mercoledì, giugno 02, 2010

Colori, profumi e ricordi pechinesi

(A sinistra: alcune mattonelle smaltate di uno dei tanti edifici della Citta' Proibita. Tutte le foto di questo articoletto sono opera di mio marito e mia).

== Gli articoletti dei prossimi giorni saranno dedicati a Pechino. Ritornero' comunque prestissimo a parlarvi di nuovo di Giappone. ==

Sono trascorsi gia' quattro giorni dal nostro ritorno dalla Cina, e non a caso sto iniziando a provare quell'ormai nota sensazione di ricordi che, quatti quatti, cominciano lentamente a sbiadirsi e a scivolar via per poi perdersi nell'inevitabile immediatezza del presente.

Un rilassante volo della ANA (All Nippon Airways) ci aspettava a Narita verso le 17:20. A Tokyo quel giorno c'era un sole brillante e che faceva venir voglia di spalmarsi un po' di crema solare sul viso, di mettersi un cappello e di partire alla volta di esplorazioni senza mete precise.

Ma noi quel giorno avevamo una meta ben definita: Pechino.

Alcuni operatori di volo rimasti a terra hanno salutato, con rispettosi inchini, il nostro aereo che di li' a poco avrebbe leggiadramente lasciato il suolo nipponico.

Le tre ore e mezza di viaggio si sono concluse quando, strizzando impazientemente gli occhi, dal finestrino dell'aereo sono riuscita a scorgere una luminosissima pista d'atterraggio che sembrava non finire mai.

Un gigantesco aeroporto ci ha accolti con un inaspettato ordine ed un ancor piu' inaspettato silenzio. Eravamo solo un'ora indietro rispetto a Tokyo, ma era come se fossimo arrivati nel cuore della notte.

Caparbi e fieri residui delle Olimpiadi del 2008 non hanno tardato a farsi vedere, tentando a tutti i costi di ricordarci l'importanza di quell'evento che ha attirato cosi' tante attenzioni e controversie. Un velivolo bianco sfoggiava una fusoliera vistosamente decorata con le cinque mascotte cinesi dei giochi olimpici.

Quell'enorme aeroporto, volutamente allargato e migliorato proprio in vista delle Olimpiadi, mi ha lasciata a bocca aperta col suo silenzio quasi inquietante; i suoi vasti spazi; i suoi negozi forniti ma senza clienti.

Sregolate code di viaggiatori stanchi aspettavano il proprio turno all'ufficio immigrazione, con in mano valigie, passaporti e biglietti. Dal soffitto di quell'immenso padiglione pendevano coloratissimi striscioni che davano il benvenuto, in tante lingue, ai visitatori che stavano per mettere ufficialmente piede nel Regno di Mezzo. Quei cordiali cartelli si rivolgevano a noi con un affabile "My friends!", facendoci sentire come se fossimo davvero arrivati a casa di amici che non vedevamo da chissa' quanto tempo. Da quegli striscioni naturalmente non mancavano ne' il logo olimpico ne' raffigurazioni varie delle mascotte.

Una signora, nel tentativo d'immortalare quei primi angoli di Cina, ha scattato una fotografia a quei lunghi striscioni di benvenuto. Ma questa sua iniziativa e' stata prontamente accolta da un brusco rimprovero di una delle guardie che, con uno sguardo sospettoso, per molto tempo ha continuato a tener d'occhio l'incauta signora.

In attesa dei nostri bagagli, ho assistito ad una scena che mi ha fatto capire che quattro anni consecutivi di Giappone mi hanno cambiata piu' di quanto immaginassi: alcuni uomini cinesi, dopo aver ritirato le proprie valigie, si erano ritrovati vicino all'Ufficio Cambi. Con tono concitato, sembravano scambiarsi opinioni su argomenti evidentemente molto coinvolgenti.
Uno di loro ha tirato fuori da una borsa una bottiglietta sigillata e che, senza troppe cerimonie, ha iniziato a scartare, gettandone poi molto tranquillamente tutto l'incarto per terra, su quel lucidissimo ed immacolato pavimento di marmo.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel mucchietto di plastica indecorosamente abbandonato in quel luogo cosi' pulito e curato, e continuavo a chiedermi come ci si potesse lasciare andare a cosi' tanta negligenza senza sprofondare dalla vergogna.

Ma era ora di andare. Fuori ci aspettava qualcuno che non sapevamo ancora chi fosse, e che sarebbe venuto a prenderci.

Un'esile ragazza cinese dai capelli castani e dalla pelle candida ci stava aspettando, con in mano un cartellone bianco con su scritti, con un pennarello blu, i nostri nomi. Ci e' venuta incontro, e con un sorriso timido si e' presentata dicendoci che il suo nome era Stephanie.
I suoi capelli castani, legati con un fiocchetto rosa, erano raccolti in una morbida coda che ad ogni passo sventolava ora di qua e ora di la'. Da una tasca ha tirato fuori un piccolo telefonino con cui ha velocemente chiamato qualcuno. Quel qualcuno era un signore che ci aspettava nel parcheggio dell'aeroporto, in una grossa e lucidissima automobile nera dai finestrini scuri.

Ci siamo messi comodi, abbiamo allacciato le cinture di sicurezza, pronti per goderci quei quaranta minuti di viaggio per quella Pechino serale. Quei quaranta minuti di primo assaggio cinese.

Enormi strade a piu' corsie e su cui sfrecciavano all'impazzata auto di grossa cilindrata sembravano averci catapultati sulle highway della California o forse del Nevada. Ma imponenti insegne luminose in hanzi (kanji, in cinese) perlopiu' rossi che pubblicizzavano la Huaxia Bank, la Bank of China, ed enormi alberghi mi hanno ricordato che ero davvero nel Regno di Mezzo.

Dai finestrini abbassati entrava un'aria tiepida che aveva un odore diverso da quella giapponese. Era un'aria che sapeva di piante e fiori a me sconosciuti; sapeva di traffico; sapeva di sera.

Oramai mancava poco al nostro arrivo. Stephanie si e' girata verso di noi e con un sorriso ci ha detto che il nostro albergo era vicino. Prima di raggiungere il corso su cui si affaccia l'hotel, col dito ci ha indicato un grande edificio tutto illuminato e su cui regnavano sovrani tre hanzi rossi: 北京站 Beijing Zhan, ossia la stazione di Pechino.
Stephanie ha sottolineato il fatto che fu Mao Zedong a scrivere quei tre hanzi. La celebre insegna fu quindi creata proprio su modello dei tre hanzi del "grande timoniere".

Il nostro albergo, il Paragon Hotel, si trovava proprio davanti a Beijing Zhan.
Erano in molti ad essere seduti per terra sulla piazza della stazione. Alcuni chiacchieravano o fumavano una sigaretta; altri invece erano sdraiati su di un letto di fortuna, fatto magari con una coperta ed una giacca per cuscino. Non so in quanti fossero esattamente ad occupare la piazza di Beijing Zhan, ma saranno stati all'incirca duecento o trecento persone.
Ho visto anche alcuni bambini che, colti dal sonno, si erano raggomitolati vicino alle proprie mamme oppure in angolini bui del porticato.

Beijing Zhan e' la stazione ferroviaria principale di Pechino, ed una delle piu' importanti della Cina. Da li' partono treni che raggiungono innumerevoli angoli di questo vecchio Paese. Ma da li' partono anche treni con destinazione Hanoi, Lhasa, e persino Pyongyang. E' proprio questo suo ruolo cosi' nevralgico a rendere Beijing Zhan una stazione in continuo fermento dove, per poter prendere un treno per destinazioni lontane - soprattutto su carrozze di seconda o terza classe - e' spesso necessario aspettare tante ore.
Molti di questi viaggiatori si ritrovano a dover aspettare fino alla mattina seguente, e senza soldi in piu' da spendere in alberghi, preferiscono trascorrere la notte alla bell'e meglio.
(Continua).

2 commenti:

Hana ha detto...

Che emozione!
Attraverso le tue parole anche io viaggio per la prima volta in Cina! *_________*

Un grande abbraccio

Ruru-chan

clelia ha detto...

.. e già in queste righe si ha una visione di come sia dura la vita dei comuni mortali cinesi... struggente ed interessante il tuo racconto..
Grazie Marianna
Clelia