giovedì, ottobre 19, 2006
Dai, leggiamo ancora!
Dai, leggiamo ancora era il nome del mio adorato libro di lettura, alle elementari.
E' un titolo semplice, ma chiaro. Forse poco realista, perche' oramai tanti bambini crescono con un'avversione per i libri, e questo e' un vero peccato.
Io ho avuto la fortuna, invece, di crescere in una casa in cui l'amore per la lettura e i libri erano due cose che non mancavano mai.
Questo mi ha permesso di amare i libri, anche quelli scolastici!!
Anche adesso che sono grande, quando entro in una libreria non posso fare a meno di rimanere a bocca aperta, e di passeggiare per le corsie con gli occhi pieni di curiosita', la bocca mezza spalancata e le mani intente a prendere ora questo libro, e ora quell'altro.
Penso che, dentro di me, in fondo ci sia sempre quella vocina che mi parlava da bambina m'incoraggiava a leggere ancora, quando passavo le ore a fantasticare con le incantevoli storie di Tove Jansson, le fiabe di Andersen, i fumetti di Walt Disney, quelli di Salsiccia & Bombarda, Braccio di Ferro, Il libro della giungla di Kipling, o il mitico Alice nel Paese delle Meraviglie.
Anche qui in Giappone ho la mia collezione di libri. Libri nelle varie lingue in cui so leggere: italiano, inglese, francese, spagnolo, tedesco e qualcosina in cinese.
Circa un anno fa, feci uno scambio di libri con una ragazza canadese, che mi mando' una raccolta di ricette per minestre e zuppe, e poi il libro che vedete raffigurato su in alto a sinistra.
Si tratta di Child of Fortune, di Yuko Tsushima, una scrittrice giapponese contemporanea.
Subito dopo aver ricevuto il suddetto libro, mi misi a leggerlo con grande curiosita', aspettandomi di trovare fra le pagine, una storia avvincente ed intrigante.
Invece, cio' che trovai fu noia pura.
Dopo alcune pagine e diversi sbadigli, chiusi il libro e lo lasciai su una mensola. Ogniqualvolta mi capitava di ritrovarlo, mi veniva in mente quella lettura che aveva solo saputo conciliarmi il sonno.
Ieri curiosavo sul sito di Luciana Littizzetto, per cui nutro grande stima e simpatia, dove sono elencati svariati consigli e trucchetti per risolvere problemini di ordinaria amministrazione: dal come fare a svitare il coperchio di un barattolo a come eliminare gli odori provenienti dal lavandino della cucina, ecc.
Tra le curiosita' varie, la Littizzetto consiglia, coi libri noiosi, di tener duro e di leggerne almeno cinquanta pagine. Se entro la cinquantunesima non c'e' una svolta e se in qualche modo la lettura continua imperterrita a tediarci, allora possiamo sentirci autorizzati a chiudere definitivamente con il libro in questione e passare ad altro.
Se seguissimo questo consiglio, penso che i nostri dimenticatoi personali si svuoterebbero a vista d'occhio.
Molti sono i libri che abbandoniamo, moolto prima di arrivare alla cinquantesima pagina, ma anche alla trentesima!
Child of Fortune era uno di quelli. Credo di averlo abbandonato alla quinta o sesta pagina, in cui l'autrice si perde nella strana descrizione di un (barbosissimo) sogno fatto dalla protagonista del romanzo, Koko.
Ecco, se c'e' una cosa che mi annoia in modo quasi irrecuperabile, e' la descrizione di un sogno, ma non solo nei libri, ma anche i resoconti onirici che si sente fare da amici e parenti.
Certo, ci sono delle eccezioni in quest'ultimo caso, ma il piu' delle volte mi stufo a sentir raccontare i sogni, un po' come quando certi si ostinano a raccontarti, per filo e per segno, un film.
Ma tornando a bomba, ieri ho ripreso il libro della Tsushima. Superate le prime pagine noiose con la descrizione del bislacco sogno di Koko, ho scoperto una storia molto interessante.
Una storia come tante altre, forse, che racconta la vita di una giovane donna sola, con una figlia che va alle elementari e che, pian pianino, si allontana sempre di piu' dalla madre, creando un rapporto strettissimo con la zia, il cui atteggiamento appare esageratamente condiscendente nei confronti della sorella.
Un comportamento volto a placare certi sensi di colpa, credo, che la zia prova nei confronti di Koko.
Ma assieme a questa condiscendenza, c'e' anche la volonta' di aizzare la nipote contro la sorella, cioe' la madre della bambina.
Koko si trova quindi, a dover gestire una situazione difficile, in cui la figlia vede la propria madre nella figura della zia, e nella propria madre la figura di una parente noiosa, che bisogna andare a trovare per forza, una volta la settimana.
Oltre a questo, c'e' la sua vita sentimentale a darle filo da torcere. Il padre di sua figlia e' uno che ha preferito dileguarsi nel nulla, seguendo un copione quasi universale, recitato fedelmente da molti padri irresponsabili, sparsi in tutto il mondo.
La voce narrante racconta di altre relazioni passeggere della protagonista. Relazioni che, purtroppo, sono entrate nella sua vita con la stessa facilita' con cui ne sono uscite.
Penso che uno dei motivi per cui mi avesse annoiata cosi' tanto, era perche' quando cominciai a leggere Child of Fortune, abitavo ancora negli Stati Uniti, e la realta' squisitamente giapponese del libro era troppo distante dalla mia.
Anche questo e' uno dei motivi che puo' rendere una lettura particolarmente difficile o poco stimolante.
Spesso, certi autori, o meglio, certi traduttori, non si rendono conto del fatto che ai lettori certi racconti, certe descrizioni di luoghi, costumi, tradizioni o altro, possono non aver senso, o possono creare confusione, dando vita ad immagini astratte e che non trovano riscontro nel concreto.
Questo peggiora quando la traduzione e' di infima qualita'.
Ma fa un certo effetto leggere un romanzo nel Paese di origine del suo autore o autrice.
Quasi improvvisamente, gli atteggiamenti e i modi di fare dei personaggi che abbiamo incontrato nel corso di una storia, iniziano ad aver senso e a spiegarsi da soli.
Cio' che sto dicendo, un po' si ricollega ai miei articoletti del mese scorso, Alle radici del sole, parte 1 e 2, quelli in cui parlo delle differenze culturali e del modo in cui queste vengono spesso travisate.
Un elemento, se osservato ed analizzato al di fuori del contesto a cui appartiene, appare alieno e persin strambo.
La stessa logica la si puo' applicare ai libri e a tutte quelle storie che ci sono sembrate strane ed inconcludenti.
Chissa', forse dovrei rivedere The Floating World, di Cynthia Gralla, un libro tracotante e protervo, dove viene raccontata una storia strana di geisha dallo stile di vita equivoco. Geisha dalla doppia vita, alla Dr. Jekyll & Mr. Hyde.
Anche se pero', dubito mi potrei ricredere. Qui sto parlando di autori ed autrici giapponesi, i cui messaggi e le cui storie non sempre afferriamo, perche' non ci troviamo nel loro mondo.
La bizzarra realta' descritta dalla Gralla appare come un mero esercizio di bella scrittura, e niente piu'. Immagini distorte che servono solo ad alimentare i fraintendimenti della cultura giapponese, che gia' serpeggiano e si moltiplicano a iosa, in Occidente.
Non dubito la bravura e la creativita' della Gralla, pero' credo che certi scrittori si divertano troppo ad utilizzare stereotipi, a loro uso e consumo. Prendono uno stereotipo qualunque, lo girano e lo rigirano, ci costruiscono su una storia che pare uscita dalla Twilight Zone, et voila'! Ecco un bel romanzino che verra' prontamente divorato da milioni di lettori ignari e boccaloni, e che fruttera' un bel gruzzoletto all'autore e alla casa editrice.
A questo proposito, viene d'obbligo tirare in ballo il caso di Memoirs of a Geisha, o Memorie di una Geisha, di Arthur Golden.
Ho letto il libro, in inglese, alcuni anni fa e mi e' piaciuto molto, anzi moltissimo. Sono rimasta incollata alle pagine e non volevo smettere di leggere.
Allora circolavano le prime voci che accennavano ad una possibile produzione cinematografica del best-seller. Ovviamente non vedevo l'ora arrivasse il film!
Nel frattempo, spinta dalla curiosita' nata dalla lettura del suddetto libro, mi sono messa a cercare altre letture analoghe. Ed e' stato cosi' che ho trovato, acquistato e letto il libro Geisha, A Life, di Mineko Iwasaki.
Leggendo il libro della Iwasaki, si scoprono un po' di altarini legati al romanzo di Golden.
Forse, voi lettori e lettrici, non siete al corrente, e quindi vi invito caldamente a cercarvi una copia della biografia della Iwasaki.
Mineko Iwasaki e' una geisha, ormai in pensione. Pare che Golden si sia ispirato alla vita di questa donna, nella creazione e stesura del suo celebre libro.
Il Golden, durante uno dei suoi viaggi qui in Giappone, ebbe la rarissima opportunita', nonche' privilegio, di poter incontrare una geisha disposta a chiacchierare con lui e a raccontare fatti riguardanti la sua vita e la sua professione, a patto che l'identita' della geisha rimanesse anonima, qualora l'autore decidesse di usare i suoi appunti per un libro.
Fin qui, niente di strano. Senonche', una volta rientrato negli Stati Uniti, il Golden decise di utilizzare quanto appreso, come materiale per il suo primo e fortunatissimo romanzo.
Anche qui, niente di strano. Il problema e' che l'autore, dimentico della promessa fatta alla Iwasaki, menziono' il suo nome nei Ringraziamenti.
Il libro venne pubblicato, riscosse un successo enorme e comincio' ad esser tradotto in tante lingue, tra cui il giapponese.
Siccome la Iwasaki non parla inglese, pote' venire a conoscenza del libro solo dopo che questo venne pubblicato nella sua lingua.
Lo compro', lo lesse e in preda ad un attacco d'ira, dichiaro' guerra al Golden. La Iwasaki era a dir poco indignata per il modo, a dir suo distorto e inesatto, con cui l'autore americano descrive la nobile e rispettatissima professione della geisha.
Secondo la Iwasaki, nel libro viene spesso insinuato che le geisha fossero (e siano) prostitute d'alto rango, luogo comune, peraltro, esistente da tempo purtroppo.
Pare che, addirittura, a causa della mancata promessa del Golden e la sua decisione di voler menzionare il nome della Geisha nel suo libro, la Iwasaki abbia persino ricevuto minacce di morte per aver consapevolmente infranto il codice d'onore e di silenzio che vige tra le geisha, anche dopo che queste vanno in pensione.
Ci fu addirittura una causa in tribunale, che si concluse,nel 2003, con una somma sconosciuta di denaro, da parte dell'editore di Golden, per la Iwasaki.
Questo per dire che, non possiamo prendere per olo colato tutto cio' che le case editrici ci propinano.
A volte si tratta di libri molto creativi, per carita', ma che non corrispondono alla realta'.
Infatti, leggendo il libro della Iwasaki, libro peraltro che la geisha scrisse controvoglia, ma per ribattere al best-seller, capiamo di essere stati un po' presi per il naso ed imbambolati dalle chiacchiere del Golden.
Mineko Iwasaki, nel suo libro, racconta la sua vita, da quando era bambina ed era stata affidata all'okiya Iwasaki, passando dall'obbligatoria e severa gavetta, arrivando al grado di maiko con tutti i suoi relativi sacrifici ed addestramenti, fino a giungere all'agognato titolo di geisha.
Lo scopo principale della Iwasaki, e' stato quello di, tramite la pubblicazione del suo libro autobiografico, smentire aspramente molte delle inesattezze diffuse dal Golden, come ad esempio tutta la controversia legata al rito del mitsuage.
Dopo l'immenso successo del libro di Arthur Golden, il romanzo venne sfruttato in tutti i modi, a scopi remunerativi ovviamente.
La casa cosmetica coreana, Fresh, creo' addirittura una linea di trucchi e prodotti per il corpo, fragranze, dedicate proprio a questo caso letterario.
Ovviamente, venne fatto un film sul libro di Arthur Golden, che porta lo stesso nome del romanzo.
Il film e' diretto da Steven Spielberg ed e' uscito nei cinema, negli USA, nel dicembre del 2005.
Inutile dire che il film mi ha delusa e non mi e' piaciuto quanto il libro (nonostante le inesattezze).
Le uniche cose che mi sono piaciute del film sono stati i colori e gli ambienti.
La sceneggiatura faceva dormire. Per non parlare, poi della scelta degli attori.
Ancora oggi mi domando il perche' del cast, quasi completamente cinese, in un film che con la Cina ha ben poco a che spartire. Mah!
Onestamente mi domando come possa Ziyi Zhang (per cui nutro un po' di antipatia, a dire il vero) ad interpretare il ruolo di una geisha! Infatti, dal mio modestissimo punto di vista, non ci e' riuscita.
Anche Gong Li (attrice che invece stimo grandemente), nei panni della perfida Hatsumomo faceva quasi ridere, perche'? Perche' era lapalissiano il suo non riuscire ad immedesimarsi completamente nel ruolo assegnatole.
Con questo non voglio difendere i sentimenti nazionalisti dei cinesi che si sono ribellati alla formazione del cast di questo film, perche' non sopportavano l'idea di vedere due loro (celebri) connazionali nei panni di due giapponesi (quale orrore!), per giunta mezze sgualdrine.
Questo e' cio' che pensavano (e pensano ancora adesso) i cinesi. Questa e' la loro opinione del film.
La mia e' una lamentela di tipo prettamente artistico.
Non dubito la poliedricita' degli attori di talento e la loro capacita' di adattarsi alle caratteristiche (qualunque esse siano) dei personaggi che interpretano, pero' sono dell'idea che, quando un attore interpreta un ruolo piu' vicino a se stesso, il risultato che ne consegue e' decisamente piu' credibile.
Calarsi nella parte di qualcuno non significa solo memorizzare un copione (o mandarlo a memoria con la sputazzella, come diceva una mia professoressa di matematica), ma vuol anche dire far propri gli aspetti caratteriali del personaggio in questione, comprese le sue abilita', preferenze e peculiarita'.
Non credete che questo risulti decisamente piu' facile (e con un risultato piu' naturale, non troppo artificioso) se tra attore e personaggio vi sono forti punti in comune?
Per concludere: il libro di Golden e' stato di mio gradimento, anche se quello della Iwasaki ha piu' valore da un punto di vista letterario. Quest'ultimo sara' meno avvincente del grande best seller, ma non per questo va messo in secondo piano. Anzi!
Per quanto riguarda il film, invece, io stenderei un velo pietoso. Un film come questo andra', indubbiamente, a rimpolpare la fornitissima collezione di materiale distorto sul Giappone, che tanto va di moda in Occidente.