Una pioggia incessante fa da cornice anche alla giornata di oggi.
Dalle grandi finestre di casa nostra vedo gli alberi e le piante ondeggiare al ritmo del vento.
Le foglie si colorano di un verde sempre piu' intenso.
Chissa' se anche qui in Giappone l'autunno dipinge i paesaggi di sfumature un po' malinconiche come le varie tonalita' di marrone, oppure dei giallognoli spenti ed ammaccati?
Attendo sempre con grande ansia l'arrivo dei temporali. Mi piace l'odore dell'arietta effervescente e pungente che precede l'acquazzone.
Quando sento le prime goccioline d'acqua scendere giu' dal cielo grigio e minaccioso, mi riempio di gioia e mi pregusto qualche ora di assoluto relax, con in sottofondo solo la sinfonia dell'imminente piovasco.
Poi pero', la parte contradditoria che c'e' in me, comincia ad aver paura dei lampi e dei tuoni.
Chiudo gli occhi per non vedere quella luce spaventosa. Con le mani mi tappo le orecchie per non sentire i cupi rimbombi dei tuoni.
Proprio come quando ci sono i fuochi d'artificio: la paura e' la stessa.
Oggi pero' non ci sono ne' lampi ne' tuoni. C'e' solo un'insistente pioggia che viene giu' imperterrita da ieri, e che cambia di tanto in tanto il suo ritmo.
A volte e' finissima, altre volte e' violenta.
Mi sento un po' malinconica, un po' come i colori della tavolozza autunnale.
Mi sta prendendo un po' di quel senso di scoraggiamento che prende quando ci si trova in terra straniera.
Uno scoraggiamento dovuto non tanto alla nostalgia di casa (quella subentra piu' in la'), quanto alla sensazione frustrante di non riuscire a comunicare nella lingua del posto.
Penso di conoscere abbastanza bene questa sensazione, perche' l'ho gia' vissuta una volta.
Le spiccate abilita' mimiche e il gesticolare per cui noi italiani siamo famosi al mondo, non mi sono d'aiuto. Non credo lo siano mai stati a dire il vero.
Anch'io gesticolo un po', ma solo quando parlo. Non riesco sempre a servirmi della mimica per spiegarmi, a chi non capisce, cosa sto dicendo. Mah, saro' l'eccezione che conferma la regola.
L'inglese lento e ben scandito, assieme a qualche parolina di giapponese, e' l'unico strumento del quale ci stiamo servendo per comunicare con la gente del posto.
Le prime settimane rifiutavo categoricamente di perdermi d'animo per questa incapacita' di comunicare, ma adesso lo scoraggiamento si sta facendo sentire forte e chiaro.
Quando siamo fuori, osservo costantemente tutte le scritte che mi circondano: insegne di negozi, cartelloni pubblicitari, menu' dei ristoranti, ecc.
Con una testardaggine che a volte m'innervosisce, tento di leggere i kanji.
Ma dalla mia testa escono fuori parole cinesi corrispondenti ai kanji a me noti. Allora si crea un'insalata di cinese e di hiragana giapponese.
Con interesse (e stizza) noto quanto sia stato semplice e piacevole apprendere l'hiragana, mentre invece con il katakana, non si sa bene perche', faccio una fatica colossale a memorizzarlo.
Probabilmente esistera' una legge di Murphy anche su questo.
Quando ci si rende veramente conto di essere handicappati, perche' quando non si riesce a comunicare ci si sente tali, ecco che la lingua si trasforma in una montagna alta ed imponente, quattro volte il Monte Fuji.
L'apprendimento del giapponese diventa una scalata che sembra impossibile ed inavvicinabile.
Al corso d'introduzione alla cultura giapponese, Naoko, la nostra insegnante, ci disse che saremmo passati attraverso quattro fasi:
- quella honeymoon, cioe' luna di miele. Questa e' la fase che coglie tutti i nuovi arrivati. Si manifesta sotto forma di entusiasmo continuo. Si ha costantemente voglia di far foto e di immortalare ora questo e ora quello.
Uno potesse, se ne starebbe sempre in giro a guardare la citta' con uno sguardo mezzo inebetito.
Tutto incuriosisce e attira la nostra attenzione.
- la seconda fase e' quella dello scoraggiamento. In questa ci si sente dei mezzi disperati che non capiscono un'acca della lingua e hanno voglia di rimanere chiusi in casa. Subentra un totale rifiuto della lingua del posto.
- Si verifica poi la fase dell'assestamento. Ci si sente ancora abbastanza demoralizzati, ma pian pianino ci si abitua alla cultura, alla lingua e a tutto cio' che di nuovo ci circonda.
- L'ultima fase e' quella si spera arrivi il piu' in fretta possibile. Quando si arriva alla zona quattro, ecco che oramai ci si e' ambientati totalmente. Non ci si sente piu' dei nuovi arrivati. Ci si sente inseriti e a proprio agio.
Chissa', magari quando si raggiunge questo traguardo, si ha gia' anche una discreta conoscenza del giapponese.
Naoko ci disse che non appena ci si trova ad attraversare la seconda fase (decisamente la piu' tortuosa ed avvilente), significa che ci si sta ambientando.
Il senso di sconforto che prende in quel momento, non e' altro che l'inizio di un assestamento che portera' all'inserimento piu' o meno completo.
Mi aggrappo alle parole di Naoko perche' mi rinfrancano un po' lo spirito.
Mi sento di aver attraversato, o di aver quasi finito di attraversare la prima fase.
Credo di essere nella zona di transito tra il primo e il secondo stadio.
Ancora non sento il rifiuto per la lingua giapponese, anzi.
Proprio come quando andai ad abitare negli Stati Uniti, attraversai un periodo in cui ci fu il totale rifiuto dell'inglese. Il suono di quella lingua mi era ostico e m'infastidiva grandemente.
Si ha la sensazione di aver fatto indigestione di quella lingua. Un po' come quando ci si abbuffa di una cosa di cui si e' golosi per poi rimanerne nauseati, a volte a vita.
Fortunatamente con l'inglese fu una ricusa solo temporanea. Ma dopo quell'avversione provvisoria, venne giu' il muro dell'incomprensione linguistica.
Non che di colpo capissi perfettamente l'inglese americano, ma insomma, le parole cominciarono ad aver sempre piu' senso.
Poi le frasi cominciarono a non essere piu' oscure. I dialoghi alla televisione. I discorsi alla radio. I film.
Da li' in avanti si tratto' "solo" di migliorare e poi perfezionare la lingua appresa.
Adesso cerco, con pazienza, di aspettare che lo stesso avvenga col giapponese, anche se con tempi indubbiamente piu' lunghi e faticosi.
Chi la dura, la vince. Cosi' recita quel famoso detto. E nei proverbi c'e' sempre un fondo di verita', allora voglio crederci.