Quando le giornate iniziano a farsi sempre piu' calde, viene voglia di mangiare cose fredde, o se non altro tiepide. Minestroni fumanti, polenta, bagna caoda et similia fanno sudare solo a pensarci. Ed ecco che iniziamo a riscoprire i nostri repertori personali di ricette estive: insalate di pasta o di riso, insalatone di verdura, panini, pinzimoni, ecc.
La cucina giapponese e' particolarmente ricca di piatti ideali che portano un po' di sollievo nelle giornate piu' torride.
Un esempio di piatto giapponese deliziosamente estivo e' la soba. La foto che vedete in alto ritrae della soba che ho preparato una sera per festeggiare il ritorno di mio marito a casa, dopo un viaggio di lavoro all'estero. Al centro c'e' lo zaru (vassoietto di bambu') con la soba e le striscioline di nori, a sinistra il riso bianco caldo, in alto a destra un sobachoko (coppetta apposita da usare per la salsa che accompagna la soba) con la salsina, e vicino un oshibori. In alto a sinistra, invece, un piccolo piattino per eventuali condimenti extra.
Il termine soba fa riferimento a spaghettini giapponesi leggermente marroncini, preparati con farina di grano saraceno.
Gli spaghettini soba possono essere consumati sia caldi che freddi, e possono essere cucinati in tanti modi diversi, ognuno con un proprio nome specifico.
La soba calda viene generalmente servita in brodo, mentre quella fredda viene fatta prima raffreddare ovviamente, e successivamente viene scolata e poi servita su un vassoietto di bambu'. Il commensale intinge poi bocconi di soba fredda dentro una salsina apposita di cui parlero' a breve.
In alto vedete un pacchettino di alga nori essiccata e tagliata a striscioline, e vicino una confezione di spaghettini soba.
Generalmente le confezioni di soba contengono gli spaghettini suddivisi in porzioni (come potete vedere nella foto; vedete come la soba e' suddivisa in mazzetti legati con un'etichetta nera?) da circa 100 grammi l'una.
Solitamente si cuoce una porzione per persona, ma poi ovviamente ognuno si regola in base al proprio appetito e in base anche al numero di altre portate presenti durante il pasto.
Qui in Giappone la soba e' un alimento molto amato e consumato con grande frequenza. Vi sono ristoranti specializzati solo in piatti a base di soba, ma anche in altri ristoranti si puo' comunque gustare questa squisitezza culinaria.
Nei supermercati la soba viene venduta sia secca (come quella che ho comprato io), che fresca.
Ovviamente, chi e' capace e ha tempo, se la fa in casa, ma c'e' talmente l'imbarazzo della scelta per quanto riguarda i tipi di soba disponibili sul mercato, a prezzi veramente popolari, che l'idea di farla in casa non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello, a dir la verita'.
Magari il giorno che lasceremo il Giappone (sob!), allora provero' a farla fresca. Ma per il momento voglio mangiare la vera soba dei giapponesi, in Giappone!!
Le striscioline di nori servono come guarnizione da mettere sopra la soba prima di servirla, proprio come ho fatto nella prima foto che vedete su in alto.
Per la cottura della soba, basta riempire una pentola per la pasta d'acqua e portarla ad ebollizione. L'acqua non va salata anche perche' la salsina che si utilizza e' particolarmente salata gia' di suo.
Quando l'acqua inizia a bollire, si puo' mettere a cuocere la quantita' desiderata di soba. Dopodiche' si abbassa la fiamma in modo da far solo sobbollire l'acqua, non bollire!
Io di solito mi servo di un paio di bacchette lunghe da cucina per girare la soba, ma anche un forchettone di legno o di metallo andranno benissimo. L'importante e' girare con delicatezza per non rompere gli spaghettini.
I tempi di cottura variano da marca a marca, ma soprattutto variano in base allo spessore. La soba che prendo io e' abbastanza sottile e ha un tempo di cottura di 6 minuti.
Trascorso il tempo di cottura, scolare immediatamente la soba e rimetterla nuovamente nella pentola. Riempire la pentola d'acqua fredda, e lasciare la soba a mollo per qualche minuto per darle il tempo non solo di raffreddare, ma anche di liberarsi di quell'odore caratteristico che ha la soba durante la cottura (odore di farina integrale).
Scolare ancora una volta la soba, e risciacquarla sotto acqua corrente fredda, facendo attenzione che gli spaghettini non si rompano. Sciacquarla molto bene fino a quando si sara' raffreddata completamente, dopodiche' scolarla ancora una volta e servirla.
La soba fredda viene generalmente servita sugli zaru, ovvero vassoietti di bambu' molto carini, disponibili in forme e dimensioni diverse.
Ecco uno dei miei zaru:
Come ho appena detto, di zaru se ne trovano di vari tipi. Spesso se ne trovano certi dalla forma rotondeggiante e fatti interamente di bambu', mentre i miei hanno solo la base di questo materiale, ma il resto e' di plastica nera laccata. Uno vale l'altro, insomma. E' una questione di gusti. Questi mi piacciono particolarmente perche' sono molto eleganti a mio avviso.
Se non avete degli zaru, non e' assolutamente un problema. Potrete tranquillamente servire la vostra soba su dei normalissimi piatti piani.
Parliamo ora della salsina, o sobatsuyu*. Per farla occorrono:
1/2 cup di salsa di soia di ottima qualita'
2 cup di brodo hondashi (brodo giapponese di pesce bonito, tipo sgombro)
3 cucchiai di mirin (vino di riso, tipo sake', ma utilizzato solo in cucina)
Ecco qua i tre ingredienti protagonisti di questo delizioso condimento:
Avevo gia' parlato in un articoletto precendete dell'hondashi (v. Miso! Miso! Miso!). L'hondashi e' l'ingrediente cardine di quasi tutti i piatti giapponesi. Senza di questo si fa ben poco in una cucina nipponica.
L'hondashi si puo' preparare fresco, oppure si puo' utilizzare il preparato in polvere (quello che vedete in alto a destra, nella mitica confezione con la scritta blu su sfondo arancione e bianco).
Si prepara l'hondashi, dopodiche' si aggiunge la quantita' necessaria di salsa di soia e di mirin. Si porta il tutto ad ebollizione e poi si lascia raffreddare.
Io ho lasciato la sobatsuyu raffreddare nella pentola, dopodiche' l'ho travasata in una bottiglia di vetro che ho poi riposto in frigo.
Esistono dei contenitori appositi per servire la sobatsuyu che si chiamano sobachoko, ma se non li avete potrete benissimo usare delle piccole coppette.
Ecco i miei sobachoko:
Quando e' ora di mettersi a tavola, verso un po' della sobatsuyu preparata prima e poi riposta in frigo, dentro questi contenitori.
In tavola porto, quindi, gli zaru con la soba fredda guarnita con le striscioline di nori, i sobachoko con la salsina, e poi altri ingredienti che solitamente si mischiano con la salsina per rendere il tutto piu' saporito. A noi piacciono i cipollotti verdi tagliuzzati fini fini, e un briciolino di wasabi.
In alcuni ristoranti, perlopiu' in quelli piccoli e a conduzione famigliare, assieme alla soba vi portano anche una teiera particolare dalla forma cubica. All'interno non c'e' il te', ma l'acqua di cottura utilizzate per cucinare la vostra soba. A fine pasto, potrete versare un po' di quest'acqua di cottura dentro il vostro sobachoko, e mischiarla quindi alla sobatsuyu che vi e' rimasta, formando cosi' un gustosissimo brodo leggero da bere! Gnam!
Come dicevo prima, la soba viene preparata in talmente tanti modi diversi che e' impossibile elencarli tutti. Quello che vi ho illustrato in questo articoletto e' generalmente noto col nome di zaru soba.
Per concludere, vi invito a prepararvi la soba se l'avete gia' assaggiata e vi piace; ma invito anche coloro che non l'hanno mai assaggiata ad andare in un buon ristorante giapponese, oppure a comprarla in un supermercato di alimentari orientali e a preparsela in casa. La soba e' un'ottima e sana alternativa alle solite insalate di pasta o di riso. Adesso che le temperature si fanno sempre piu' soffocanti, rinfrescatevi la bocca e lo spirito con un po' di deliziosissima soba!
ITADAKIMASU!
*La ricetta della sobatsuyu e' di Ms. Yoshizuka Setsuko.
domenica, giugno 24, 2007
sabato, giugno 23, 2007
Un benvenuto all'estate
Da pochi giorni e' iniziata l'estate, e infatti qui le temperature hanno cominciato pian pianino a riscaldare sempre di piu' le giornate.
Pur non essendo la mia stagione preferita, voglio dare lo stesso un benvenuto all'estate.
Ho trovato questa *carinissima* immagine glitterata di Paperina su www.freewebjunk.com, un sito di grafica gratuita per blog. Stavo cercando qualche scritta glitterata carina, ed e' cosi' che ho trovato questo sito che, tra l'altro, e' fornitissimo di tantissime immagini di Walt Disney, Sanrio e altre, tutte in versione luccicante!
E Paperina mi e' piaciuta cosi' tanto, e mi ha fatto talmente tanta tenerezza che ho voluto portarla qui su Biancorosso.
In questi giorni, oltre al caldo esasperante che sembra peggiorare di ora in ora, ho dovuto dare un esame d'inglese (e' stato mercoledi' 20, per la precisione). Ancora non so i risultati, ma mi sento abbastanza tranquilla. E' stato un esamino particolarmente intenso! Il tempo massimo consentito era di due ore e quarantacinque minuti; ebbene, mi ci sono volute due ore e mezza! Infatti sono stata la penultima a consegnare! Non che mi freghi eh, d'altronde non bisogna MAI avere fretta in quei casi li'. Quelli che fanno gli spavaldi e dopo dieci minuti si fiondano a consegnare, molto probabilmente si fregano con le proprie mani perche' si privano di tempo prezioso che avrebbero potuto utilizzare per verificare che non ci fossero errori, dimenticanze, ecc.
Comunque, l'importante e' aver passato quest'esame. Certo, dovro' aspettare i risultati per esserne certa, ma mi sento ottimista.
Pur avendo dato quest'esame, il corso pero' non e' ancora terminato. Infatti sono alle prese con quella che e' l'ultima prova: il tanto temuto saggio di ricerca, ovvero l'incubo di tutti quelli che frequentano o hanno frequentato English 101. Adesso quest'incubo e' diventato mio.
Peraltro, dopo settimane passate a scervellarmi per cercare un argomento per il mio saggio e dopo centinaia di pagine di libri diversi consultati, oggi mi sono accorta che entro domani va spedita al professore una bozza dell'outline (lo schema / la traccia / lo scheletro del saggio stesso). Dopo essermi accorta di cio', sono caduta nel panico piu' totale, e ho provato anche un po' di rabbia visto che tutti quegli arrovellamenti di cervello non sembravamo essere serviti a niente.
Poi, improvvisamente, sono stata colta da un momento d'ispirazione fulmineo, e allora ho iniziato a scrivere, scrivere, scrivere tutte le idee che mi affioravano in testa ad una velocita' supersonica.
Panico + rabbia + caldo torrido + esasperazione = un miracolo.
Infatti, nel giro di una ventina di minuti passati in preda a questa crisi di creativita' inarrestabile, ho completato l'intero outline; ho fatto qualche ritocchino qua e la'; l'ho riletto per benino e poi l'ho mandato al professore, mentre intanto tiravo un sospirone di sollievo gigantesco.
Ah gia'...quale sara' l'argomento del mio saggio di ricerca? L'assenza voluta di realismo nel teatro giapponese Noh.
Mi sono gia' munita di tutti i tomoni necessari per la mia ricerca, e qualora non bastassero potro' tornare nella mia bibliotechina di fiducia che e' zeppa fino al soffitto di libri sul teatro giapponese.
Non appena avro' finito questo corso, ho intenzione di aggiornare piu' spesso Biancorosso, anche perche' ho diversi articoletti arretrati da scrivere, come ad esempio la giornata che abbiamo passato a Kappabashi, fotografie varie scattate al tempio di Shokokuji, piu' tutto un resoconto dettagliatissimo sul mio studio dei miei adorati kanji e sul metodo che sto utilizzando.
venerdì, giugno 15, 2007
Due vecchie scodelle
Oramai penso si sia capito che ho una passione smodata per il vasellame e per le ricette di cucina. Ecco qui a sinistra, l'altra coppetta. Questa mi piace leggermente meno dell'altra, ma e' comunque molto carina. Il motivo dipinto sulla coppetta ha un qualcosa che ricorda gli anni 60'; non so perche'.
Oggi ho voluto mettere un paio di foto di queste due scodelle giapponesi per il riso, prese circa un mese e mezzo fa in un negozio di cose vecchie.
Queste sono due scodelle vecchiotte, ma cosi' belle!
Al giorno d'oggi va di moda usare il termine vintage, probabilmente perche' piu' chic, fa piu' spensieratamente bohemian, non so. Pero', ecco, se proprio devo trovare un aggettivo per queste due coppette, direi che vintage puo' fare al caso mio.
Queste due scodelle, in particolare questa che vedete in alto a sinistra (nonche' la mia preferita), hanno la forma tipica delle coppette giapponesi che andava in voga negli anni 40', 50', e probabilmente e' rimasta di moda fino agli anni 60'.
Non so a che anni risalgano questi due pezzi, ma sono molto, molto vecchie, eppure hanno un nonsoche' di affascinante.
Basta osservarle, e si capisce che appartengono ad un'era che non c'e' piu'; ad un periodo della storia che e' passato, e di cui adesso esistono solo alcuni ricordi un po' sbiaditi, e forse idealizzati, di quel tempo che fu. Ma oltre ai ricordi, rimangono oggetti che facevano parte della vita quotidiana della gente che ha vissuto in quell'epoca lontana.
Certo, lontano e vicino sono due concetti abbastanza soggettivi, pero' quando ci voltiamo a guardare gli anni 60', tanto per fare un esempio, vediamo un mondo diversissimo da quello in cui viviamo oggi. Ecco perche' e' lontano.
Questa, a differenza dell'altra, e' appena appena piu' paffutella.
Bene: la mia collezione di vasellame continua a crescere a dismisura, e man mano che cresce, crescera' anche il numero di fotografie che mettero' qui su Biancorosso, dei miei vari pezzi.
Ricordatevi: questo e' un blog di piccole quotidianita' giapponesi, di ricette e cose buone da mangiare e di vasellame.
giovedì, giugno 14, 2007
Pranzo di oggi: Udon al curry
Adoro trafficare in cucina e vedere dove mi porta il mio estro culinario, ma ci sono volte in cui la pigrizia mi attanaglia proprio mentre lo stomaco brontola, e allora bisogna trovare una soluzione rapida e soddisfacente.
Tra l'altro, notavo una cosa interessante: pare che gli udon preparati con il curry non siano quasi mai quelli tradizionali giapponesi, quelli belli cicciotti (e buoni!) tanto per intenderci, ma siano piu' piatti. Ricordano molto le tagliatelle! Insomma, sia queste udonelle (o tagliadon chedirsivoglia! Ma si, dai, concedetemi un paio di neologismi!), che gli udon normali sono di una bonta' unica!
ITADAKIMASU!
Oggi e' una di quelle giornate all'insegna della pigrizia; sara' il tempo uggioso.
Per pranzo, mi sono preparata gli udon al curry. Superslurpis!
Nella foto vedete il pacchetto di karee udon (udon al curry), marca Maruchan, e una delle mie graziose scodelle da ramen.
Si mette a bollire mezzo litro d'acqua in un pentolino, dopodiche' si aggiungono gli udon secchi. Trascorso il tempo di cottura richiesto, si versano le spezie et voila'! Il pranzo e' pronto:
Tra l'altro, notavo una cosa interessante: pare che gli udon preparati con il curry non siano quasi mai quelli tradizionali giapponesi, quelli belli cicciotti (e buoni!) tanto per intenderci, ma siano piu' piatti. Ricordano molto le tagliatelle! Insomma, sia queste udonelle (o tagliadon chedirsivoglia! Ma si, dai, concedetemi un paio di neologismi!), che gli udon normali sono di una bonta' unica!
ITADAKIMASU!
Dalla macelleria Wanagaki
Proprio per continuare il discorso che ho iniziato sull'articoletto precedente a questo, ecco un altro aspetto di vita quotidiana.
Noi abitiamo in una zona molto tranquilla, dove la presenza di stranieri e' pressoche' vicina allo zero (tranne noi, ovviamente).
La nostra zona e' molto servita in quanto a negozi, uffici postali, banche, farmacie ecc.
Poco distante da casa nostra c'e' Wanagaki, la macelleria di quartiere.
L'altro ieri ho mandato mio marito a prendere della carne e due salsicce, ed e' tornato con questi due pacchettini perfetti.
Sia la carne tritata che le salsicce erano perfettamente avvolti e sigillati a caldo dentro questi sacchettini.
Come potete vedere, il macellaio ha scritto il prezzo su entrambe le confezioni, con il pennarello. E come potete vedere, la carne tritata (il pacchetto di sinistra) e' abbastanza caruccia: 630 yen per circa 300 grammi. Le salsicce erano decisamente piu' economiche: 285 yen per due pezzi.
Pur non essendo una grande consumatrice di carne, devo dire che la qualita' di quella giapponese supera senz'altro quella americana, a mio avviso.
La carne tritata, per esempio, non e' grassa ed e' molto gustosa. I prezzi sono quelli che sono, ma riflettono la qualita' che ci si porta a casa.
Cuor-Ovo
Era gia' da qualche giorno che volevo aggiornare Biancorosso, e finalmente stamattina ne ho la possibilita'.
In realta', in questo periodo sono a corto di tempo, ma non d'idee su cosa scrivere. La prossima settimana devo dare un esame d'inglese all'universita', in piu' sono alle prese con un saggio non proprio semplicissimo da scrivere, e per finire mi aspetta un research paper che dovro' terminare entro i primi di luglio. Direi che mi aspetta proprio un lavorino da niente!
Lo studio mi rende felice, pero' a volte ci sono i momenti di stanchezza e di scoraggiamento; non credo esista un solo studente (o studentessa) sulla faccia della Terra che non abbia avuto momenti di stanchezza!
Aggiornare Biancorosso e' per me un modo per rilassarmi. Mi piace raccontare cose varie sulla nostra vita qui, e corredare i miei racconti con fotografie.
Mi piace immaginare che tra le tante persone che leggono il mio blog, ve ne siano alcune che sognano di visitare il Giappone, e che nel frattempo si accontentano di immaginarsi questo splendido Paese affacciandosi dalla finestra di Biancorosso -- una finestra che vi permette di dare una sbirciatina in terra nipponica.
Un'ultima cosa: avrete sicuramente notato che non seguo il classico stile del blog di viaggio, o del resoconto di chi fa un'esperienza all'estero raccontando per filo e per segno tutte le festivita'; fornendo dati ed info varie su monumenti, statue, chiese e quant'altro; o scrivendo articoli coi quali si cala la scure su alcuni aspetti culturali del popolo ospitante.
A me piace raccontare quel che mi va. Non mi sento in dovere di trasformare questo blog in una sorta di guida turistica. Per quello ci sono miliardi di altri blog e di guide cartacee, per cui non e' necessario che mi metta a contribuire ulteriormente a questa matassa.
Certo, a volte anch'io descrivo qualche monumento, edificio, angolo caratteristico della citta', ma questi non sono gli elementi cardine del mio blog.
Questo per dire che lo scopo di Biancorosso e' quello di raccontarvi cose apparentemente futili, ma che invece possono essere di grande interesse per chi da sempre sogna di visitare il Giappone.
Io ricordo che prima di venire qui, quando ancora non immaginavamo lontanamente dove ci avrebbe portato il destino, avevo una grande curiosita' sul Giappone e su come vive la gente in questo Paese. Mi piaceva guardare fotografie delle citta' giapponesi, dei negozi, delle strade, delle automobili e mezzi pubblici. Mi piaceva osservare tutti quei particolari a prima vista insignificanti, tipo le insegne dei supermercati, i colori dei cartelloni pubblicitari, la forma delle cabine del telefono, le forme ed i colori degli edifici, piante ed alberi, ecc.
E ora che sono qui, tento di catturare, come posso, tutti questi dettagli, e tanto altro ancora.
Scrivo dalla cucina di una casa giapponese (la mia), e allora mi piace parlare degli aspetti della vita di tutti i giorni: utensili per la cucina, alimentari vari, detersivi, bollette, la posta, ecc.
Pian pianino cerchero' di creare un quadro, che sia il piu' completo possibile, di vita quotidiana qui, nel Paese del Sol Levante.
Dopo questo interminabile prologo, passiamo all'argomento di oggi!
La foto che vedete in alto ritrae un padellino che ho comprato quasi un mese fa, per cuocere le uova, a forma di cuore.
Di padellini cosi' se ne trovano tantissimi nei negozi di casalinghi. Si trovano anche altre formine, tipo le stelle, gli orsacchiotti, ecc.
Dopo essere ritornata a casa dal negozio, ho subito voluto mettere alla prova il mio nuovo cuor-padellino!
Ed ecco qui:
Siccome durante la cottura si sono verificati numerosissimi schizzi, ho dovuto coprire il padellino con un coperchietto, e cosi' il tuorlo non e' rimasto bello arancione come avrei voluto, ma si e' ricoperto di una pellicina biancastra.
A me l'uovo piace sempre ben cotto, e ogni volta che ne preparo uno al padellino lo copro sempre con un coperchio per sveltire la cottura, ma questa volta avrei voluto che il mio cuor-ovo cuocesse alla perfezione senza imbruttire. Ma visti gli schizzi ribelli (che continuavano pur dopo aver abbassato la fiamma), il coperchietto era inevitabile.
Ecco il risultato:
La prossima volta provero' a cuocerlo un po' meno, cosi' da lasciare che si veda il tuorlo arancione, per scopi puramente estetici.
martedì, giugno 05, 2007
Wagashi quasi estivi
Come ho gia' detto, il nostro padrone di casa ogni mese ci regala una scatola con un delizioso assortimento di wagashi, ovvero i tradizionali dolcini giapponesi.
Questi che vedete nella foto sono quelli che ci ha regalato pochi giorni fa. L'assortimento e' decisamente primaverile, ma al tempo stesso fa anche gia' pensare all'estate.
Alcuni di questi dolcini sono delle vere opere d'arte che ho voluto fotografare piu' da vicino per farveli vedere meglio:
Questi non ho ancora avuto il coraggio di assaggiarli perche' sono talmente belli (la foto non rende loro giustizia!) che mi dispiace persino toglierli dalla scatolina!
Qui vedete quelli viola coi fiorellini lilla' e quelli che mi ricordano quei bei ciottoli lisci che si trovano sulle spiagge o in riva ai fiumi.
Questo che vedete in alto e' un altro dei dolcini che ci sono nella scatola. E' un mochi. Questo l'ho assaggiato ed e'....squisito! All'interno ha un ripieno delicatissimo di marmellata di fagioli azuki e zucchero. A prima vista, il ripieno sembrerebbe nauseabondo perche' e' spesso e dall'aria zuccherosa, eppure ha un sapore leggero e per niente stucchevole. Gnam! Quasi quasi dopo me ne mangio uno con una bella tazza di sencha!
Se avrete la possibilita' di visitare il Giappone, vi consiglio caldamente di assaggiare qualunque tipo di wagashi vogliate: ve ne sono di talmente tanti tipi che e' impossibile non trovarne uno che catturi la vostra attenzione!
Tutto subito possono sembrare strani, ma ricordatevi che questi sono dolcini di una tradizione molto lontana dalla nostra, ma non per questo peggiore o migliore: semplicemente diversa.
Chi l'ha detto che un mochi non possa fare concorrenza ad una fetta di crostata alla marmellata? O che un monaka non possa competere con un baba'?
Forse e' sbagliato parlare di competizione. Chissa'. E forse e' sbagliato voler paragonare queste delizie fra di loro. Magari e' come voler paragonare un ananas con un panino al prosciutto. Non ha molto senso. In ogni caso, non siate prevenuti nei confronti di tutto cio' che e' diverso, e questo ovviamente non vale solo per i wagashi ma per tanto altro ancora!
Non dite che i wagashi non vi piacciono se non li avete prima assaggiati. E non dite che non vi piacciono se li avete assaggiati solo una volta: questi sono sapori diversi dai nostri, e magari per un palato occidentale ci vuole un pochettino di tempo per abituarsi alla delicata dolcezza della marmellata di azuki, alla leggerezza quasi onirica delle cialde di riso dei monaka, o alla consistenza gelatinosa dei warabimochi e al sapore di noci del kinako (farina tostata di soia).
E colgo l'occasione per parlarvi, brevemente, dei warabimochi, uno dei miei wagashi preferiti in assoluto:
Ho assaggiato per la prima volta i warabimochi in una sala da te' giapponese, con la mia amica Ikuko a Chigasaki. L'aspetto era strano ma invitante: piccoli cubetti gelatinosi; alcuni ricoperti di una farina marroncina e altri di polvere di maccha.
Dopo averli provati, ho scoperto una delle prelibatezze piu' speciali che abbia mai assaggiato in tutta la mia vita.
Ho poi gustato nuovamente i warabimochi nella stessa sala da te', con mio marito. Dopodiche' non ho piu' pensato a questi favolosi dolcetti, fino a che non li ho ritrovati in un kaiten-zushi (non Sushiroo) dove siamo stati per la prima volta alcune settimane fa. Da quel momento non mi sono piu' potuta scordare di queste piccole meraviglie dolci, e li ho cercati. Li ho trovati freschi (sono quelli che vedete nella foto, sul piatto nero) da Sanwa, un supermercato qui vicino.
I warabimochi si chiamano cosi' perche' sono a base di estratto di warabi, cioe' di felce. Sono dolcini tipici estivi, originari del Kansai.
Pare che la preparazione originale (cioe' con l'estratto di felce) sia laboriosa e costosa, e che quindi molte pasticcerie (specialmente in altre parti del Giappone) preferiscano farli usando ingredienti piu' economici, tipo la farina di tapioca, amidi vari ecc.
Non so se quelli che ho mangiato io fino adesso siano i warabimochi autentici, ma vi posso dire che vanno assolutamente assaggiati perche' non basterebbe un intero libro per descriverli a sufficienza!
E come se questo non bastasse, sui warabimochi viene versato una specie di sciroppo brunastro, a base di zucchero. Pare che lo sciroppo di zucchero migliore provenga da Okinawa dove sono numerosissime le piantagioni di canna da zucchero.
Questo sciroppo e' di una bonta' infinita che aggiunge ulteriore squisitezza ai warabimochi!
Questi che vedete nella foto sono quelli che ci ha regalato pochi giorni fa. L'assortimento e' decisamente primaverile, ma al tempo stesso fa anche gia' pensare all'estate.
Alcuni di questi dolcini sono delle vere opere d'arte che ho voluto fotografare piu' da vicino per farveli vedere meglio:
Questi non ho ancora avuto il coraggio di assaggiarli perche' sono talmente belli (la foto non rende loro giustizia!) che mi dispiace persino toglierli dalla scatolina!
Qui vedete quelli viola coi fiorellini lilla' e quelli che mi ricordano quei bei ciottoli lisci che si trovano sulle spiagge o in riva ai fiumi.
Questo che vedete in alto e' un altro dei dolcini che ci sono nella scatola. E' un mochi. Questo l'ho assaggiato ed e'....squisito! All'interno ha un ripieno delicatissimo di marmellata di fagioli azuki e zucchero. A prima vista, il ripieno sembrerebbe nauseabondo perche' e' spesso e dall'aria zuccherosa, eppure ha un sapore leggero e per niente stucchevole. Gnam! Quasi quasi dopo me ne mangio uno con una bella tazza di sencha!
Se avrete la possibilita' di visitare il Giappone, vi consiglio caldamente di assaggiare qualunque tipo di wagashi vogliate: ve ne sono di talmente tanti tipi che e' impossibile non trovarne uno che catturi la vostra attenzione!
Tutto subito possono sembrare strani, ma ricordatevi che questi sono dolcini di una tradizione molto lontana dalla nostra, ma non per questo peggiore o migliore: semplicemente diversa.
Chi l'ha detto che un mochi non possa fare concorrenza ad una fetta di crostata alla marmellata? O che un monaka non possa competere con un baba'?
Forse e' sbagliato parlare di competizione. Chissa'. E forse e' sbagliato voler paragonare queste delizie fra di loro. Magari e' come voler paragonare un ananas con un panino al prosciutto. Non ha molto senso. In ogni caso, non siate prevenuti nei confronti di tutto cio' che e' diverso, e questo ovviamente non vale solo per i wagashi ma per tanto altro ancora!
Non dite che i wagashi non vi piacciono se non li avete prima assaggiati. E non dite che non vi piacciono se li avete assaggiati solo una volta: questi sono sapori diversi dai nostri, e magari per un palato occidentale ci vuole un pochettino di tempo per abituarsi alla delicata dolcezza della marmellata di azuki, alla leggerezza quasi onirica delle cialde di riso dei monaka, o alla consistenza gelatinosa dei warabimochi e al sapore di noci del kinako (farina tostata di soia).
E colgo l'occasione per parlarvi, brevemente, dei warabimochi, uno dei miei wagashi preferiti in assoluto:
Ho assaggiato per la prima volta i warabimochi in una sala da te' giapponese, con la mia amica Ikuko a Chigasaki. L'aspetto era strano ma invitante: piccoli cubetti gelatinosi; alcuni ricoperti di una farina marroncina e altri di polvere di maccha.
Dopo averli provati, ho scoperto una delle prelibatezze piu' speciali che abbia mai assaggiato in tutta la mia vita.
Ho poi gustato nuovamente i warabimochi nella stessa sala da te', con mio marito. Dopodiche' non ho piu' pensato a questi favolosi dolcetti, fino a che non li ho ritrovati in un kaiten-zushi (non Sushiroo) dove siamo stati per la prima volta alcune settimane fa. Da quel momento non mi sono piu' potuta scordare di queste piccole meraviglie dolci, e li ho cercati. Li ho trovati freschi (sono quelli che vedete nella foto, sul piatto nero) da Sanwa, un supermercato qui vicino.
I warabimochi si chiamano cosi' perche' sono a base di estratto di warabi, cioe' di felce. Sono dolcini tipici estivi, originari del Kansai.
Pare che la preparazione originale (cioe' con l'estratto di felce) sia laboriosa e costosa, e che quindi molte pasticcerie (specialmente in altre parti del Giappone) preferiscano farli usando ingredienti piu' economici, tipo la farina di tapioca, amidi vari ecc.
Non so se quelli che ho mangiato io fino adesso siano i warabimochi autentici, ma vi posso dire che vanno assolutamente assaggiati perche' non basterebbe un intero libro per descriverli a sufficienza!
E come se questo non bastasse, sui warabimochi viene versato una specie di sciroppo brunastro, a base di zucchero. Pare che lo sciroppo di zucchero migliore provenga da Okinawa dove sono numerosissime le piantagioni di canna da zucchero.
Questo sciroppo e' di una bonta' infinita che aggiunge ulteriore squisitezza ai warabimochi!
Le mie scarpine di Ito Yokado
Sono giorni e giorni che ho voglia di aggiornare Biancorosso, ma alla fine non ci riesco mai. Credo di pretendere troppo da me stessa: se non posso fare le cose perfettamente e senza una virgola fuori posto, allora preferisco non farle. Certo, si dovrebbe sempre puntare al massimo e al meglio, pero' bisognerebbe anche essere un tantinello piu' tolleranti con noi stessi.
Questo per dire che ho sempre in testa descrizioni dettagliatissime, articoli ultra coinvolgenti sulla nostra vita qui in Giappone, pero' poi quando finalmente ho il tempo di sedermi qui davanti al computer, tutto cio' scompare e mi ritrovo con due cosette noiose da raccontare. Poi magari non e' vero e le cose che racconto sono noiose, specialmente per chi considera Biancorosso una finestra su questo splendido Giappone.
Le scarpine che vedete in alto a sinistra sono quelle che mi sono comprata gia' piu' di tre settimane fa! Le ho prese da Ito Yokado, un grosso centro commerciale pieno zeppo di negozi di ogni genere, tra cui un fornitissimo negozio di calzature dove ho appunto acquistato le mie belle paperine (si chiamano ancora cosi'? Forse e' meglio chiamarle flats e mettersi cosi' al passo coi tempi! Haha!).
L'acquisto di scarpe, nel mio caso, si tratta di un evento importante per due motivi: 1) perche' le compro raramente e sopravvivo per un anno intero con quattro o cinque paia di scarpe al massimo, e 2) perche' trovare scarpe del mio numero qui in Giappone e' come andare a cercare una brocca d'acqua fresca in mezzo ad un deserto.
Vabbe', magari sto esagerando un po', pero' tutti quelli che sono stati qui in Giappone per un po' di tempo, vi diranno che trovare scarpe da donna oltre il 37 e' un'impresa non indifferente.
Questo perche' la maggior parte delle donne giapponesi porta appunto numeri tra il 35 e il 37 (37 e mezzo, toh!), quindi numeri piu' grandi sono un po' una rarita'.
Il Giappone e' il VERO paradiso dello shopping, altro che storie. Altro che le grandi citta' italiane, oppure New York o Londra. Io non ho mai visto cosi' tanti negozi, ristoranti e centri commerciali in tutta la mia vita. E tornando al discorso delle scarpe, non ho mai visto cosi' tanti negozi di calzature a pochi metri di distanza gli uni dagli altri. Quindi, se amate le scarpe, qui in Giappone non vi dovrebbe essere difficile accontentare i vostri capricci....sempre che...sempre che non portiate un numero oltre il 37!
I negozietti di calzature che si trovano in molti centri commerciali (Daiei, Uni, Maruetsu, ecc.), oppure nei negozietti all'interno delle stazioni o nelle zone limitrofe, difficilmente tratteranno scarpe dai numeri "grandi". Questo lo so per esperienza perche' mi sono girata un numero impressionante di negozietti tali, senza mai trovare qualcosa che mi stesse..e dire che porto un comunissimo 39 che pero' qui e' come portare un 86.
Per avere fortuna bisogna andare in negozi costosissimi dove, volendo, le scarpe te le fanno pure su misura. A me era capitato di trovare un paio di flats stupende, del mio numero, nientepopodimenoche' da Takashimaya! Infatti costavano qualcosa tipo 20,000 yen (quasi $200) - una cifra spropositata.
Diversamente, si puo' andare in grossi centri commerciali (tipo Ito Yokado appunto, ma anche Jusco, ecc.), e andare direttamente nei negozi di calzature grossi che trovate senza dubbio all'interno. I prezzi delle scarpe in questi negozi sono molto ragionevoli.
Dove sono andata io, ad esempio, avevano scarpe fino al 39, ma sicuramente in altri negozi simili si trovano pure numeri piu' alti.
Ancora non ho inagurato le mie belle scarpine, pero'! Incredibile, ma vero! Sara' perche' sono cosi' carine e mi dispiace quasi sporcarle, pero' adesso che l'estate e' oramai alle porte, e' ora di portarle un po' a spasso!
Tra l'altro ho riscoperto di recente, un paio di flats nere da sogno della Lacoste che mi aveva regalato mio marito: era da tanto che non me le mettevo e mi ero dimenticata quanto fossero comode, nonche' stupende!
Quindi ora alternero' le mie belle Lacoste con queste carinissime scarpine giapponesi!
Questo per dire che ho sempre in testa descrizioni dettagliatissime, articoli ultra coinvolgenti sulla nostra vita qui in Giappone, pero' poi quando finalmente ho il tempo di sedermi qui davanti al computer, tutto cio' scompare e mi ritrovo con due cosette noiose da raccontare. Poi magari non e' vero e le cose che racconto sono noiose, specialmente per chi considera Biancorosso una finestra su questo splendido Giappone.
Le scarpine che vedete in alto a sinistra sono quelle che mi sono comprata gia' piu' di tre settimane fa! Le ho prese da Ito Yokado, un grosso centro commerciale pieno zeppo di negozi di ogni genere, tra cui un fornitissimo negozio di calzature dove ho appunto acquistato le mie belle paperine (si chiamano ancora cosi'? Forse e' meglio chiamarle flats e mettersi cosi' al passo coi tempi! Haha!).
L'acquisto di scarpe, nel mio caso, si tratta di un evento importante per due motivi: 1) perche' le compro raramente e sopravvivo per un anno intero con quattro o cinque paia di scarpe al massimo, e 2) perche' trovare scarpe del mio numero qui in Giappone e' come andare a cercare una brocca d'acqua fresca in mezzo ad un deserto.
Vabbe', magari sto esagerando un po', pero' tutti quelli che sono stati qui in Giappone per un po' di tempo, vi diranno che trovare scarpe da donna oltre il 37 e' un'impresa non indifferente.
Questo perche' la maggior parte delle donne giapponesi porta appunto numeri tra il 35 e il 37 (37 e mezzo, toh!), quindi numeri piu' grandi sono un po' una rarita'.
Il Giappone e' il VERO paradiso dello shopping, altro che storie. Altro che le grandi citta' italiane, oppure New York o Londra. Io non ho mai visto cosi' tanti negozi, ristoranti e centri commerciali in tutta la mia vita. E tornando al discorso delle scarpe, non ho mai visto cosi' tanti negozi di calzature a pochi metri di distanza gli uni dagli altri. Quindi, se amate le scarpe, qui in Giappone non vi dovrebbe essere difficile accontentare i vostri capricci....sempre che...sempre che non portiate un numero oltre il 37!
I negozietti di calzature che si trovano in molti centri commerciali (Daiei, Uni, Maruetsu, ecc.), oppure nei negozietti all'interno delle stazioni o nelle zone limitrofe, difficilmente tratteranno scarpe dai numeri "grandi". Questo lo so per esperienza perche' mi sono girata un numero impressionante di negozietti tali, senza mai trovare qualcosa che mi stesse..e dire che porto un comunissimo 39 che pero' qui e' come portare un 86.
Per avere fortuna bisogna andare in negozi costosissimi dove, volendo, le scarpe te le fanno pure su misura. A me era capitato di trovare un paio di flats stupende, del mio numero, nientepopodimenoche' da Takashimaya! Infatti costavano qualcosa tipo 20,000 yen (quasi $200) - una cifra spropositata.
Diversamente, si puo' andare in grossi centri commerciali (tipo Ito Yokado appunto, ma anche Jusco, ecc.), e andare direttamente nei negozi di calzature grossi che trovate senza dubbio all'interno. I prezzi delle scarpe in questi negozi sono molto ragionevoli.
Dove sono andata io, ad esempio, avevano scarpe fino al 39, ma sicuramente in altri negozi simili si trovano pure numeri piu' alti.
Ancora non ho inagurato le mie belle scarpine, pero'! Incredibile, ma vero! Sara' perche' sono cosi' carine e mi dispiace quasi sporcarle, pero' adesso che l'estate e' oramai alle porte, e' ora di portarle un po' a spasso!
Tra l'altro ho riscoperto di recente, un paio di flats nere da sogno della Lacoste che mi aveva regalato mio marito: era da tanto che non me le mettevo e mi ero dimenticata quanto fossero comode, nonche' stupende!
Quindi ora alternero' le mie belle Lacoste con queste carinissime scarpine giapponesi!
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