplicita'! Non ci sono preparazioni esageratamente complesse e che richiedono conoscenze gastronomiche che neppure Escoffier! Tutti i piatti ruotano attorno a semplici ingredienti freschi e di qualita'. I condimenti, inoltre, e quindi tutto cio' che occorre per preparare salse, brodi, ed intingoli vari sono spesso e volentieri basati su combinazioni degli elementi cardine della cucina nipponica: la salsa di soia (solo giapponese, mi raccomando), mirin, dashi*, sake, zucchero, sale, alga konbu, miso.

*Il dashi va bene sia in polvere che fresco. Se volete prepararlo fresco, vi serviranno solo tre ingredienti. Ecco qui il mio articoletto di alcuni mesi fa dedicato proprio al dashi!

Gira e rigira, gli ingredienti sono sempre quelli, eppure il ventaglio di sapori della cucina casalinga giapponese e' tutt'altro che limitato! Insomma, se vi state avvicinando alla cucina giapponese o se gia' la conoscete da un po' di tempo, non e' necessario che vi sveniate per riempirvi la dispensa d'ingredienti costosi ed esotici. Veramente. Piuttosto spendete qualcosina in piu' per della salsa di soia giapponese di qualita' e magari del sake, ma per il resto non c'e' bisogno di svuotare il portafoglio.

Per servire i miei kitsune udon di oggi ho utilizzato una vecchia scodellona giapponese, nonche' uno dei pezzi prediletti della mia collezione! La meravigliosa scodella in questione risale agli anni Quaranta, e siamo quindi in pienissimo Periodo Shōwa.

Eccola:
Passiamo alla ricetta!

私のきつねうどん
Watashi no kitsune udon
I miei kitsune udon

Ingredienti per una persona:

200g di udon freschi (anche quelli secchi andranno comunque bene)
300ml di dashi
2 cucchiai di mirin
2 cucchiai di salsa di soia
mezzo panetto di aburaage
un cucchiaio di erba cipollina affettata fine
una fettina di carota per guarnire (facoltativo)

Io ho usato una porzione di udon freschi da 200g. Chissa' se in Italia si trovano facilmente gli udon freschi o secchi nei negozi di alimentari asiatici? Ecco gli udon che ho usato io:
In un pentolino preparare il dashi se si sta usando quello granulare, altrimenti scaldare 300ml di dashi fresco e che avrete gia' preparato precedentemente. Nel caso vi servisse la ricetta per farlo, vi rimando nuovamente al mio articoletto di qualche tempo fa: cliccate qui.

Nel frattempo, mettete a bollire dell'acqua in una pentola. Mettete tanta acqua quanta ve ne serve per far cuocere gli udon.

Su di un tagliere, affettate finemente l'erba cipollina. Cosi':

Prendete il panetto di aburaage e tagliatelo come preferite. Io l'ho affettato a triangolini. Per rendere ancora piu' saporito l'aburaage, ho intinto velocemente i triangolini nel brodo (dashi, salsa di soia e mirin) e li ho poi messi da parte sopra un piattino.

Se non trovate l'aburaage, provate a sostituirlo con cio' che avete. Per esempio, nulla vieta di guarnire i vostri udon con del petto di pollo tagliato a fettine, oppure del tempura di gamberi o dei gamberoni alla piastra. Potreste, ad esempio, usare dei germogli di soia crudi o magari delle verdure miste rapidamente saltate in padella.
Certo, i kitsune udon originali prevedono l'uso dell'aburaage, ma non e' tassativo averlo e quindi sentitevi liberi di sperimentare. Insomma, date via libera alla vostra creativita'!

A questo punto, l'acqua di cottura degli udon avra' iniziato a bollire; mettete a cuocere gli udon per il tempo consigliato sulla confezione. I miei erano pronti nel giro di tre minuti.

Nel pentolino del dashi versate i due cucchiai di mirin e i due cucchiai di salsa di soia. Mescolate bene e tenete in caldo a fiamma bassissima.

Quando gli udon saranno cotti, scolateli e versateli subito in una scodella. Sopra gli udon versate il brodo a base di dashi, mirin e salsa di soia.

Guarnite il tutto con le fette di aburaage, l'erba cipollina tagliata fine, e magari una fettina di carota a forma di sakura, come ho fatto io.

Et voila'! 出来上がり!Deki-agari! E' pronto!
Non vi dico che bonta'! Il sapore e' proprio quello degli udon che si assaporano nelle piccole ed accoglienti 食堂 shokudoo a conduzione famigliare che sono presenti in ogni angolo di questo bel Giappone.

Questi kitsune udon sono stati il pranzo ideale in questa giornata frescolina di pioggia insistente! In giornate cosi' non c'e' veramente nulla di meglio che una bella zuppa calda che riscaldi il corpo e rinfranchi lo spirito.

Cara Alessandra, spero che questa ricetta ti piaccia. Se ci sono domande, io sono qui!

ごちそうさまでした!
Gochisoosama deshita!

mercoledì, aprile 15, 2009

La scalata dei kanji e varie

(A sinistra: la lista che mi ha dato Kanai-sensei e che contiene tutti i Jōyō kanji. E vicino ai fogli, un mio libro d'approfondimento mirato allo studio, attraverso l'analisi di esempi, di costruzioni grammaticali particolarmente complesse.)

Come gia' ho avuto modo di accennare uno o due articoletti fa, ho iniziato le lezioni private con Kanai-sensei. Abbiamo ripreso il programma da dove l'avevamo lasciato il trimestre scorso, e in piu' Kanai-sensei intende finire tutti i Jōyō kanji, ovvero i millenovecentoquarantacinque (!) kanji d'uso comune nella lingua scritta. Questa lista fu preparata agli inizi degli anni Ottanta dal Ministero dell'Istruzione giapponese, e contiene tutti i kanji considerati necessari per poter saper leggere e scrivere correttamente, in vari contesti.

Sfogliando questa severa e solenne lista assieme al sensei, ho scoperto che di kanji ne abbiamo studiati veramente tanti e che in fondo mi bastera' continuare sulla strada intrapresa per finirli, arrivando cosi' in vetta alla montagna sacra dei kanji.

Ah, i kanji. Mi morsero una volta e da allora non sono piu' riuscita a sottrarmi al loro fascino. Sono la mia passione e ad essi dedico tutto il tempo del mondo e tutta le energie di cui sono capace. Ad essi dedico ore di studio massacranti, liste chilometriche di vocaboli composti, centinaia di piccole eccezioni che posano la scelta su di una pronuncia anziche' un'altra.

Sono anni ormai che studio i kanji; avevo iniziato con gli hanzi cinesi e poi sono passata ai loro cugini giapponesi. Credo di aver accumulato un po' di esperienza nel campo dello studio dei kanji, ma non mi sento mai di atteggiarmi a mo' d'esperta. Pero' sono sempre disposta a dare qualche consiglio su come rendere meno faticosa la scalata, anche se - ahime' - non esistono metodi miracolosi ed indolori. Nossignori. Studiare i kanji e' fatica, ma Fatica con la F maiuscola. Chi sostiene il contrario vi prende in giro oppure e' un illuso.

Certo, esistono metodi che facilitano la scalata piu' di altri (date un'occhiata all'eccellente Metodo Heisig), ma le formulette magiche o i metodi che promettono l'apprendimento del giapponese nel giro di dieci giorni (ma c'e' gente che ancora ci casca?) sono tutte belle favolette che servono solo a rimpolpare le tasche di qualche abile businessman.

Non c'e' niente da fare. Se il giapponese (o un'altra lingua) vuoi imparare, un po' di sangue devi sudare.

Ma e' sangue che si suda volentieri, soprattutto se ci si prefigge una meta. La mia, ad esempio, e' quella di essere in grado di leggere un qualunque libro mi venga voglia di sfogliare, senza l'incubo del "forse e' un livello troppo avanzato", o "forse mi conviene cercare solo libri col furigana". No. Voglio poter leggere qualunque cosa.

Qualunque.
E oggi, al termine della lezione, Kanai-sensei mi diceva che nel pomeriggio ci sarebbero stati gli esami di Midterm (l'esamone che si deve dare a meta' di ogni trimestre) per Giapponese 4!
Che nostalgia!

Ma tornando al discorso di prima, nello studio di una lingua straniera e' importantissimo prefiggersi una meta. E non c'e' niente di male se la meta prescelta e' un tantinello ambiziosa, anzi! E' una ragione in piu' per sentirsi motivati a continuare e a non mollare mai.

Ad esempio, io amo tantissimo leggere. La passione per i libri e' un qualcosa che mi accompagna da quando ero bambina. Grazie a mia mamma, instancabile divoratrice notturna di libri di vario spessore, ho iniziato presto a respirare il profumo delle pagine, ad ammirare l'eleganza dell'inchiostro sulla carta e a rimanere incantata dal concatenarsi di aggraziate lettere che formano parole e poi pensieri.

"Vorrei tanto un libro!" e' la prima risposta che do quando mi viene chiesto cosa desideri per Natale o per il compleanno. Libri, libri e sempre libri.
Se vado a fare shopping, me ne frego delle scarpe e delle borse e mi dirigo subito in libreria, passando magari da qualche negozio di ceramiche.

Dopo aver intrapreso lo studio del giapponese, e' cresciuto in me il desiderio di leggere in questa lingua senza dovermi per forza sempre e solo accontentare delle letture noiosamente annacquate che i libri di testo cercano di propinare agli studenti, facendo passar loro definitivamente la voglia di esplorare una biblioteca o una libreria. Un'altra cosa che paventavo era il dovermi accontentare di leggiucchiare a fatica solo libri per bambini, quindi scorpacciate di fiabe, filastrocche, ninnananne e quant'altro. Per carita', la letteratura infantile e' una tappa quasi obbligata per un qualunque studente serio di una lingua straniera, ma e' una fase su cui non ci si deve soffermare per paura di trovarsi, smarriti ed allarmati, in territori fatti per chi "gia' conosce almeno tot kanji".

Spesso, con un briciolo d'impudenza che farebbe probabilmente trasecolare professori un po' conservatori, entro in librerie qualunque e inizio ad andare in cerca di libri (in giapponese, naturalmente) su argomenti che m'interessano. Quando trovo qualcosa che cattura la mia attenzione, sfoglio, leggo qua e la' e poi acquisto. Non mi faccio spaventare ne' dal numero di pagine ne' dalla quantita' di kanji sconosciuti e privi di furigana.

Una volta a casa, con un po' di pazienza, inizio a leggere cercando di resistere alla tentazione di consultare il dizionario ogni tre secondi e mezzo.

Non vi sembrera' possibile, ma cosi' facendo ho arricchito notevolmente la mia conoscenza sia di kanji che di vocaboli. Quando m'imbatto in kanji malefici e i cui significati non riesco ad evincere nemmeno dal contesto, allora chiedo aiuto al mio fedelissimo compagno di studi: il mio denshi jisho. Per il resto, se mi trovo senza granche' a cui aggrapparmi, mi avvalgo dell'intuizione e prima o poi quell'impenetrabile paragrafo diventa mio!

Grazie a questa mia sfacciataggine libresca, mi sono portata a casa volumi di ogni genere, incluso addirittura un polveroso dizionario di 古語 kogo, cioe' di giapponese arcaico. Non vi dico che meraviglia! Centinaia e centinaia di pagine stracolme di kanji obsoleti, di termini in voga nel Periodo Edo e ora conosciute soltanto da qualche storico, purista della lingua o da qualche inguaribile curiosastra, come la sottoscritta. Un tomo enorme trovato, per puro caso, sugli scaffali disordinati di un rigattiere e acquistato per la ridicolissima cifra di duecento yen (circa 1,50 euro).

Questa cocciutaggine mi ha portata a raggiungere un altro traguardo che ritengo significativo: ho imparato a leggere i libri di cucina! Dagli oggi e dagli domani, quelle ricette che prima mi sembravano scritte in geroglifico hanno iniziato a diventare sempre piu' semplici da capire.

Ho abbinato la mia passione per la lettura con quella della cucina, e i ricettari in giapponese sono cosi' diventati i miei amici del cuore! Ora ne ho una collezione quasi vergognosa a cui, recentemente, si sono aggiunti i due pargoletti di carta che ora vi mostro:
Il primo l'ho menzionato ieri e s'intitola きほんの料理 Kihon no ryoori, ossia "La cucina di base" e insegna tutte quelle ricette considerate appunto fondamentali della cucina giapponese, come ad esempio il niku-jaga, il maccarello al miso, il karaage di pollo, tsukemono vari, il tempura, la salsa teriyaki, il tamagoyaki, gli onigiri, e molto altro ancora. E' interessante come, pero', in tutto il libro non appaiano ne' sushi ne' sashimi proprio perche', pur essendo questi indiscutibili capisaldi della cucina nipponica, non lo sono di quella casalinga e semplice!

Il secondo, invece, e' un piccolo e tenero gioiellino intitolato お料理したい子のレシピブック O-ryoori shitai ko no reshipi bukku, ovvero "Il ricettario per i bambini che vogliono cucinare". Si tratta di un libro si' rivolto ai bambini, ma sotto la sorveglianza di un adulto. Il ricettario in questione si propone d'insegnare ai piu' piccoli a preparare bonta' nipponiche come l'oyako-donburi, gli inari-zushi, i nabeyaki-udon, l'okonomiyaki, il kinpira, ecc. Tutte le ricette sono coadiuvate da graziosi disegni che spesso illustrano il procedimento spiegato.

E per finire, vorrei condividere con voi ancora una piccola gioia.
Mentre Annalisa era qui da noi, leggendo un articolo che consigliava alcuni manga anziche' altri, sono venuta a conoscenza di una bellissima e nuova serie di fumetti intitolata よつばと Yotsuba to!, di 東清彦 Azuma Kiyohiko.

Ho comprato il primo volumetto e dopo essermelo letto tutto d'un fiato...ho acquistato gli altri due che ho puntualmente divorato nel giro di pochi giorni! Ora ho bisogno di comprarmi gli altri numeri, ma li prendero' sicuramente di seconda mano perche' seicento yen il pezzo mi sembra un po' tanto. Eccoli qui:
Come gia' sapete, non ho molta predilezione per i fumetti, ma faccio comunque qualche eccezione, e Yotsuba to! e' una di queste. Dopo aver finito il primo volumetto, ero incredula! Avevo finito il mio primo manga in giapponese della mia vita! Ero quasi in lacrime dall'emozione. La sensazione che si prova riuscendo finalmente a leggere in una lingua che non e' la propria e' qualcosa di immensamente elettrizzante; e' un qualcosa che ti fa piangere e sorridere al tempo stesso; e' un qualcosa che ti fa battere il cuore ad una velocita' che non credevi possibile.

So che Yotsuba to! e' stato tradotto in inglese, ma non so se esista gia' la versione in italiano. Comunque sia, e' un manga che vi consiglio perche' trasmette un senso di pace e serenita' meravigliosi! E' la storia di Yotsuba-chan, una vivace bambina dai capelli verdi che abita con suo papa' e che cerca di scoprire il mondo attraverso tante piccole avventure e buffe marachelle.
Prima di concludere, vorrei ricordarvi di andare a dare un'occhiata al mio nuovo articolo sul sito Insieme a Tè, nella mia rubrica dedicata al Giappone. Ecco qua! Buona lettura!

martedì, aprile 14, 2009

O-toofu gohan e varie

(A sinistra, il mio pranzo di oggi: O-toofu gohan, sumashi-jiru, zucca giapponese con kimchi, tsukemono di cetrioli con alga konbu e shiso)

Oggi la giornata e' grigia; nonostante piova incessantemente da stamattina, il cielo continua ad essere tempestato di nuvole cariche di acquazzoni.

Nell'aria c'e' l'odore dell'erba bagnata, e un venticello caldo e leggero accarezza i pinetti del mio giardino.

Sto continuando a sentire moltissimo la mancanza di Annalisa, e sto cercando di abituarmi all'idea di non averla qui.
Mi devo riabituare all'idea di non fare colazione con lei mentre riempie la sua tazza verde e bianca di latte e cereali; mi devo riabituare a non vederla seduta vicino a me mentre, osservando con aria tranquilla le risaie, aspettiamo la metro'; mi dovro' riabituare a non darle la buonanotte la sera chiedendole se preferisce che chiuda o che metta semplicemente incontro la porta della sua camera.

Piano piano sto riprendendo la mia routine quotidiana; ieri pomeriggio, infatti, ho cominciato le lezioni private con Kanai-sensei. Sono molto contenta per l'opportunita' che ho di fare lezione con Kanai-sensei perche', come ho gia' avuto modo di dire in precedenza, e' un insegnante eccellente!

Oggi vorrei insegnarvi un piatto giapponese semplicissimo, nonche' delizioso: お豆腐ご飯 O-toofu gohan, cioe' il riso al tofu.
Questa ricetta appartiene al vastissimo repertorio gastronomico della 精進料理 shoojin-ryoori, ossia della cucina vegetariana buddista, preparata generalmente nelle cucine dei templi.

Ho iniziato di recente ad interessarmi un po' alla shoojin-ryoori, e piu' mi addentro in quest'affascinante cucina con una storia alle spalle di quasi quindici secoli, e piu' mi rimango stupita nell'accorgermi di quanto una cucina sana, deliziosa ed elegante non debba per forza essere ne' complicata ne' costosa.

Vediamo come si prepara il facilissimo o-toofu gohan!

Per l'occasione, ho inaugurato una nuova varieta' di riso nota col nome di ななつぼし nanatsuboshi, originaria di Hokkaido. Ecco qua:

お豆腐ご飯
O-toofu gohan
Ingredienti per una persona (potete raddoppiare o triplicare la ricetta a vostro piacimento)

una scodella di riso cotto al vapore
un panetto piccolo di tofu fresco
due cucchiaini di salsa di soia
un terzo di cucchiaino di sake'
un terzo di cucchiaino di sale

Lavare accuratamente il riso e metterlo nel contenitore metallico della vostra cuociriso, assieme alla quantita' giusta d'acqua.
Secondo il mio ricettario giapponese きほんの料理 Kihon no ryoori (La cucina di base), le dosi ideali d'acqua e di riso per preparare un vero gohan a regola d'arte sono le seguenti:

1 misurino giapponese di riso crudo (che equivale a circa 153g)
180ml d'acqua

Ogni misurino di riso crudo (quindi circa 153g di riso non cotto) equivale ad una porzione per una persona. Preparando due porzioni, naturalmente i misurini saranno due e la quantita' d'acqua sara' pari a 360ml, e via discorrendo.

Ecco qui la mia porzione di riso accuratamente lavato, assieme ai 180ml d'acqua:
Dopodiche' ho aggiunto la salsa di soia, il sake' e il sale e ho dato una mescolata al tutto prima di accendere la cuociriso:
Nel frattempo ho messo una padella a scaldare a fuoco medio-basso. Dentro la padella ho poi messo un panetto piccolo di tofu (momen-doofu) e aiutandomi con i saibashi ho iniziato a strapazzarlo un po':
Si continua a far cuocere il tofu strapazzato fino a quando tutto il suo liquido si sara' assorbito. Fate attenzione a non bruciare il tofu, mi raccomando!
Per questa cottura non e' necessario aggiungere ne' olio ne' acqua, ma e' sufficiente mettere il tofu in padella cosi' com'e', al naturale.
A fine cottura, il vostro tofu strapazzato dovra' avere un aspetto simile a questo:
A questo punto, accantonate il tofu cotto e aspettate che il riso sia pronto. Il riso preparato in questo modo, cioe' con salsa di soia, sale e sake' emanera' un profumo davvero molto invitante! Sara' un piacevole diversivo dalla solita scodella di riso bianco.

Una volta che il riso sara' cotto, bastera' semplicemente mischiarlo al tofu saltato in padella e servire il tutto in piccole scodelle di ceramica!

Mentre aspettavo che il riso finisse di cuocere, ho preparato un velocissimo sumashi-jiru, cioe' un brodo trasparente a base di alga konbu.
Secondo i principi della shoojin-ryoori, se si serve del riso non bianco ma condito con verdure, salsa di soia, tofu, ecc. allora la zuppa che lo accompagnera' non dovra' essere di miso perche' risulterebbe eccessivamente sostanziosa; in questi casi, dunque, si preferisce optare per dei sumashi-jiru, cioe' brodini molto leggeri ed eleganti preparati, generalmente, con alga konbu, funghi, ecc.

Una piccola meraviglia culinaria giapponese particolarmente amata dalla cucina buddista sono i fu, crostini di pane di grano glutinato. Di fu ne esistono tantissime varieta', forme e colori, e in genere vengono utilizzati per abbellire i sumashi-jiru, ma anche altri piatti e non solo zuppe, quindi. La cucina buddista ha una predilezione speciale per i fu perche' questi aiutano a compensare l'assenza di carne, pesce e latticini dalla rigorosa dieta vegetariana giapponese grazie al loro importante apporto proteico.

Io oggi per guarnire il mio sumashi-jiru ho usato delle carinissime 手まり麩 temari-fu, cioe' fu a forma di palla giapponese colorata:
Oltre alle temari-fu, ho usato anche due fettine di carota che ho modellato a forma di fiore di sakura per rimanere in tema con la stagione del momento.

Oltre l'o-toofu gohan, la sumashi-jiru con temari-fu e carote, sul mio vassoio ho disposto anche dei pezzi di zucca giapponese (kabocha) fatti cuocere sempre con una ricetta* della shoojin-ryoori, del kimchi di cavolo cinese e uno tsukemono di cetrioli con alga konbu.

Ecco il brodo:

*La ricetta buddista della zucca prevede semplicemente una cottura della zucca in acqua, zucchero e sake'. Se interessano le dosi, fatemi sapere e pubblichero' la ricetta completa.
Se nutrite curiosita' nei confronti della sana e raffinata cucina buddista, sara' mio piacere presentarvi altre ricette poiche', come ho avuto occasione di scoprire ultimamente, sono tutte molto semplici, ma soprattutto molto flessibili e facilmente adattabili in qualunque parte del mondo.
Secondo i principi della shoojin-ryoori non e' tanto cio' che si usa per cucinare che importa, quanto il modo in cui lo si cucina: la maniera con cui si trattano gli ingredienti, il modo in cui li si taglia, in cui li si prepara e dispone sui piatti. Seguendo alcune semplici regole che non prevedono l'uso d'ingredienti di origine animale o d'ingredienti grassi come la margarina, e facendo attenzione alla stagionalita' delle verdure, alla varieta' dei piatti serviti (mi convinco sempre di piu' che l'essere vegetariani non significa seguire un'alimentazione monotona..anzi!), ci si accorge che la shoojin-ryoori vien da se' in modo del tutto naturale, arricchita poi dal tocco personale di ognuno di noi.
いただきます!
Itadakimasu!

domenica, aprile 12, 2009

Una domenica sonnacchiosa

(姿見七人化粧 Sugatami shichinin keshoo di Kitagawa Utamaro)

Annalisa ha lasciato il Giappone ieri mattina ed e' arrivata sana e salva a Torino dopo un viaggio lungo e stancante.

E io non vi so nemmeno dire quanto mi manchi. No, non ve lo so descrivere. La malinconia e' qui, dentro di me e reale, eppure non la so tradurre in lettere e poi in parole da digitare qui in questo spazio bianco.

La giornata di ieri e' passata con una lentezza esasperante. Era come se le ore avessero trovato una durata surrealmente nuova.

Ma la stanchezza causata da un'angosciosa notte insonne ha avuto le meglio su di me, facendomi crollare in un sonno intermittente e tanto improvviso quanto profondo. Era come se stessi somatizzando le sensazioni di un jet-lag...senza aver fatto nemmeno le valigie.


Ieri un sole caldo ed inesorabile faceva venir voglia di stare in casa, ma ieri c'e' stata anche una dolcissima pioggia di petali di sakura. I petali di sakura stavano salutando Annalisa e le stavano augurando un rientro tranquillo in Italia, con la speranza che un indimenticabile pezzo di Giappone le fosse rimasto nel cuoricino.

(Queste foto dei fiori di sakura sono opera di mio marito)




Mi sono pure dimenticata di augurare Buona Pasqua a tutti i lettori di Biancorosso! A stare in Giappone per un lungo periodo di tempo, in genere, ci si dimentica con facilita' delle feste comandate, soprattutto di quelle cattoliche poiche' non essendo questo un Paese fondamentalmente cristiano, non c'e' molto in giro che aiuti a star dietro alla varie ed importanti ricorrenze della nostra tradizione.

Ma in ogni caso, questa Pasqua e' diversa da tutte le altre; l'aria di morte e di lutto per le vittime del terremoto in Abruzzo sono arrivate anche qui. Il Giappone, Paese con alle spalle una violentissima storia sismica, ha assistito con grande sgomento assieme all'Italia all'evolversi di questa tragedia e ci e' vicino in questo momento cosi' terribilmente difficile.

La partenza di Annalisa ha reso ancor piu' mesta una giornata che era gia' pesante e mesta di suo, ma nonostante tutto ho cercato di reagire con forza. Qui a casa, ieri, ci aspettava un dolce ovetto di cioccolato, regalo dell'altrettanto dolce Kuri, cara amica mia.
Erano anni e anni che non scartavo un uovo di Pasqua. Anni.

Sono ritornata di nuovo un po' bambina; sul mio volto c'era l'emozione che mi prendeva al pensiero di quella golosa cioccolata che presto sarebbe stata mia, ma prima ancora della cioccolata il cuore mi batteva al pensiero di quella misteriosa sorpresa che mi aspettava. Proprio come i bambini, ho agitato un po' di volte l'ovetto nella speranza di riuscire a cogliere qualche indizio sul misterioso oggetto che vi si nascondeva all'interno, ma era troppo difficile indovinarne l'identita'.
Non mi rimaneva, dunque, che svelare l'arcano aprendo quella confezione cosi' allegra e colorata, ed aprire quel profumato involucro cioccolatoso.

E tra un assaggio di cioccolato e l'altro - difficile operazione a cui ha partecipato anche mio marito - ho intravisto una scatolina ovoidale bianca. Dentro la scatola, avvolto in un fogliettino colorato, si nascondeva un bellissimo micetto di nome Celestino!

Celestino ora si assapora un po' di Giappone dall'alto della mia lampada in carta di riso e bambu':
Grazie, Kuri!ありがとう!Arigatoo!

Celestino mi ha fatto ricordare Mimmo-chan, un meraviglioso gatto nero che domenica scorsa, proprio il giorno del diciannovesimo compleanno di Annalisa, e' passato qui nel nostro giardino e con grande curiosita' ci osservava con i suoi luminosi occhi verdi.
Tra Annalisa e Mimmo-chan e' nata una timida amicizia che e' andata via via rafforzandosi grazie all'infallibile assistenza di qualche fetta di prosciutto. Foto di Mimmo-chan non ne ho, purtroppo; il felino in questione era particolarmente sfuggevole e poco incline ai pavoneggiamenti, ma chissa'...magari uno di questi giorni riusciro' ad immortalare il suo meraviglioso musetto! D'altra parte, martedi' ho visto che era ritornato proprio davanti la nostra porta che si affaccia sul giardino, e con uno sguardo curiosissimo ci spiava dall'esterno. Non ho fatto in tempo ad andare a salutarlo che gia' si era dileguato in uno degli assolati vicoletti di Shindo.

Ho sempre pensato che i libri avessero il potere di lenire ferite, ridare sollievo ad una persona triste, far sognare chi e' senza sogni, e molto altro. E anche ieri, infatti, ho avuto conferma del potere terapeutico dei libri giusti scelti al momento giusto.
Nel mio sonno ad intermittenza di ieri pomeriggio, accompagnata dai caldissimi raggi di sole che scaldavano la stanza, ho ritrovato conforto nella lettura di un libro-gemma scovato, in compagnia di Annalisa, al mitico Blue Parrot di Takadanobaba (Tokyo), nonche' mio fornitore ufficiale di libri usati ed edizioni rarissime di libri pressoche' introvabili:
Se amate la letteratura giapponese, allora indubbiamente saprete chi e' Lafcadio Hearn, noto anche con il suo nome giapponese di 小泉八雲 Koizumi Yakumo. Di Hearn vi parlero' meglio in futuro perche' e' uno di quegli autori le cui opere riescono ad essere cosi' straordinariamente attuali, anche dopo piu' di un secolo dalla loro prima pubblicazione. Penso sia inconcepibile amare davvero il Giappone senza amare almeno una delle opere di Hearn.

In questa sua opera minore (si fa per dire), Hearn condivide con il lettore alcune sue personalissime opinioni sul modo giapponese di creare ed interpretare la bellezza; quel loro modo di riuscire a trovare il bello anche dove sembra non esserci niente; quella capacita' di concentrarsi su pochi ed essenziali elementi di un ambiente, come quelli che si trovano in natura, riuscendo cosi' a cogliere il fascino di tutto.
Ma Hearn ci racconta, con una raffinata precisione per i dettagli, anche di una sua gita in una Kyoto dei primi del Novecento; ci parla dei santuari shintoisti descrivendoli con l'insuperabile abilita' di un vero maestro della parola scritta; ci descrive una sua ipotetica esistenza nei panni di una divinita'; ci racconta l'interno di una vecchia locanda che, gia' all'epoca, tentava di darsi un tono occidentale sostituendo scodelle e bacchette con posate di metallo e piatti fondi, il tatami con tappeti e gli zabuton con sedie.

Nelle parole di Hearn c'e' la semplicita' dello scrittore abile e che non ha bisogno di aggrapparsi a paroloni per far scattare la magia del suo incanto; nelle parole di Hearn c'e' la sensibilita' profonda di uno dei primi occidentali che riusci' ad avvicinarsi al Giappone e alla sua cultura, liberandosi di paure, pregiudizi e stereotipi che gia' allora erano assai diffusi; nelle parole di Hearn ho trovato quella pace, tranquillita' e serenita' che mi hanno aiutata a trascorrere il resto della giornata con addosso la malinconia per la partenza di Annalisa, ma con addosso anche la gratitudine per i bei momenti trascorsi assieme, per i nuovi ricordi accumulati, e per la gioia di averla potuta rivedere e di averle potuto dare l'opportunita' di viaggiare e vivere il Giappone, un Paese che le ha lasciato un'impronta che non potra' dimenticare.

Essendo questa la stagione in cui i fiori di sakura sono i protagonisti, ecco ancora qualche immagine in loro onore, questa volta scattate dalla sottoscritta:

Un tipo di さくらもち sakura-mochi (preparati alla maniera tokyota) ricevuti in dono da Kyoko, e che ora sono a Torino e che verranno gustati dalla mia famiglia in occasione di Pasquetta:

Una deliziosa confezione di さくらクッキー sakura-kukkii, ossia biscotti al sakura ricevuti in dono da Akiko:
E siccome in questo periodo in Giappone tutto prende un'aria sakurosa, all'appello non poteva mancare neppure il mio abituale detersivo per i piatti che, per l'occasione, ha rispolverato una confezione completamente diversa e naturalmente una profumazione interamente in onore dell'adorato fiore giapponese!
D'ora in avanti gli aggiornamenti al blog ricominceranno ad essere regolari, quindi non dimenticatevi di tornare a farmi visita! Le cose da raccontarvi sono moltissime e altrettante sono le foto che pubblichero' man mano.

Buona Pasqua e Buona Pasquetta a tutti i lettori del blog!